OCCHIALINI, Giuseppe Paolo Stanislao
OCCHIALINI, Giuseppe (Beppo) Paolo Stanislao. – Nacque a Fossombrone il 5 dicembre 1907, da Augusto Raffaele, professore universitario di fisica, e da Etra Grossi, di famiglia di tradizioni liberali e massoniche.
Seguendo alcuni degli spostamenti di sede universitaria del padre, studiò a Pisa e a Firenze. Nel 1922 si iscrisse al Partito fascista, un gesto da adolescente irrequieto, ma abbandonò presto ogni adesione al fascismo. Diplomatosi al liceo scientifico, studiò fisica all’Università di Firenze, dove si laureò nel 1929.
Nell’Istituto di fisica fiorentino di quel periodo, passato alla storia come la Scuola di Arcetri, sotto la direzione di Antonio Garbasso si compivano soprattutto ricerche sulla spettroscopia e lo studio di sostanze radioattive.
L’insegnamento di fisica teorica di Enrico Persico garantiva una buona conoscenza della meccanica quantistica. Il direttore dell’Osservatorio di Arcetri, Giorgio Abetti, invitava i fisici dell’Università a partecipare al Seminario fisico e astrofisico nel quale fisici italiani e stranieri esponevano le loro ricerche. In questo stimolante contesto si inserì il primo articolo scientifico di Occhialini, pubblicato sui Rendiconti della Reale Accademia dei Lincei nel 1931, che descriveva uno spettrografo magnetico per lo studio dei raggi beta emessi da sostanze debolmente radioattive.
Con l’arrivo a Firenze di Bruno Rossi e Gilberto Bernardini, l’interesse principale di ricerca del gruppo, di cui con Occhialini facevano parte Daria Bocciarelli, Giulio Racah e Lorenzo Emo Capodilista, si spostò verso lo studio dei raggi cosmici, stimolato da un articolo dei fisici tedeschi Walter Bothe e Werner Kohlhörster (Das Wesen der Höhenstrahlung, in Zeitschrift für Physik, LVI [1929], pp. 751-777), che con le loro misure avevano mostrato come la radiazione cosmica sia costituita da particelle materiali e non da raggi gamma come creduto fino allora. Poiché lo studio dei raggi cosmici richiedeva una strumentazione poco costosa, come i contatori di Geiger-Müller, che poteva essere costruita in laboratorio direttamente dai ricercatori, esso era alla portata anche di gruppi con scarsi finanziamenti. Un contributo fondamentale di Rossi fu l’invenzione di un circuito capace di registrare gli impulsi multipli simultanei di più contatori collegati tra loro, da allora rimasto alla base dei circuiti di coincidenza.
In seguito ai contatti tra Rossi e il fisico inglese Patrick Maynard Stuart Blackett, Occhialini si recò nel 1930 al Cavendish Laboratory di Cambridge, diretto da lord Ernest Rutherford, portando con sé la conoscenza del circuito di coincidenza e della radiazione cosmica, per apprendere in cambio il funzionamento della camera a nebbia usata a Cambridge per lo studio delle sostanze radioattive.
Nella camera a nebbia le traiettorie delle particelle ionizzanti si rendevano visibili come file di gocce di vapore condensato attorno alle molecole ionizzate e potevano essere registrate con una macchina fotografica collegata al meccanismo di espansione della camera stessa. Occhialini e Blackett decisero di utilizzare questo strumento anche per lo studio della radiazione cosmica. Unendo la camera a nebbia con il circuito di Rossi, inventarono uno strumento estremamente utile allo scopo: la camera a nebbia controllata, che entrava in funzione soltanto quando il circuito di Rossi rivelava il passaggio effettivo attraverso la camera di almeno una particella ionizzante. In questo modo, almeno il 70% delle fotografie mostrava immagini con tracce di particelle, altrimenti rilevabili solo in una percentuale molto bassa di esse (P.M.S. Blackett, On the technique of the counter controlled cloud chamber, in Proceedings of the Royal Society of London, 1934, vol. 146, pp. 281-299).
