MALINES, Giuseppe Roberto Berthoud de
Nacque a Torino il 14 nov. 1714, primogenito del conte di Bruino Eustachio Giuseppe Ludovico e di Elena Saluzzo di Verzuolo.
La famiglia, originaria delle Fiandre spagnole, si era trasferita in Piemonte alla fine del Cinquecento entrando poi in possesso del feudo di Bruino. Gli antenati del M. si erano stabiliti a Savigliano, divenendo parte del ceto dirigente locale. Il padre Eustachio, nato a Torino nel 1693, aveva studiato al collegio dei nobili (dove aveva anche fatto parte dell'Accademia degli Uniti, diventandone "principe" nel 1710); dopo il matrimonio aveva deciso di stabilirsi definitivamente nella capitale sabauda. Nei suoi Mémoires (Le "Memorie" del conte Roberto Malines, a cura di P. Robbone, Torino 1932, d'ora in poi Mémoires) il M. racconta che, poco dopo la sua nascita, la critica situazione finanziaria della famiglia aveva indotto i suoi genitori a rientrare a Savigliano. Si dovette trattare, però, di un trasferimento momentaneo, visto che pochi anni dopo Eustachio era di nuovo nella capitale, ben inserito nel ceto dirigente locale. Nel 1722 entrò a fare parte della potente Compagnia di S. Paolo, del cui consiglio fece parte sino al 1740. Nel 1733 fu cooptato dal Consiglio di Torino come decurione di prima classe e, inoltre, fu eletto sindaco della città per l'anno 1734. Nonostante la carica di sindaco fosse poco più che onoraria, l'elezione era in quel caso di particolare rilievo poiché fu decisa quando si sapeva che i sindaci eletti sarebbero dovuti andare a Milano per rendere omaggio al re Carlo Emanuele III che, alla guida delle truppe franco-piemontesi, aveva conquistato il Ducato di Milano. Eustachio, peraltro, dovette affrontare anche problemi di non poco conto come gli approvvigionamenti di grano per la capitale, resi più difficili dalla guerra. La sua elezione a ragioniere della città nel 1739 è indice perlomeno di un prestigio acquisito e di competenze che dovevano essere più ampie di quanto il M. non gli riconosca nei Mémoires. In ogni caso, quando Eustachio morì, a Torino nel 1742 non ancora cinquantenne, il patrimonio familiare era compromesso non tanto per i debiti di gioco (che pure vi erano) quanto per una lunga causa che Eustachio stesso aveva dovuto affrontare contro la Procura generale del Regno per il possesso del feudo di Bruino.
L'educazione del M. seguì percorsi consueti. Compiuti i sette anni fu affidato alle cure di un precettore che il padre aveva scelto dopo essersi consultato con i gesuiti del collegio di Torino. Stando ai Mémoires del M., il precettore si sarebbe rivelato un ipocrita incompetente, tanto da esser definito un vero e proprio Tartufo. Un secondo precettore non sarebbe stato migliore del primo: il M. lo definisce "un véritable automate" e "un honnête imbécile" (Mémoires, p. 8). Il padre avrebbe voluto che il M. si laureasse in diritto, destinando i suoi fratelli minori alla carriera militare e a quella ecclesiastica. Il M., invece, decise di optare egli stesso per il mestiere delle armi. Nel 1731, diciassettenne, entrò come cadetto nel reggimento Dragoni del Genevese, uno dei più antichi e prestigiosi dell'esercito sabaudo. La sua formazione di ufficiale si svolse durante la guerra di successione polacca (1733-38), cui lo Stato sabaudo partecipò come alleato della Francia contro l'Impero. Allo scoppio della guerra ottenne il grado di cornetta (4 nov. 1733) e prese parte alla vittoriosa campagna di conquista della Lombardia, divenendo luogotenente (14 maggio 1734), e partecipò, fra l'altro, alle battaglie di Colorno e di Parma (25 e 29 maggio 1734). Nel 1742 la sua partenza per la guerra di successione austriaca (1740-48) fu bloccata dalla morte del padre, ma pochi mesi dopo era già al fronte, agli ordini del principe ereditario Vittorio Amedeo, duca di Savoia cui era stato assegnato il comando del reggimento. Il M. si conquistò prima i gradi di capitano tenente (4 luglio 1743) e poi di capitano (24 genn. 1745). Terminata la guerra nel 1748, il M. continuò la vita militare, ma senza ottenere grandi risultati.
