POLVINI FALICONTI, Giuseppe
POLVINI FALICONTI, Giuseppe. – Nacque a Camerino da Mattia Polvini e da Anna Faliconti e fu battezzato il 3 marzo 1673 nella chiesa di S. Giusto nella frazione di San Maroto, vicino a Polverina, dove la famiglia abitava.
Faliconti era il cognome di una distinta famiglia che all’epoca era ben attestata a Camerino, non già, come sembrò, un soprannome adatto a un impresario («È morto il Polvini, detto communemente “Fa li conti”», Valesio, VI, 1979, p. 422).
Giuseppe si stabilì ai primi del Settecento a Roma per esercitarvi la professione di procuratore legale (dal 1710 ebbe studio e abitazione in via Frattina). I contatti con il mondo artistico furono forse favoriti dal fratello minore Alessandro, che nel 1702 vinse il secondo premio per la II classe di architettura nel Concorso Clementino indetto dall’Accademia di S. Luca. Frequentando i teatri, Polvini fu notato dal cardinale Pietro Ottoboni, che gli affidò la gestione del teatro della Pace, di cui era affittuario e patrocinatore. Così lasciò via Frattina e nel 1719 si stabilì in via di Tor Millina, vicino al teatro, dove dal 1721 al 1724 produsse stagioni di opere in musica di tutto rispetto.
Nel 1721 utilizzò, opportunamente ‘rinfrescati’, due drammi veneziani del decennio precedente, la Merope di Apostolo Zeno e la Zoe overo Il comando non inteso ed ubbidito di Francesco Silvani, musicati l’uno da Antonio Bononcini, l’altro da Francesco Gasparini: Polvini puntava così sull’anziano compositore toscano, cui dopo due stagioni il conte d’Alibert non aveva rinnovato il contratto per il teatro delle Dame, e sul Bononcini minore proprio mentre il maggiore, Giovanni, dava il suo ultimo dramma romano sulle scene del Capranica.
Nel 1722-23 Polvini dovette ripiegare su commedie ‘all’improvviso’, in quanto per ordine del papa furono proibite al Pace le opere in musica, limitate alle due sale maggiori (Alibert e Capranica). Per il 1724 il cardinale Ottoboni fece riavere all’impresario la licenza per l’opera in musica: in quell’anno Camillo Capranica comprò il teatro dallo zio Federico, costretto a venderlo a causa di molti debiti, e chiamò come impresario l’«abbate» Polvini, che aveva fatto la migliore offerta per gestirlo (380 scudi annui) e già dato prova delle sue abilità al teatro della Pace. Il contratto d’affitto (10 luglio 1725) fu triennale, con risoluzione automatica alla scadenza senza obbligo di disdetta. Dal 1726 Polvini assunse la gestione del Capranica (1726-28) e vi allestì una stagione di qualità, con due drammi per musica su vecchi e amati libretti composti ex novo da musicisti di successo, riuscendo così a fronteggiare la concorrenza del teatro delle Dame: chiamò a Roma il compositore della Didone metastasiana acclamata a Venezia l’anno prima, Tomaso Albinoni (fu l’unica sua presenza romana), e gli affidò la seconda opera di carnevale, la Statira (Zeno e Pietro Pariati); mentre per la prima chiamò il napoletano Leonardo Leo, che musicò il vetusto, ma illustre, Trionfo di Camilla (Silvio Stampiglia).
Nei rapporti con i due compositori, Polvini si valse di potenti patroni porporati, Ottoboni e Niccolò Coscia, favorito di papa Benedetto XIII. L’anno seguente Leo musicò il secondo dramma della stagione, Il Cid (un vecchio dramma di Giovan Giacomo Alborghetti), mentre il primo, L’amor generoso (Zeno), ebbe musica di Giovanni Costanzi, il virtuoso di violoncello caro a Ottoboni, al suo primo melodramma. La maggiore attrazione della stagione fu Carlo Broschi, detto il Farinello, primo uomo in entrambe le opere (ma una sera, per i suoi capricci, fece passare un brutto momento all’impresario, che rischiò l’arresto per aver la recita superato l’orario consentito dai bandi, cfr. Valesio, IV, 1978, p. 769).
