RENSI, Giuseppe
RENSI, Giuseppe. – Nacque a Villafranca di Verona il 31 maggio 1871 da Gaetano, medico, e da Emilia Wallner, di origini salisburghesi.
Nella famiglia paterna, di tradizioni borghesi e benestanti, prevalevano gli interessi di tipo scientifico (ingegnere era il nonno e medico anche il bisnonno). Il padre veniva da un precedente matrimonio, conclusosi tragicamente con la morte della moglie e del figlio; felice fu invece la sua seconda unione coniugale, che vide anche la nascita di una figlia, Teresa, alla quale Rensi rimase sempre molto legato.
Dopo gli studi liceali a Verona, si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza a Padova e proseguì la sua formazione giuridica a Roma, dove si laureò nel 1893. Iniziò quindi a esercitare la professione di avvocato a Legnago, presso lo studio del noto giurista Achille Fagiuoli, ma nel 1895 – su invito di Filippo Turati – si trasferì a Milano, dove assunse la direzione di Lotta di classe e collaborò con Critica sociale e con la Rivista popolare.
Il periodo milanese, caratterizzato dall’attività giornalistica e dall’impegno politico tra le file dei socialisti, si concluse nel 1898, quando Rensi, in seguito ai moti popolari e alle misure repressive che ne derivarono, fu costretto alla fuga nel Canton Ticino. In Svizzera – Paese del quale ottenne la cittadinanza, non senza qualche difficoltà, nel 1903 – conobbe e sposò, nel 1899, la pedagogista Lauretta Perucchi, dalla quale ebbe due figlie, Algisa ed Emilia; riprese a lavorare come avvocato e si dedicò ancora al giornalismo (scrivendo principalmente sulle pagine del Dovere di Bellinzona e dell’Azione di Lugano); fu eletto nel 1905 deputato socialista e, nello stesso anno, fu nominato segretario del Gran Consiglio e del Consiglio di Stato.
Negli anni ticinesi videro la luce i suoi primi libri: Una repubblica italiana (il Cantone Ticino), Milano 1899, un volumetto nel quale intendeva dimostrare che «il Ticino […] ha incominciata la sua evoluzione politica autonoma più tardi di molte altre terre italiane, ed ha raggiunto in brevissimo tempo uno stadio di sviluppo democratico di gran lunga più avanzato di quello dell’Italia intera» (p. 32); Gli Anciens régimes e la democrazia diretta (Bellinzona 1902), un’opera – che ebbe una notevole fortuna e più edizioni – nella quale vengono confrontate tra loro le forme di governo antiche e moderne e si propone con forza il modello rappresentato dalla democrazia diretta; Studi e note di filosofia, storia, letteratura, economia politica (Bellinzona 1903), una raccolta di saggi nei quali i temi più diversi sono affrontati in una cornice filosofica di impronta fondamentalmente positivistica.
Del periodo svizzero di Rensi va anche ricordata la collaborazione – che andò ben oltre il semplice ruolo di caporedattore – con Coenobium, la rivista luganese «di liberi studi» (fondata nel 1906 da Enrico Bignami e Arcangelo Ghisleri) che costituì, nel panorama culturale europeo del primo Novecento, un vivace laboratorio internazionale di ricerche di carattere principalmente filosofico e religionistico.
Tornò in Italia nel 1908, in virtù del mutato clima politico e a seguito dell’insistenza degli amici socialisti, tra i quali
Leonida Bissolati e Anna Kuliscioff. A Verona riprese sia l’attività legale sia quella politica, ricoprendo varie cariche nelle istituzioni locali; ma nel 1911 si allontanò dal Partito socialista e iniziò a dedicarsi alla carriera accademica: nello stesso anno ottenne la libera docenza di filosofia morale a Bologna, nel 1913-14 ebbe l’incarico di filosofia del diritto a Ferrara, nel 1914-16 tenne la cattedra di filosofia al Magistero di Firenze e infine insegnò filosofia morale, nel 1916-18 a Messina e poi, definitivamente, a Genova.
Nei primi anni Dieci pubblicò le opere che attestano il passaggio, per quanto riguarda la sua prospettiva filosofica di fondo, dal positivismo all’idealismo; le più importanti sono Le antinomie dello spirito (Piacenza 1910), Il genio etico e altri saggi (Bari 1912) e La trascendenza. Studio sul problema morale (Torino 1914). Con questi scritti si orientò dapprima verso una forma di idealismo immanente di ispirazione hegeliana, per poi approdare invece, sul piano sia teoretico sia etico, a un idealismo fortemente connotato in senso trascendente (nel quale si profila una morale di natura intuizionista e aristocratica che anticipa gli esiti della riflessione etica degli anni Trenta).