Dopo la morte del padre il M. fu coinvolto in difficili cause legali mossegli dalla madre, che pretendeva la restituzione della dote, e dai fratelli (in particolare l'abate Carlo), che chiedevano una diversa divisione dei beni. Per tredici anni il M. difese i propri diritti di primogenitura e il possesso del feudo, di cui fu finalmente investito nel 1756.
Nel 1752, di ritorno dalla Savoia, chiese a Vittorio Amedeo di poter lasciare il reggimento, scoraggiato per la lentezza della carriera. Il duca di Savoia, tuttavia, lo persuase a restare. Risale forse agli anni di stanza a Torino il suo ingresso nella massoneria nei ranghi della loggia Trois Mortiers di Chambéry, fondata nel 1749, che proprio nel 1752 divenne Grande Maîtresse Loge degli Stati sabaudi.
Il ruolo del M. nelle file della massoneria piemontese costituisce una questione ancora oscura e le opinioni degli storici della massoneria sono a questo proposito non univoche.
Il 21 sett. 1758 Carlo Emanuele III emanò le patenti per l'organizzazione della corte di Carlo Emanuele, nipote settenne figlio di Vittorio Amedeo. A capo della corte, con le cariche riunite di governatore e aio, il re pose G.A. Porporato di Sampeyre, che era stato primo scudiere di Vittorio Amedeo. Come vicegovernatore fu scelto il conte G.S. Montanaro di Viancino. Dal governatore dipendevano due primi scudieri, che ricoprivano anche la carica di gentiluomini di camera: erano il M. e il cavalier Felice Evasio Mossi di Morano. A completare la corte era il barnabita G.S. Gerdil, celebre per la sua polemica contro J.J. Rousseau e, in generale, contro i Lumi, cui fu assegnata la carica di precettore del principe.
Il M. lasciava così la carriera militare e iniziava una nuova fase della sua vita, destinata a durare per un ventennio.
Il M., convinto di assumere le funzioni di governatore in seconda e non quelle di primo scudiere, aveva scritto gli Entretiens sur des sujets qui ont rapport à la religion, una sorta di manuale ad usum Delphini sul rapporto di un buon sovrano con la religione. Su questo tema ebbe forti contrasti con Gerdil - destinato a ottenere la porpora nel 1777 -, che egli accusava di impartire al giovane principe un'educazione troppo religiosa e non adatta a chi avrebbe dovuto guidare uno Stato. È opinione corrente tra gli storici che i contrasti fra il M. e Gerdil abbiano avuto un ruolo centrale nel determinare il carattere incerto e insicuro del futuro Carlo Emanuele IV.
Nel 1766, prima la morte del conte di Viancino e poi quella del marchese di Sampeyre indussero il M. a credere che presto gli sarebbe stata conferita la carica di governatore.
A questo scopo egli scrisse una nuova opera, gli Entretiens sur différentes matières qui ont rapport au gouvernement, in 40 capitoli, sulle forme di Stato e sui doveri dei sovrani. Il M. insisteva, criticando implicitamente Gerdil, sulla necessità che il sovrano, pur mirando alla pace, fosse capace di condurre al meglio una guerra impegnandosi personalmente. La nobiltà, inoltre, doveva trovare nella vita militare il senso della propria esistenza. Per questa ragione, il sovrano non avrebbe dovuto vendere titoli di nobiltà ai ricchi borghesi, ma avrebbe dovuto concederli come ricompensa al merito dimostrato nel servizio del sovrano. Per il M. il merito doveva essere, tanto quanto l'onore, la principale caratteristica della nobiltà. Anche questi Entretiens, tuttavia, pur presentati a Vittorio Amedeo, non furono mai fatti avere al principe cui erano dedicati.