Il rapporto tra Polvini e Capranica finì in una causa, e il 15 luglio 1728 l’impresario riconsegnò gli stigli teatrali al proprietario, che nel frattempo aveva affittato il teatro a Girolamo Mainardi (23 aprile 1728). Nel carnevale 1729 Polvini tornò a dirigere il teatro della Pace, dove Ottoboni aveva di nuovo ottenuto di poter dare drammi per musica in aggiunta alle stagioni musicali alle Dame e al Capranica.
Gli allestimenti, su libretti riforbiti all’uopo, furono ambiziosi: la «favola drammatica» Rosmene (rifacimento di una serenata di Stampiglia, con musica nuova di Costanzi) e l’Arianna e Teseo (Pariati, con musica nuova di Leo). Negli otto anni successivi il teatro della Pace ospitò solo spettacoli di parola; Polvini subaffittò il teatro al fabrianese Sante Ramelli.
Il 7 marzo 1731 Polvini prese in affitto per sei anni dal duca Sforza Giuseppe Sforza Cesarini il teatro di torre Argentina, ancora in costruzione, per un canone di 1300 scudi annui per il primo triennio e 1400 per il secondo, impegnandosi a provvedere il teatro di macchine, attrezzerie, costumi: tutto materiale che al termine del contratto sarebbe rimasto in dotazione ai proprietari del teatro (la prima stagione aprì il 13 gennaio 1732 con Berenice di Domenico Sarro, seguita il 10 febbraio da Rosbale di Geminiano Giacomelli). Il manifesto appoggio del papa al duca inibì nel carnevale 1732 le proteste per l’aumentata concorrenza, ma le pretese dell’ambasciatore francese sui palchetti all’Argentina innescarono un contenzioso diplomatico che indusse Clemente XII a far chiudere i maggiori teatri romani dal 1733 al 1737. Per non privare del tutto la città di spettacoli musicali il papa fece ricostruire il teatro Tordinona, a spese della Camera apostolica che ne era proprietaria, senza pareti divisorie tra i palchi, affidandone la gestione al depositario generale Ferdinando Minucci: costui chiamò l’esperto Polvini per allestirvi drammi per musica (1734-37).
Per la stagione 1735 l’impresario presentò L’Olimpiade, musica di Giambattista Pergolesi, e il Demofoonte, musica di Francesco Ciampi, i due più patetici drammi del Metastasio, scritti dal poeta a Vienna due anni prima.
Il 27 agosto 1737 Polvini riuscì a comporre le controversie sorte con Sforza Cesarini per il residuo affitto dell’Argentina del 1732 e per le pigioni non pagate del casino Cesarini, dov’era andato ad abitare fin da quell’anno. In cambio riconosceva al duca il diritto di affittare il teatro ad altri impresari, durante il rapporto con lui, a esclusione delle opere in musica. Nell’atto furono nominati solidali entrambi i fratelli dell’impresario, Alessandro e Antonio, sacerdote. Nel carnevale 1738 per l’ultima volta Polvini allestì al Pace uno spettacolo interamente cantato, Elisa (musica del napoletano Gasparo Spanò), preparato in fretta, in attesa che il 27 agosto gli fossero consegnate le chiavi dell’Argentina. Lì, nonostante il buon successo del Vologeso re de’ Parti (Zeno, musica di Rinaldo di Capua) nel 1739, l’impresario, prossimo al fallimento, nel dicembre 1740 subaffittò il sesto e ultimo ordine di palchi per pagare gli addetti alle opere da mandare in scena nel carnevale 1741.
