Pitrè, Giuseppe
Lo studio e l’amore per la tradizione popolare
Medico palermitano vissuto tra Ottocento e Novecento, Giuseppe Pitrè studiò le tradizioni e i costumi della sua regione. Iniziò a raccogliere canti, danze, fiabe, proverbi, filastrocche che mise a confronto con le usanze e il folclore di altri popoli. Fondò in Italia una nuova disciplina, la storia delle tradizioni popolari. Sul materiale da lui raccolto si studia ancora oggi
Su Giuseppe Pitrè si raccontano curiosi aneddoti. Ce n’è uno che narra di due Pitrè presenti durante gli anni del colera a Palermo (1866-67). Il primo era un medico scrupoloso che curava tutti, comprese le persone più umili; il secondo era uno studioso delle credenze e delle consuetudini del popolo, anche di quello più povero.
In verità queste due persone erano una sola. Giuseppe Pitrè fu medico e allo stesso tempo un grande studioso dei giochi, degli indovinelli, dei proverbi, delle filastrocche, delle fiabe, delle feste, delle canzoni cantate dai cantastorie. Insomma dedicò una parte della sua vita alla medicina e una parte a cercare di comprendere il folclore e le tradizioni popolari della Sicilia. Per questa sua seconda attività è ancora oggi ricordato e studiato.
Nato a Palermo nel 1841, Pitrè si impegnò moltissimo nello studio delle tradizioni della sua regione. Era convinto che il popolo ha una sua saggezza, una letteratura, una grande cultura che si esprime per via orale attraverso varie manifestazioni, come il canto, la danza, il gioco, la narrazione, la fabbricazione di rudimentali strumenti musicali. Tutto questo anche se si tratta di un popolo analfabeta e incolto, che vive nelle condizioni più misere.
Studiando tali manifestazioni Pitrè si rese conto che la cultura popolare ha origini millenarie e si tramanda nei popoli di generazione in generazione, modificandosi e adattandosi alle diverse realtà. Egli pensava che il popolo non fosse consapevole del valore e dell’importanza di questa sua cultura perché nessuno l’aveva mai studiata seriamente; ma era ormai tempo di farlo.
Tra il 1871 e il 1913 Pitrè raccolse i suoi importanti studi sulla cultura popolare siciliana in 25 volumi dal titolo Biblioteca delle tradizioni popolari siciliane. Estese poi il campo della sua ricerca ad altre regioni italiane e ne raccolse i risultati nei 16 volumi di Curiosità popolari tradizionali, la collana da lui diretta dal 1885 al 1899, e nella Bibliografia delle tradizioni popolari italiane, pubblicata nel 1894, che comprende 6.600 voci.
Pitrè partiva da un principio: la tradizione si arricchisce grazie alla genialità di singoli individui. Ma nel tempo le invenzioni individuali vengono rielaborate dalla comunità con il calore della vita quotidiana. Una canzone, per esempio, è sempre creata da un poeta, ma è poi trasformata attraverso i secoli da gruppi di persone che se la passano di bocca in bocca rielaborandola e riadattandola.
Per questi suoi studi, Pitrè è considerato il fondatore della scienza del folclore in Italia. Chiamò questa nuova materia, insegnata all’Università di Palermo, con una parola particolare, demopsicologia, che vuol dire «psicologia del popolo». Oggi quella materia è chiamata nelle nostre università demologia o anche storia delle tradizioni popolari.
Malgrado queste parole un po’ difficili, in realtà Pitrè si occupava di cose molto semplici. Per esempio, nei suoi lavori sono presenti molte bellissime fiabe, molte filastrocche che le mamme cantavano ai bambini, molti giocattoli di legno o di canna con cui i ragazzi di un tempo giocavano. Inoltre Pitrè volle raccogliere e conservare, come testimonianza, quegli oggetti che il popolo costruisce ma disperde e lascia deperire. Diede così inizio alla fondazione del Museo antropologico etnografico di Palermo, che dopo la sua morte, avvenuta nella stessa città nel 1916, venne intitolato a suo nome. Nel museo sono raccolti gli oggetti più vari, come vestiti, fischietti, giocattoli, testimonianze di credenze e superstizioni. L’opera di Pitrè è ancora oggi studiata da ricercatori e studiosi di tutto il mondo.