NOTARI, Giuseppe
NOTARI, Giuseppe. – Nacque a Modena, nel borgo di S. Agnese, presso l’antica cinta muraria della città, il 7 luglio 1863, da Michele e da Angelica Contini.
Figlio di uno dei tredici formaggiai censiti nel comune di Modena nel 1861, sin da ragazzo apprese le complicate operazioni svolte quotidianamente per fabbricare le tradizionali forme di formaggio grana. Divenuto anch’egli casaro, entrò a far parte di una vera e propria casta professionale che esigeva doti di ottima salute e robustezza per sopportare le fatiche del mestiere, l’acquisizione di cognizioni empiriche trasmesse oralmente e apprese per imitazione, acume, capacità logica, prontezza nel calcolo mentale ed eccellente memoria. Una borsa di studio concessagli dall’Amministrazione provinciale modenese nel 1880 gli permise d’accedere come studente convittore alla Regia scuola di zootecnia e caseificio, fondata a Reggio Emilia nel 1874 e diretta dall’agronomo Antonio Zanelli.
Il ministero dell’Agricoltura e le amministrazioni provinciali di Parma, Reggio Emilia, Modena e Mantova avevano convenuto di fondare la Regia scuola proprio a Reggio non solo perché quella provincia vantava il patrimonio bovino più consistente della regione Emilia, ma anche perché, come avrebbe confermato l’inchiesta parlamentare del senatore Stefano Jacini del 1879, vi era la massima concentrazione di caseifici dell’alta Italia. L’istituto, che era dotato di un podere sperimentale e di un attrezzato stabilimento caseario, e si proponeva d’istruire allevatori di bestiame, dirigenti di caseificio e casari, dal 1879, sotto la guida di Zanelli, dall’iniziale indirizzo didattico e applicativo si avviò a divenire il più qualificato centro di sperimentazione e di divulgazione tecnico-scientifica della zootecnia italiana e della sperimentazione tecnica casearia. Vero e proprio vivaio di ricercatori che maneggiavano strumenti tecnico-scientifici di prim’ordine, formò anche studiosi e docenti, molti dei quali, guadagnatisi grande notorietà, furono chiamati a insegnare nelle facoltà d’agraria del paese.
In quegli anni, fra il 1875 e il 1888, la grave crisi agraria prodotta dalla globalizzazione del mercato dei cereali importati in Europa occidentale da Stati Uniti e Russia e dal crollo del prezzo internazionale del grano anche in alta Italia accelerò le trasformazioni produttive, da decenni avviate in Lombardia e in Emilia, volte a sostituire la coltivazione di grano con piante foraggere. L’erba medica o spagna, la leguminosa con rese triple e quadruple rispetto al foraggio raccolto nei tradizionali prati pascoli stabili, permise di allevare nelle stalle più bovine da latte e di accrescere la produzione di burro, formaggio e ricotta destinati alla vendita. L’aumento dei capi allevati e dei volumi di latte conferiti ai caseifici aziendali, sociali e, da fine Ottocento, anche cooperativi, permise ai molti piccoli proprietari diretti coltivatori e ai mezzadri emiliani d’affacciarsi sul mercato per realizzare utili, parte dei quali poi divenuti investimenti in migliorie e attrezzi. La costante crescita dei volumi di latte lavorato nei caseifici, sia in Lombardia (lodigiano), sia in Emilia, con epicentro produttivo a Reggio (parmigiano-reggiano), poneva tuttavia non pochi problemi tecnici, che si riflettevano sulla contabilità di costi e ricavi e, di riflesso, sull’economia domestica dei conferenti il latte da trasformare in formaggio grana perché, mentre la domanda continuava a crescere, era impossibile mantenere un’adeguata offerta a causa dell’alta percentuale di forme invendibili. La filiera della lavorazione tradizionale, infatti, dava spesso per risultato forme guastate da fermentazioni batteriche indesiderate. Solo pochi casari più esperti sapevano ‘indovinare’ lo stato di acidità del latte dal quale ha inizio il processo di lavorazione, in altre parole, il felice inizio di fermentazione lattica, condizione necessaria per una corretta maturazione della cagliata. Secondo tradizioni produttive plurisecolari, i casari del parmigiano-reggiano consideravano tre forze in gioco per fabbricare un eccellente formaggio e cioè: il siero usato per accrescere l’acidità e il potere fermentativo del latte in caldaia, il caglio, ossia l’agente della coagulazione ricavato dalla parete interna dello stomaco dei vitelli da latte e, infine, il ‘fuoco’, vale a dire la temperatura garantita alla cagliata riscaldando la caldaia a fuoco diretto mentre il latte si trasforma in numerosissimi grumi solidi dai quali vengono poi sottratti siero e acqua.