Il 22 gennaio 1741, pochi giorni prima dell’inizio delle recite dell’Astianatte (Antonio Salvi, musica di Niccolò Jommelli), l’impresario morì nella casa di proprietà dei Padri degli Infermi di S. Maria Maddalena, accanto all’Argentina (dove abitava dal gennaio 1740); fu sepolto nella sua parrocchia, S. Carlo ai Catinari.
Polvini ebbe un ruolo di spicco nel panorama del teatro in musica a Roma dal 1721 al 1741. Fu per tutta la sua attività legato al cardinale Ottoboni; collaborò costantemente con l’architetto e scenografo di fiducia del cardinale, Domenico Vellani, e con l’editore veneziano Antonio de Rossi, che stampò e vendette i libretti di quasi tutte le opere da lui allestite; ebbe rapporti d’amicizia e collaborazione con Filippo de Rossi, negoziante di stampe «alla Pace», e con Pier Leone Ghezzi (che negli anni 1725-30 gli fece quattro caricature, di cui una mentre gioca a carte con Filippo de Rossi e una in cui, impresario al Capranica, compare ilare e soddisfatto). Fu amico del Metastasio, che lo chiamava «l’ortolano di Parnaso» (lettera del 18 settembre 1733; cfr. Tutte le opere, III, 1951, p. 93), e come tale offrì al pubblico i buoni frutti del Parnaso poetico e musicale (insieme ai non sgraditi frutti di un buon lucro agli artisti). Le sue capacità nelle scelte artistiche e nell’organizzazione degli spettacoli furono considerate di prim’ordine, ma tanta abilità non lo salvò dal fallimento, destino di molti impresari teatrali: morì lasciando «una eredità abbondantissima di debiti» (Valesio, VI, 1979, p. 433).
Fonti e Bibl.: Camerino, Archivio parrocchiale di S. Maroto, Battesimi, reg. 22, c. 150; Roma, Archivio storico del Vicariato, S. Lorenzo in Lucina, Stati delle anime, anni 1710-18; S. Nicola ai Cesarini, Stati delle anime, anni 1733-39; S. Carlo ai Catinari, Morti, III, 22.1.1741; Archivio di Stato di Roma, Trenta notai capitolini, Ufficio 25, vol. 569, c. 261; Notai della curia del governo, Ufficio 35, vol. 95, c. 668; F. Valesio, Diario di Roma, I-VI, a cura di G. Scano, Milano 1977-1979, passim; Tutte le opere di Pietro Metastasio, a cura di B. Brunelli, III, Milano 1951, ad indicem.
M. Rinaldi, Due secoli di musica al teatro Argentina, Firenze 1978, pp. 13-43; S. Franchi, Le impressioni sceniche, I-II, Roma 1994-2002, ad ind.; Id., Drammaturgia romana, II (1701-1750), Roma 1997, ad ind.; Id., Patroni, politica, impresari. Le vicende storico-artistiche dei teatri romani e quelle della giovinezza di Metastasio fino alla partenza per Vienna, in Metastasio da Roma all’Europa, a cura di F. Onorati, Roma 1998, pp. 31 s.; E. Natuzzi, Il Teatro Capranica dall’inaugurazione al 1881, Napoli 1999, ad ind.; S. Franchi - O. Sartori, Le botteghe d’arte…, Roma 2001, pp. 11, 60 s., 247, 249, 329; G. Rostirolla, Il ‘Mondo novo’ musicale di Pier Leone Ghezzi, Milano 2001, ad ind.; S. Franchi, La rappresentazione dell’Olimpiade di Pergolesi: sfondi storico-politici e vicende teatrali, in Studi pergolesiani, VII, Bern 2012, pp. 42, 44, 48-53, 55, 58; K.S. Markstrom, The eventual premiere of ‘Issipile’: P. and the palchetti war, in Intersections. Canadian Journal of music, 2013, vol. 23, n. 2, pp. 58-60, 64.