In due fondamentali articoli, Blackett e Occhialini descrissero le scoperte fatte con la camera a nebbia controllata (Photography of penetrating corpuscular radiation, in Nature, 1932, vol. 130, p. 363; Some photographs of the tracks of penetrating radiation, in Proceedings of the Royal Society of London, 1933, vol. A139, pp. 699-727). Diverse fotografie mostravano gruppi di tracce, dette showers («sciami»), provenienti da uno stesso punto: le caratteristiche di tali tracce indicavano che le particelle da cui erano originate erano in parte elettroni e in parte particelle con la stessa massa dell’elettrone ma con carica di segno opposto, cioè gli elettroni positivi o positroni previsti dal fisico teorico di Cambridge Paul Adrien Maurice Dirac.
Nella scoperta del positrone, Blackett e Occhialini furono preceduti di pochi mesi dal fisico americano Carl David Anderson. Blackett e Occhialini diedero però ai loro risultati un’interpretazione nel contesto della teoria di Dirac, mostrando come la formazione di una coppia elettrone-positrone fosse anche una conferma sperimentale della trasformazione dell’energia di un raggio gamma in massa, prevista dalla teoria della relatività di Albert Einstein. Anderson fu insignito del premio Nobel per la Fisica nel 1936 per la scoperta del positrone e Blackett nel 1948 per le ricerche condotte con la camera a nebbia.
Nel 1934, Occhialini dovette tornare in Italia per il servizio militare, che assolse alla Scuola militare di Lucca. Riprese in seguito l’attività di ricerca sulle sostanze radioattive a Firenze, dove però il gruppo di Arcetri si era sciolto e non vi erano fondi a disposizione per la costruzione di una camera a nebbia.
A causa dell’evoluzione della situazione politica interna e internazionale, nel 1937 accettò l’invito del fisico italiano di origine ucraina Gleb Wataghin a raggiungerlo all’Università di San Paolo del Brasile. Fondata nel 1935, questa ospitava professori italiani di materie scientifiche, sostenuti dal regime fascista che credeva in tal modo di colonizzare culturalmente un paese con una numerosa comunità di origine italiana. Il gruppo di ricerca di Wataghin si occupava di radiazione cosmica e tra i primi studenti vi erano due giovani che in seguito avrebbero dato importanti contributi alla fisica brasiliana: Mário Schönberg e Marcelo Damy de Souza Santos.
La produzione scientifica di Occhialini nel periodo brasiliano, pubblicata sugli Anais da Academia Brasileira de Ciências, verté sull’invenzione di strumenti per lo studio della radiazione cosmica e su misure dell’intensità di tale radiazione fatte a differenti latitudini geomagnetiche. I risultati di un’estesa campagna di misura in Sud America furono presentati al Congresso internazionale sui raggi cosmici organizzato a Rio de Janeiro nel 1941.
In seguito alla dichiarazione di guerra del Brasile contro l’Italia, i ricercatori di San Paolo si occuparono di sonar per rilevare i sottomarini tedeschi. Per evitare possibili sabotaggi, Occhialini lasciò la città e si esiliò sui monti di Itataia, dove visse come guida alpina, compilando anche una guida della zona, rimasta manoscritta. Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, cercò di unirsi alle truppe di liberazione in Italia ma riuscì a tornare in Europa, dietro interessamento di Blackett, soltanto nel gennaio 1945, approdando in Inghilterra. Nel frattempo aveva trovato ospitalità nel laboratorio di biofisica di Carlos Chagas junior a Rio de Janeiro, dove discusse con Charles Leblond la possibilità di usare le gelatine fotografiche per tracciare le sostanze radioattive nei tessuti biologici, e a San Paolo, dove ebbe come allievo Cesare Mansueto Giulio Lattes.