Nel 1882 Notari concluse il corso di tecnica casearia con buone votazioni ed eccellenti prove di capacità tecnica. Appena conseguito il diploma, fu assunto con la qualifica di capo cascinaio del caseificio della Regia scuola, ruolo che conservò per oltre mezzo secolo, fino alla morte. Disponeva d’impianti e di strumenti di lavoro di prim’ordine in Europa; in particolare, poteva valersi di un raro esemplare di caldaia a vapore a doppio fondo che agevolava il controllo in continuo della stabilità della temperatura del latte, fattore decisivo durante l’operazione della cagliata, mentre le tradizionali caldaie di rame, a fuoco diretto di fascine di legno, nella rischiosa fase di cottura esponevano il latte a oscillazioni di alcuni gradi di temperatura, compromettendo la buona riuscita dell’operazione.
Benché – a cominciare da Louis Pasteur – scienziati di fama avessero studiato e scoperto gli effetti dell’azione dei microrganismi utili nei processi fermentativi del latte e quella, opposta, dei batteri che generavano malattie e alterazioni nei formaggi, non era ancora chiaro come procedere e su cosa puntare per far sì che i microrganismi ‘buoni’ distruggessero quelli ‘cattivi’. Osservando gli effetti dell’aggiunta del siero acido a quello che spontaneamente si sviluppava nella caldaia, dal 1888 in avanti Notari mise a punto una procedura con la quale una parte del siero avanzata dalla quotidiana fabbricazione di formaggio, lasciata riposare per una notte e aggiunta il mattino seguente al latte di caldaia, conferendo l’acidità e la carica fermentativa ottimale, migliorava sensibilmente la prima fase della filiera produttiva del parmigiano-reggiano. L’operazione risolutiva, dunque, consisteva in un innesto di siero acido che, assecondando un ottimale processo di caseificazione, ne migliorava di molto la qualità. Di conseguenza, in prospettiva economica, abbattendo consistentemente la percentuale di scarti, sul mercato si otteneva un sensibile aumento dell’offerta di formaggio grana.
Nel 1895, la collaborazione con Pellegrino Spallanzani, ingegnere chimico divenuto direttore della Scuola di zootecnia e caseificio dopo la morte di Zanelli (1890), condusse alla definitiva formulazione e pubblicazione del metodo del ‘siero innesto’, che Notari non volle brevettare per agevolarne la diffusione nei 771 caseifici censiti al tramonto del XIX secolo nelle province di Parma (220), Reggio (385) e Modena (166). Egli stesso incontrò numerosi casari per convincerli ad adottare il metodo da lui ideato, ed essi, vinta l’iniziale diffidenza, si lasciavano persuadere da un collega del mestiere che aveva ‘insegnato’ agli scienziati come risolvere un problema di grande rilevanza economica quale l’abbattimento dell’alta percentuale di forme da scartare. Dai primi decenni del ’900 il metodo del ‘siero innesto’ di Notari fu accolto anche nella vasta regione del grana padano e i positivi effetti economici non tardarono a manifestarsi. Mentre le quantità offerte si stabilizzavano e le oscillazioni dei prezzi medi annuali rimpicciolivano, la domanda interna ed estera dei due tipi di formaggio grana non cessò di crescere fino alla vigilia della Grande guerra.
Notari contribuì anche a migliorare la lavorazione della cagliata ideando un attrezzo denominato ‘spino Notari’ – ancora oggi in uso – che, permettendo di frammentare in particelle piccolissime la massa caseosa, una volta estratta dalla caldaia e messa in forma, ne garantisce anche una più regolare disidratazione e minori perdite di grasso e caseina. Allo spino, aggiunse poi altri due preziosi attrezzi di sua ideazione: il ‘premi-cagliata’ e il ‘fermi-cagliata’.
La vasta rinomanza ottenuta in virtù di così straordinarie competenze tecniche in fatto di fabbricazione di formaggi cotti gli valse un gran numero di riconoscimenti e d’inviti a svolgere di frequente importanti incarichi ufficiali. Fu giudice di concorsi pubblici e di esposizioni nazionali e internazionali e apprezzato consulente. Nel 1926, riconoscendone le eccellenti capacità, il ministro della Pubblica Istruzione gli conferì il titolo di perito agrario honoris causa.
Morì a Reggio Emilia il 6 marzo 1936.
Fonti e Bibl.: F. Cafasi, Antonio Zanelli: la scuola di zootecnìa e caseificio di Reggio Emilia, 1879-1979, Reggio Emilia 1980; M. Iotti, Storia del formaggio di grana parmigiano-reggiano, 1200-1990, Modena 1991; Id., Un maestro dell’arte casearia : G. N. (1863-1936), in Il parmigiano reggiano, XXVII (1998), 1 (suppl.), pp. 50-52; M. Zannoni, Il Parmigiano-Reggiano nella storia, Parma 1999.