Ma è verso la metà del medesimo decennio che iniziò ad assumere contorni ben definiti quell’orientamento scettico che Rensi non abbandonò più e che costituisce la cifra caratteristica del suo pensiero. Come egli stesso ricorda: «fu mentre ero all’Università di Messina, intorno al 1916, che acquistai […] piena consapevolezza dell’indole scettica della mia mente e che gli sparsi ingredienti scettici sempre stati presenti nel mio spirito, vennero a fondersi in un tutto armonico e completo. E ciò che produsse in me questa ‘illuminazione’ fu soprattutto la guerra» (Autobiografia intellettuale. La mia filosofia. Testamento filosofico, Milano 1939, pp. 12 s.).
Rensi individuò il significato profondo della prima guerra mondiale – e della guerra in generale – nella dimostrazione che non esiste un’unica ragione, tale da creare le basi per un accordo comune e universale, bensì molteplici ragioni distinte e in costante conflitto tra loro (quali sono appunto le singole convinzioni degli individui appartenenti ai Paesi belligeranti). Senonché, questa drammatica ‘scoperta’ della «pluriversalità» – in luogo della pretesa «universalità» – della ragione non poteva non avere, per Rensi, delle precise conseguenze a livello filosofico: tutti i vari aspetti della vita e del pensiero dell’uomo gli apparvero infine, con estrema chiarezza, privi di qualsiasi elemento di natura razionale in grado di garantire un criterio assolutamente valido di univocità e verità.
Si impegnò quindi, tra la fine degli anni Dieci e l’inizio degli anni Venti, in una serie di ricerche che miravano a enucleare e a tematizzare l’assenza di ogni fondamento di tipo razionale sul piano metafisico così come sul piano gnoseologico, in ambito etico così come in ambito estetico, delineando al contempo i tratti di una filosofia di matrice scettica e irrazionalistica che si poneva in diretto ed esplicito contrasto con lo spiritualismo di Benedetto Croce e con l’attualismo di Giovanni Gentile. Ma una tale impostazione teorica determinò anche una netta scelta di campo sul piano più strettamente politico: fermamente convinto che l’unico rimedio per risolvere le radicali divergenze di opinione in questioni di ordine sociale – e, nella fattispecie, per porre termine alla delicata e confusa situazione politica dell’Italia del dopoguerra – fosse il ricorso a un fattore extrarazionale, ossia a un atto di forza, egli si attestò, nei primissimi anni Venti, su posizioni di stampo conservatore e autoritario e si avvicinò al fascismo.
Numerosi sono i volumi pubblicati da Rensi in questo breve lasso di tempo, tra indagini di tipo squisitamente filosofico e testi di contenuto prevalentemente politico. Sul primo versante vanno certamente ricordati i Lineamenti di filosofia scettica (Bologna 1919), La scepsi estetica (Bologna 1920), Introduzione alla scepsi etica (Firenze 1921) e L’irrazionale, il lavoro, l’amore (Milano 1923); al secondo versante appartengono invece La filosofia dell’autorità (Palermo 1920), L’orma di Protagora. Constatazioni politiche (Milano 1920) e Teoria e pratica della reazione politica (Milano 1922). Di particolare importanza sono i Lineamenti di filosofia scettica, vero e proprio ‘manifesto’ dello scetticismo rensiano, e La filosofia dell’autorità, un testo nel quale vengono del tutto abbandonati gli ideali democratici professati in precedenza e la politica dell’autorità e della forza viene presentata come pienamente coerente con una visione del mondo scettica e irrazionalistica.
Allo scetticismo e all’irrazionalismo, nel prosieguo degli anni Venti e durante tutti gli anni Trenta, la riflessione rensiana rimase saldamente ancorata, assumendo però toni sempre più pessimistici. E su questa prospettiva teorica si innestarono, da un lato e in un primo momento, un’elaborazione in senso realistico e materialistico delle problematiche gnoseologiche; dall’altro e in un secondo momento, una spiccata sensibilità religiosa che si intreccia con l’approfondimento delle tematiche etiche.