Carlo Emanuele III non riteneva il profilo del M. del tutto adatto alla carica di governatore e lo nominò solo governatore in seconda. Egli sperava di convincere Luigi Malabaila conte di Canale, ambasciatore sabaudo a Vienna dal 1737 e uomo di raffinata cultura e sensibilità, a tornare a Torino per assumere la carica di governatore del principe. Canale, tuttavia, che aveva sposato una nobile ungherese, non aveva alcuna intenzione di abbandonare la capitale austriaca. Il 31 luglio 1768 Carlo Emanuele III nominò finalmente il M. governatore. Era troppo tardi, tuttavia, per modificare i criteri di un'educazione che poteva dirsi conclusa (il principe aveva ormai diciassette anni). Nel marzo 1771, in occasione del matrimonio di Maria Giuseppina di Savoia con Luigi di Borbone, conte di Provenza (il futuro Luigi XVIII), il M. fu nominato cavaliere dell'Annunziata. Nel febbraio 1773 Carlo Emanuele III morì e gli succedette Vittorio Amedeo III.
Alla fine del 1773, il re chiese al Consiglio di Torino di cooptare il M., concedendo anche una deroga alle norme che regolavano l'accesso al Consiglio, vista la parentela del M. con i San Martino della Morra e i Biandrate di San Giorgio. Dal 1774, così, il M. divenne decurione di prima classe, l'incarico che era stato di suo padre. Egli, comunque, non ricoprì alcuna carica nel governo comunale e non partecipò quasi mai alla vita del Consiglio. Quale segno pubblico della fortuna del M., nell'agosto 1774 Carlo Emanuele si trasferì qualche giorno alla "delizia" del Malines. Il 20 sett. 1774 il re lo promosse luogotenente generale di cavalleria.
Dopo intense trattative, favorite da Jeanne Bécu, contessa du Barry, nell'agosto 1775 Carlo Emanuele sposò Maria Clotilde di Borbone, sorella di Luigi XVI. La corte del principe ereditario fu riorganizzata e diversi di coloro che erano stati accanto al giovane negli anni precedenti furono chiamati a ricoprirvi le cariche principali. Non così il M., che fu l'unico a essere chiamato alla corte di Vittorio Amedeo III, che lo nominò gran ciambellano il 22 ott. 1775.
Il gran ciambellano era uno dei quattro "grandi di Corona", i cortigiani cui era affidata la direzione delle quattro parti in cui era divisa la corte sabauda: Casa, Camera, Scuderia e Cappella. Era a capo della Camera e gli spettava la sovrintendenza "delle stanze e della direzione di esse in tutti i palazzi di Sua Maestà". Come gli altri grandi di Corona, poteva parlare direttamente al sovrano ogni qualvolta lo ritenesse opportuno e era l'unico che potesse porgere direttamente al re quanto gli serviva durante importanti cerimonie quotidiane quali il "lever" e il "coucher". Al gran ciambellano spettava la direzione e il controllo di tutti i lavori che si svolgevano nei palazzi reali e la gestione dei rapporti con gli artisti di corte. In realtà, durante il regno di Carlo Emanuele III queste competenze erano passate di fatto al governatore dei regi palazzi, carica assegnata dal 1736 al conte Carlo Emanuele Cavalleri di Groscavallo. Il M. cercò di riconquistare al suo ruolo quelle competenze: per prima cosa ordinò una vasta campagna di inventariazione dei quadri e degli arredi di palazzo reale e poi si attivò per riportare sotto il proprio controllo le scelte e le decisioni in merito ai lavori da eseguirsi. Ciò, naturalmente, portò a un forte contrasto con il conte Cavalleri, puntualmente registrato dal M. nei suoi Mémoires.
Fra il 1775 e il 1778 il M. lavorò alla costituzione della Regia Accademia di pittura e scultura. Insieme con il teatino piemontese Paolo Maria Paciaudi, per lunghi anni bibliotecario del duca di Parma e con molti contatti culturali nella penisola, il M. stese i regolamenti dell'Accademia (emanati nel 1778) e scelse gli uomini cui affidarne la guida. Nel 1777 chiamò il pittore francese, naturalizzato romano, Lorenzo Pécheux come direttore-artista, e lo fece nominare primo pittore di corte. Nello stesso tempo, affidò la carica di direttore-segretario al conte Agostino Tana di Santena, il drammaturgo amico di Vittorio Alfieri, allievo di Paciaudi e gentiluomo di bocca a corte. Si trattava di un forte rinnovamento per la cultura artistica piemontese, che incontrò non poche resistenze, e lo stesso Pécheux fu duramente osteggiato, ma fu sempre protetto dal Malines. Dopo essersi consultato con l'amico Paciaudi, il M. si dimise da gran ciambellano all'inizio d'ottobre 1779. Ritiratosi a vita privata, fra il 1780 e il 1782 redasse i propri Mémoires.