Dopo un breve periodo trascorso al Department of scientific and industrial research di Londra con sir Edward Appelton, fu invitato da Arthur Tyndall al Wills Laboratory di Bristol, dove si unì al gruppo di ricerca in emulsioni nucleari diretto da Cecil Frank Powell, che in collaborazione con le ditte Ilford e Kodak andava sviluppando nuovi tipi di emulsioni fotografiche adatte per gli studi di fisica nucleare. Le traiettorie delle particelle, rese visibili dai granuli sensibilizzati nelle emulsioni, potevano essere studiate al microscopio, ricavando le caratteristiche principali delle particelle incidenti. Poiché questo tipo di ricerche richiedeva il numero più elevato possibile di microscopisti per analizzare le emulsioni prima che sbiadissero, Occhialini chiamò Lattes a Bristol per contribuire allo studio delle emulsioni. Durante un’escursione speleologica sui Pirenei francesi nel 1946, portò un pacco di emulsioni sul Pic-du-Midi: sviluppate a Bristol, queste lastre rivelarono le tracce di una nuova particella, il pione, teorizzato dal fisico giapponese Hideki Yukawa come la particella responsabile della forza nucleare forte (C.G.M. Lattes et al., Processes involving charged mesons, in Nature, 1947, vol. 159, pp. 694-697). Per la scoperta del pione, Powell fu insignito del Nobel per la Fisica nel 1950.
A causa delle condizioni insoddisfacenti di lavoro, Occhialini si spostò all’Università libera di Bruxelles, dove collaborò con Max Cosyns alla fondazione del Centro di fisica nucleare. Al suo gruppo si unirono presto Constance Charlotte Dilworth, che in seguito diventò sua moglie, e Yves Goldschmidt-Clermont. Anche alcuni giovani fisici italiani furono ospiti del laboratorio di Occhialini nel corso degli anni Cinquanta per apprendere le tecniche di utilizzo delle emulsioni nucleari. Il gruppo di Bruxelles fondò inoltre la rivista Bulletin du Centre de physique nucléaire de l’Université libre de Bruxelles, per una veloce diffusione dei risultati dei suoi lavori.
Nel periodo di Bruxelles, le ricerche di Occhialini portarono all’invenzione di nuovi strumenti per lo studio delle emulsioni nucleari, in primis le tecniche di controllo della temperatura durante lo sviluppo delle emulsioni, pubblicate sul Bulletin nel 1950-51.
Nel 1950 Occhialini tornò in Italia come professore di fisica superiore all’Università di Genova sulla cattedra che era stata di suo padre. Nel 1952 accettò però l’invito di Giovanni Polvani a spostarsi all’Università di Milano, sede di una sezione dell’Istituto nazionale di fisica nucleare, dove rimase fino al pensionamento. Parallelamente, continuò a trascorrere alcuni mesi all’anno al laboratorio di Bruxelles, superando un grave periodo di crisi seguito alla morte dello speleologo Marcel Loubens durante una campagna nei Pirenei organizzata da Cosyns. Sempre nel 1952, trascorse alcuni mesi a Rio de Janeiro in missione per conto dell’UNESCO per aiutare Lattes e Ugo Camerini nella costituzione di un laboratorio di raggi cosmici a Chacaltaya sulle Ande boliviane.
Nei primi anni Cinquanta, alcuni laboratori universitari europei si unirono in progetti comuni per il lancio su pallone ad alta quota e la successiva analisi di grandi pacchi di emulsioni nucleari allo scopo di studiare nuove particelle come i mesoni K e gli iperoni. Occhialini fu il responsabile italiano per i lanci sul Mediterraneo, culminati con quello del G-Stack nel 1954, che permise di chiarire la composizione dei mesoni K (K– Collaboration, The interaction and decay of K mesons in photographic emulsion, in Il Nuovo Cimento, 1959, vol. 13, pp. 690-729; vol. 14, pp. 315-364; 1960, vol. 15, pp. 873-898).
In questo periodo i lavori di Occhialini (furono gli ultimi che portarono esplicitamente la sua firma) e dei suoi collaboratori furono pubblicati su IlNuovo Cimento, la rivista della Società italiana di fisica, che si impose a livello internazionale proprio grazie all’importanza dei risultati delle ricerche che presentava.
