POGGI, Giuseppe
Giansenista, seguace di Scipione De' Ricci, democratico del periodo napoleonico. Nato a Piozzano, nel Piacentino, il 21 agosto 1761, compie i primi studî nel ginnasio di Piacenza; predilige la matematica di cui discute e pubblica parecchie tesi (1780). In Roma studia teologia nell'Accademia dei nobili ecclesiastici che Clemente XI aveva istituito per i giovani patrizî, e nel 1785 è ordinato suddiacono. Frequenta i convegni ricciani, e appare amico del canonico Foggini e di Giovanni Amaduzzi, gli assidui di casa Bottari. Da Roma passa a Firenze e a Pistoia, ospite del vescovo Scipione De' Ricci nella villa di Iggio. Lo studio della teologia agostiniana lo richiama a quello delle Pandette: e nel P. si viene foggiando il teologo giurista di stampo eretico, disposto a combattere i privilegi della curia e la mondanità della Chiesa, per l'integrità dei diritti dello stato e la purezza della fede. Frattanto dimostra viva passione per l'antiquaria, e tornato a Piacenza studia i trovati di Velleia e raccoglie iscrizioni romane, delle quali discute con Franco Affò, non scordando il giansenismo che gli procura l'amicizia di G. B. Bodoni. Prende parte al sinodo di Pistoia e ne difende i decreti dagli attacchi dei gesuiti. Polemista arguto, usa più volte la satira, accanto all'erudizione. Fa l'apologia del vescovo Ricci, del Pannilini, vescovo di Chiusi, ed esalta con essi tutti i ribelli, martiri della Chiesa. Sotto il nome di fra Colombano scrive le Lettere Transpadane di sapore fortemente portorealista, e caldeggia l'episcopalismo. Confida che la rivoluzione di Parigi porti la riforma nella Chiesa, ed è coi giacobini che preparano sommosse nel ducato di Parma, per accogliere, con un primo stato democraticamente costituito, l'armata francese del 1796. Getta la veste talare per la coccarda tricolore, e, mentre sorge la Repubblica Cisalpina, cospira per annettervi Parma e Piacenza. Scoperto, fugge a Milano dove svolge una propaganda repubblicano-evangelica, promotore ardente dell'unitarismo italico e oratore francofilo di ogni ritrovo democratico. Sempre fiducioso nell'umanitarismo nazionalista della Francia, concepisce l'Europa come un sistema di stati uniti sotto il protettorato di Parigi. Quivi si rifugia con la reazione austrorussa e rimane per il resto di sua vita, dimorando a Ruebelle, presso Montmorency, studioso di Lucrezio, ma pur sempre giansenista, visitato più volte da Carlo Botta a cui dona 10.000 lire per concorrere alla pubblicazione della sua Storia d'Italia. Fu per alcuni anni nel corpo legislativo, in rappresentanza del dipartimento del Taro. Morì il 19 febbraio 1842.
Bibl.: L. Mensi, Dizionario biografico piacentino, 1899; E. Rota, G. P. e la formazione psicologica del patriota moderno, Piacenza 1923.