Di questo periodo sono i libri di Rensi più noti. In Interiora rerum (Milano 1924; poi ripubblicato con lievi modifiche e con il titolo La filosofia dell’assurdo, Milano 1937), si sostiene che «scetticismo e pessimismo […] rampollano spontaneamente dalla medesima radice» (p. 12); viene proposta un’interpretazione del reale che ne rivela la natura contraddittoria e il carattere di assurdità; si rifiuta qualsiasi soluzione ottimistica e si individua in un senso tragico della vita l’unico atteggiamento possibile. Apologia dell’ateismo (Roma 1925) e il successivo Apologia dello scetticismo (Roma 1926) sono due volumetti nei quali, rispettivamente, l’ateismo viene visto come «la più alta e pura di tutte le religioni» (p. 99) e le basi scettiche della filosofia rensiana sono esposte in maniera sintetica, ma assai efficace; mentre Il materialismo critico (Milano 1927) è il testo della relazione che Rensi lesse al VII Congresso nazionale di filosofia (che si tenne a Milano nell’aprile del 1926), una relazione – aspramente criticata da Gentile – nella quale, sulla scorta di una lettura realistica di alcuni aspetti del pensiero kantiano, viene affermata la perfetta sintonia esistente tra scepsi e materialismo. La meditazione etica si concentra in Critica della morale (Catania 1935) e nel postumo La morale come pazzia (Modena 1942), nel quale alla critica dell’etica razionalistica e utilitaristica segue l’abbozzo di una «morale superiore, che è prodotto non di sapere, di conoscenza, ma di intuizione, una morale che si presenta come alcunché di insuperabilmente arazionale, impossibile a ridurre a un metro di obbiettività e a un calcolo» (p. 223). Infine, le Lettere spirituali, anch’esse pubblicate postume (Milano 1943), raccolgono una serie di scritti, apparsi su rivista alla fine degli anni Trenta, che esprimono quello che può essere considerato l’approdo ultimo del tormentato percorso intellettuale di Rensi: una sorta di ‘religiosità laica’ consistente in un potente richiamo ai più alti valori morali e spirituali.
Ma gli anni Venti e Trenta furono anche segnati, sul piano biografico e non solo, dall’allontanamento dal fascismo e dalle drammatiche conseguenze che ne seguirono. Rensi non abbandonò i propri principi in tema di politica, ma si rese ben presto conto dell’estrema gravità di ciò che stava accadendo in Italia e divenne, almeno dal 1924, un fermo oppositore del regime. Nel 1925 fu tra i firmatari del Manifesto degli intellettuali antifascisti di Croce; tra il 1925 e il 1927 tentò a più riprese di trovare una collocazione accademica all’estero (in particolare in Svizzera, tramite i buoni uffici del politico ticinese Evaristo Garbani Nerini) per poter espatriare; nel 1926 pubblicò Autorità e libertà (Roma 1926), un volume di filosofia politica dal quale traspariva chiaramente il suo dissenso. La reazione non si fece attendere: nel 1927 fu sospeso una prima volta dall’insegnamento; nel 1930 fu arrestato insieme con la moglie, scarcerato dopo quasi tre mesi grazie a uno stratagemma escogitato dall’amico Emanuele Sella (il quale fece uscire sul Corriere della sera un falso necrologio) e da ultimo scagionato dopo un periodo di confino a Levanto; nel 1934 dovette rinunciare definitivamente alla cattedra e fu relegato al Centro bibliografico dell’Ateneo genovese.
Morì a Genova il 14 febbraio 1941, dopo un breve ricovero in ospedale e un intervento chirurgico. Durante il suo funerale, la polizia impedì ai presenti di seguire il carro funebre fino al cimitero di Staglieno.
Fonti e Bibl.: Presso l’Università di Milano è conservato il Fondo G. R., che comprende sia materiali manoscritti e a stampa, sia documenti di carattere epistolare (cfr. Fondo G. R. Inventario con una scelta di lettere inedite, a cura di L. Ronchetti - A. Vigorelli, Milano 1996).
Tra i numerosissimi scritti dedicati a Rensi dopo la sua morte, si segnalano in particolare i seguenti: G. R. Atti della Giornata rensiana (30 aprile 1966), a cura di M.F. Sciacca, Milano 1967; A. Santucci, Un «irregolare»: G. R., in Rivista di filosofia, LXXV (1984), pp. 91-130; L’inquieto esistere. Atti del Convegno su G. R. nel cinquantenario della morte (1941-1991), a cura di R. Chiarenza et al., Genova 1993; N. Emery, Lo sguardo di Sisifo. G. R. e la via italiana alla filosofia della crisi, Milano 1997; F. Mancuso, L’itinerario intellettuale di G. R. nelle lettere inedite a Guglielmo Ferrero (1902-1928), in Nuova Antologia, ottobre-dicembre 1998, pp. 218-253; P. Serra, Il pensiero politico di G. R. Tra dissoluzione del socialismo e formazione dell’alternativa nazionalista (1895-1906), Milano 2000; G.M. Barbuto, Nichilismo e Stato totalitario. Libertà e autorità nel pensiero politico di Giovanni Gentile e G. R., Napoli 2007; F. Meroi, G. R. Filosofia e religione nel primo Novecento, Roma 2009; P. Macaluso, G. R. sognava la Svizzera. Il carteggio con Evaristo Garbani Nerini, in Il Cantonetto, febbraio 2013, pp. 49-62.