PORTIGLIOTTI, Giuseppe
PORTIGLIOTTI, Giuseppe. – Nacque a Fara Novarese il 6 agosto 1875 da Giacomo e da Rosa Pariani.
Frequentò il liceo a Novara e si laureò in medicina a Torino, dove fu allievo di Cesare Lombroso. Passò poi due anni a Parigi, dove frequentò le lezioni di Jean-Martin Charcot. Giunto a Genova esercitò per qualche anno presso la clinica privata Villa Charcot diretta da Pietro Bodoni, un ex assistente di Enrico Morselli, del quale Portigliotti sposò la sorella Margherita, con la quale ebbe due figlie: Virginia, poi moglie di Costantino Serrusi, e Rosa. Fu medico dei manicomi provinciali genovesi e collaboratore di Enrico Morselli all’Università.
La sua figura merita di essere ricordata soprattutto per l’intensa attività nel campo della ricerca storica e della divulgazione. Fu redattore della rivista genovese Quaderni di psichiatria e neuropsichiatria, e redattore capo dell’Illustrazione medica italiana, diretta da un altro psichiatra operante a Genova, Mario Umberto Masini. I suoi numerosissimi articoli furono pubblicati, oltre che su queste citate, su riviste psichiatriche e di cultura, di ambito nazionale e locale. Quanto alle monografie, alcune di esse apparvero in collane destinate a un’ampia diffusione. La sua duplice identità di cultore della psichiatria e della storia fu sottolineata dal necrologio che gli dedicò il quotidiano genovese Il lavoro: «Un grave lutto colpisce gli studiosi di psichiatria e di storia» (2 dicembre 1933).
Le sue monografie si possono suddividere in quattro gruppi: psichiatria, storia della psichiatria e della medicina, psichiatria applicata alla storia, storia.
Appartengono al primo, oltre a vari articoli, L’eredità consanguinea (1901) e Psicoterapia (1903). Al secondo, oltre a numerosi articoli inerenti la storia dell’assistenza sanitaria e psichiatrica, in particolare a Genova, i saggi I folli nell’arte, del 1907, corredato da una ricca iconografia, e soprattutto L’assistenza dei malati di mente a Genova (Note storiche), pubblicato tra il 1929 e il 1932 e poi interrotto, che rappresenta la prima storia organica della psichiatria genovese dal XVII al XIX secolo. Il terzo gruppo è il più numeroso, e raccoglie, oltre a un’infinità di articoli dal titolo spesso curioso, gli studi più apprezzati allora, e oggi più discussi.
Portigliotti fu uno degli esponenti di quella che Enrico Artifoni (2014) chiama «medievistica psichiatrica e criminologica» (p. 115), che si sviluppò a cavallo tra XIX e XX secolo a opera di esponenti del positivismo quali Lombroso, Giuseppe Sergi, Scipio Sighele, Alfredo Niceforo, Enrico Ferri. Portigliotti non fu il solo psichiatra di area genovese a cimentarsi con questo orientamento, che vide coinvolti Morselli, Masini e Giuseppe Vidoni, ma certo fu quello che vi si dedicò in modo più assiduo.
Nella prefazione a Porpore, pugnali, etere, del 1923, esponeva con chiarezza il suo intento: «Col pretesto dell’ambiente o, come un tempo si diceva, del clima storico, si finisce spesso col cadere in un vacuo semplicismo e in una frettolosa e pericolosa generalizzazione. In alcuni esempi della Storia, la presenza di elementi patologici è già tuttavia ammessa […]. E si può essere sicuri che quando un individuo vi s’aderge con linee troppo dissonanti, si è di fronte a un’efflorescenza più o meno anomala, e non a un prodotto peculiare della propria età. Tolta la vernice esterna, che è poi il colore del tempo, balza infatti l’anormalità dell’individuo, la quale è più o meno identica in ogni periodo della Storia. Il delinquente, il degenerato sessuale o il pazzo sono figure che si conservano pressoché immutate lungo i secoli; tutt’al più varieranno i confini delle singole entità morbose; ma il tipo patologico, allo stesso modo di quello fisiologico, rientra sempre nel medesimo quadro generale» (p. VI). Allo stesso modo di quello fisiologico, appunto: che è l’individuo moderato nei campi della fede, della vita sessuale, della lotta per prevalere.