Il M. morì a Torino il 15 maggio 1783. Fu sepolto nell'eremo dei Camaldolesi, chiesa dell'Ordine della Ss. Annunziata.
Il M. lasciò erede Maurizio (1720-95), unico fratello sopravvissutogli, che aveva avuto una vita bizzarra; abbandonata e ripresa più volte la carriera militare, nel 1782 era sembrato intenzionato a prendere i voti. Al contrario, morto il M., sposò Enrichetta del marchese Perruccard de Ballon (Manno, p. 272), di nobiltà savoiarda, e da tali nozze nacque Vittoria Lucia (1786-1857), destinata a essere l'ultima dei Malines.
La Généalogie historique de la Maison des Berthouds anciens seigneurs de Malines; éclaircie et écrite par Joseph Robert de Malines comte de Bruin, suivi des Mémoires sur les temps où l'auteur a vécu si conserva manoscritta in due esemplari. Alla morte del M. l'originale passò ai conti De Rossi di Santa Rosa, nella cui biblioteca era conservato ancora alla metà del Novecento. Una copia redatta nel 1824 è presso la Biblioteca reale di Torino, Mss., Storia patria, 478. Utilizzando questo secondo esemplare, le sole memorie del M. (corrispondenti alle cc. 54-357) sono state edite in Le "Memorie" del conte Roberto Malines, cit.; ancora, alla Biblioteca reale di Torino, Mss., Varia, 246, si conserva il codice che riunisce i manoscritti degli Entretiens sur des sujets qui ont rapport à la religion (1758) e degli Entretiens sur differentes matières qui ont rapport au gouvernement (1766), entrambi citati. Tale codice apparteneva all'abate Solaro, dal quale giunse, per diversi passaggi, al conte Cesare Saluzzo di Monesiglio.
Fonti e Bibl.: Ventisei lettere del M. scritte a padre Paciaudi tra il 1776 e il 1783 sono alla Biblioteca Palatina di Parma, Fondo Paciaudi, cass. 81. A. Manno, Relazione del Piemonte del segretario francese Sainte-Croix, n. 1, Il conte di Malines e le sue memorie, in Miscellanea di storia italiana, s. 2, XVI (1877), pp. 166-181; F. Vermale, La franc-maçonnerie savoisienne à l'époque révolutionnaire d'après ses registres secrets, Paris 1912, p. 52; M. Zucchi, I governatori dei principi reali di Savoia illustrati nella loro serie con documenti inediti, in Miscellanea di storia italiana, s. 3, XXII (1925), ad ind.; P. Maruzzi, Notizie e documenti sui liberi muratori in Piemonte nel secolo XVIII, in Boll. storico-bibliogr. subalpino, XXX (1928), pp. 145 s.; A. Olmo, Il conte R. M. uomo d'arme, di corte e di scienza, in Boll. della società per gli studi storici, archeologici ed artistici della provincia di Cuneo, n.s., XIX (1952), 30, pp. 37-75; C. Francovich, Storia della massoneria in Italia dalle origini alla Rivoluzione francese, Firenze 1974, p. 180; E. Ragusa, Prime indagini sul guardamobile, in Arte di corte a Torino da Carlo Emanuele III a Carlo Felice, a cura di S. Pinto, Torino 1987, pp. 199-214; G. Ricuperati, Il Settecento, in Il Piemonte sabaudo. Stato e territori in età moderna, a cura di P. Merlin, Torino 1994, pp. 573, 755-757; A. Merlotti, L'enigma delle nobiltà. Stato e ceti dirigenti nel Piemonte del Settecento, Firenze 2000, pp. 212-216; P. Bianchi, Onore e mestiere. Le riforme militari nel Piemonte del Settecento, Torino 2002, pp. 115 s., 145-150; R. Buoso, Joseph Robert de Malines et l'éducation de Charles Emmanuel IV, in L'institution du prince au XVIIIe siècle. Actes du VIIIe colloque(, Grenoble( 1999, a cura di G. Luciani - C. Volpilhac-Auger, Ferney-Voltaire 2003, pp. 131-138; Torino, Biblioteca Reale, A. Manno, Il patriziato subalpino, vol. B-BOGG (dattiloscritto), p. 272.