Con lo sviluppo degli acceleratori di particelle, i lanci di pacchi di emulsioni su pallone persero di importanza. Mentre parte dei suoi collaboratori iniziarono a lavorare al CERN di Ginevra, nel 1959 Occhialini accettò l’invito di Rossi per trascorrere un anno sabbatico al Massachusetts Institute of Technology di Cambridge, da dedicare a ricerche di fisica spaziale. Di ritorno a Milano, istituì l’Istituto di fisica cosmica e tecnologie relative, che contribuì alla costituzione del Gruppo italiano di fisica cosmica con il concorso di gruppi di ricerca di Bologna, Firenze, Frascati, Palermo e Torino. L’Istituto di Milano collaborò soprattutto con il gruppo francese di Saclay nell’organizzazione di voli in pallone e su satellite di camere a scintille per lo studio degli elettroni cosmici al di fuori dell’atmosfera e dei neutroni riflessi dall’atmosfera (neutroni di albedo).
A livello europeo, Occhialini fu il chairman del COS-Group, il Comitato per la fisica dei raggi cosmici, dell’European Space Research Organization e fece parte del Launching Program Advisory Committee. La sua ultima attività scientifica fu l’organizzazione del lancio, l’8 agosto 1975, da parte della collaborazione Caravane formata dai gruppi di Garching, Leida, Milano, Nordwijk, Palermo e Saclay, del satellite COS-B per la misura dei raggi gamma cosmici, che permise di ottenere la mappa gamma della nostra Galassia, evidenziandone la struttura a spirale con un nucleo centrale più spesso.
Nel 1975 fu costituita la European Space Agency, alla quale Occhialini partecipò sempre più di rado. Il suo ultimo intervento fu un discorso a sostegno del satellite SAX per la misura dei raggi X emessi durante i gamma ray bursts, esplosioni cosmiche di raggi gamma di elevata potenza la cui scoperta, effettuata dai satelliti militari statunitensi negli anni della guerra fredda, era stata coperta dal segreto militare. In onore di Occhialini, il satellite SAX fu rinominato Beppo-SAX.
Nel corso della carriera fu insignito dei premi Sella (1934), Vallauri (1935), Einaudi (1949), Charles Vernon Boys Prize (1951), Feltrinelli (1955), Wolf Prize (1979), e fu dichiarato dottore honoris causa dalle Università di Bruxelles (1949) e Bristol (1959). Fu inoltre socio nazionale dell’Accademia dei Lincei (1957) e membro dell’Accademia nazionale delle scienze detta dei XL (1972).
Negli ultimi anni si ritirò con la moglie in una casa di campagna a Marcialla di Certaldo.
Morì a Parigi il 30 dicembre 1993.
Nel 1974 a Milano, aveva pubblicato l’autobiografia: G. O., in Scienziati e tecnologi contemporanei, II, pp. 322-324
Fonti e Bibl.: Milano, Università degli studi, Dipartimento di fisica, Archivio Occhialini-Dilworth; Roma, Accademia nazionale delle scienze detta dei XL, Archivio istituzionale, b. 228, G. O.; parte della sua corrispondenza è inoltre reperibile tramite l’archivio elettronico delle corrispondenze dei soci Lincei (http://www.lincei.it/ archivi/corrispondenze/index); G. Tagliaferri, G. O., in Rend. dell’Istituto lombardo. Accademia di scienze e lettere, 1994, vol. 128, pp. 231-240; L. Scarsi, G. O.: Il secondo periodo italiano (1950-1993), in Il Nuovo Cimento, XX (1997), pp. 613-618; G.F. Bignami, G.P.S. O., in Biographical memoirs of the fellows of the Royal Society of London, 2002, vol. 48, pp. 331-340; V. Telegdi, G. O., in Proceedings of the American Philosophical Society, 2002, vol. 146, pp. 218-222; The scientific legacy of Beppo O., a cura di P. Redondi et al., Bologna 2006; L’Università degli Studi di Firenze nel centenario della nascita di G. O. (1907-1993), a cura di A. Bonetti e M. Mazzoni, Firenze 2007, passim;L. Gariboldi, To work or not to work in war research? The case of the Italian physicist G.P.S. O. during World War II, in Scientific research in World War II: What scientists did in the war, a cura di A. Maas e H. Hooijmaijers, New York 2009, pp. 31-43.