Portigliotti operava dunque sullo sfondo dello schema generale della storiografia psichiatrica, per la quale il Medioevo è un periodo di degenerazione e di follia, ma contemporaneamente se ne distanziava alla ricerca dei ‘casi’ individuali che emergono nel clima generale del Medioevo come esagerazioni patologiche, o nelle ‘penombre’ del Rinascimento come il contrappunto chiaroscurale. Cadde vittima di questa impostazione nel 1902 Gerolamo Savonarola, la cui testimonianza di misticismo e radicalità evangelica era bollata con la diagnosi di monomania e paranoia mistica e riformatrice, alla cui base sarebbe stata la combinazione tra la diffidenza verso l’ambiente e un’esagerata vanità, arricchita da un corteo di deliri e allucinazioni. Né miglior sorte toccò nel 1909 al ‘poverello d’Assisi’, considerato affetto dall’esagerazione morbosa e delirante del misticismo proprio dei tempi, arricchito da visioni e voci soprannaturali considerate in realtà allucinatorie. Arricchiscono il quadro della ‘clasmofilia’ (un neologismo attraverso il quale Portigliotti si riferiva al grado estremo patologico della brama dell’umiliazione), la fede nei sogni e nel caso come manifestazioni della divinità, le voci allucinatorie riconducibili a un ‘delirio mistico’ destinato a far sì che «il popolo, il perenne fanciullo della storia, si inteneriva a quelle voci di bontà, di dolcezza e di amore» (I folli nell’arte, 1907, p. 77). A completare il quadro clinico le stigmate, spiegate come una ripercussione vasomotoria dell’allucinazione in un sistema nervoso usurato e sede di frequenti fatti patologici, simile a quanto sperimentalmente avevano verificato Pierre Janet e altri in corso di suggestione ipnotica. In questo caso, riporta Artifoni che il testo ebbe sì l’entusiasta adesione di Lombroso, ma fu stroncato in ambito di critica storica da Umberto Cosmo. Analogo schema si trova però nel 1913 nello studio Le spose di Gesù, con il quale l’esperienza delle sante mistiche viene interpretata, in polemica con Théodule-Armand Ribot, come la conseguenza di un quadro psicopatologico da riferirsi all’area della paranoia più che a quella dell’isteria o dell’affettività.
Seguì una serie di monografie dedicata alle penombre della vita delle corti rinascimentali – e in primis di quella pontificia, in particolare nei settant’anni che Portigliotti definiva del ‘figliolismo’ papale da Sisto IV a Paolo III – aperta da I Borgia, del 1921, rapidamente tradotto in inglese, francese e tedesco e più volte edito in italiano.
Se il caso dei santi mistici del Medioevo era stato affrontato con le categorie della psicopatologia classica, quello della famiglia pontificale spagnola rientrava nell’antropologia criminale e Portigliotti poteva dar fondo a tutto l’armamentario lombrosiano in tema di degenerazione e ineluttabile e congenita disposizione al crimine e alla perversione sessuale.
Nelle monografie successive, tuttavia, la stretta dello psichiatra sullo storico sembra gradatamente allentarsi, fino a lasciare a tratti la scena alla passione per la ricerca d’archivio, allo sforzo di comprensione della vicenda umana di personaggi spesso delicati come Simonetta Cattaneo, Tomasina Spinola o Elena Tarabotti, e a uno stile narrativo avvincente e piacevole.
Portigliotti morì a Genova il 1° dicembre 1933.
Opere. Si indicano qui le principali: L’eredità consanguinea, Torino 1901; Un grande monomane: Fra Girolamo Savonarola, Torino 1902; I folli nell’arte, Genova 1907; San Francesco d’Assisi e le epidemie mistiche del Medio Evo (studio psichiatrico), Napoli 1909; Le spose di Gesù, Bologna 1913; I Borgia, Milano 1921 (London 1925; Paris 1927; Helsinfors 1928; Stuttgart 1933); Porpore, pugnali, etere, Milano 1923; Genova. Glorie e splendori, Genova 1927; Donne nel rinascimento, Milano s.d. (ma 1927; London 1929); L’assistenza dei malati di mente a Genova (Note storiche), in Neuropsichiatria, I (1929), pp. 83-108, IV (1932), pp. 205-225; Penombre claustrali, Milano 1930; Per una biografia psicologica di Colombo, Genova 1932; I Condottieri, Milano 1935.
Fonti e Bibl.: G. Ansaldo (Stella Nera), In memoria di G. P., in Il Raccoglitore ligure, II (1933), 12, pp. 5 s.; necrologio, in Neuropsichiatria, V (1933); necrologio, in Il lavoro, 2 dicembre 1933; G. Vidoni, G. P., in Giornale di psichiatria e neuropatologia, IV (1934); E. Maura - P.F. Peloso, Lo splendore della ragione. Storia della psichiatria ligure nell’epoca del positivismo, Genova 1999, pp. 449 s.; E. Artifoni, Ascesa e tramonto della medievistica psichiatrica e criminologica in Italia al tempo di Arturo Graf. Alcuni esempi, in Il volto di Medusa. Arturo Graf e il tramonto del Positivismo, a cura di C. Allasia - L. Nay, Alessandria 2014, pp. 115-134.