NOGARI, Giuseppe
– Nacque a Venezia nel 1699, secondo la data che viene generalmente riportata dalle fonti (Watelet, 1792; Milizia, 1797; Moschini, 1806).
Riguardo alla sua formazione, le testimonianze (Zanetti, 1771) concordano nel considerarlo un allievo di Antonio Balestra, notando come, finché stette alla sua scuola, «non diede mai contrassegni di quella egregia maniera, tenera, pastosa, vaga e naturale, che da sé si formà di poi» (Orlandi - Guarienti, 1753, p. 235).
Secondo Honour (1957, p. 154) una collocazione al principio del secolo XVIII potrebbe essere preferibile alla data 1699 comunemente accolta come anno di nascita: il necrologio del Magistrato di Sanità segnala la morte dell’artista il 3 giugno 1763 all’età di 62 anni. Tuttavia tali attribuzioni di età, assegnate in punto di morte, erano spesso inaffidabili e dunque è ragionevole attenersi ancora alle indicazioni delle fonti tardosettecentesche, poi riprese nei secoli successivi. Janneck e von Hagedorn (1755, p. 27), invece, non solo collocano l’anno di nascita del pittore al 1700, ma segnalano, prima del periodo di formazione presso Balestra, che sarebbe durato tre anni, un apprendistato alla scuola di Giambattista Pittoni. L’alunnato con Balestra deve a ogni modo essere collocato entro il 1718, anno in cui il maestro veronese tornò stabilmente nella sua città natale. Non sembrano esserci ragioni decisive per confermare un periodo di studio anche a Bologna, come proposto a suo tempo da Martini (1964, p. 249), dal momento che lo stesso maestro di Nogari avrebbe potuto trasmettere all’allievo alcuni elementi di cultura emiliana.
Nel 1726 si registra l’iscrizione di Nogari alla fraglia veneziana dei pittori (Favaro, 1975, p. 156), segno dell’inizio della sua attività autonoma. Una delle prime opere fu il Martirio di s. Cristoforo nella chiesa di S. Agostino a Venezia. La pala, oggi perduta, deve essere collocata necessariamente entro il 1733, anno in cui è ricordata da Zanetti (1733). Tra i lavori giovanili, ancora influenzati dal magistero di Balestra, secondo Pallucchini (1995, p. 571), andrebbe posto anche il Cristo consegna le chiavi a s. Pietro nel duomo di Bassano del Grappa, in cui Lanzi (1793) riconosceva «il pennello svelto e risoluto sul far di Piazzetta, con qualche monotonia nel colore, l’effetto della luce è più vero, le forme reali».
Il 28 gennaio 1736 compare come testimone al battesimo di uno dei figli di Pietro Longhi, che era stato suo condiscepolo presso la bottega di Balestra, ed è ricordato come abitante a S. Giacomo dell’Orio (Vio, 1993).
Si affermò soprattutto come pittore di teste di carattere e di ritratti. Ad assecondare questa attitudine del maestro fu, secondo Guarienti, il marchese milanese Ottavio Casnedi. Costui «intendentissimo dell’arte, ed avendo osservato nel Nogari un certo spirito e grazia nel far le mezze figure, gli diede commissione di farne parecchie, intorno a cadauna delle quali avendogli detto il suo giudizio, e datogli utili avvertimenti, di questi tanto egli si approfittò, che in poco tempo colla sua nuova singolare maniera ad un distinto grado di reputazione salì» (Orlandi - Guarienti, 1753). A favorire l’accostamento del pittore a tale genere, particolarmente fortunato, fu la conoscenza di prototipi piazzetteschi, interpretati anticipando per certi versi la declinazione sul tema offerta da Domenico Maggiotto (Pallucchini, 1933, p. 575; Id., 1995, p. 572). Intorno al 1736 il conte Carl Gustav Tessin commissionò al pittore una serie di quattro teste di carattere oggi conservate presso il Nationalmuseum di Stoccolma: una Testa maschile con libro, una Vecchia, una Ragazza che tiene in mano carote e un Busto di giovane cantante. Quello stesso anno il conte svedese si espresse nei termini più lusinghieri nei riguardi del pittore, definendolo in una sua missiva «admirable, exact, diligent, imitant la nature comme un flamand» ma allo stesso tempo notando che «si vous voulez des corps pour ses têtes il faut le faire par un autre»: segno che la specializzazione del maestro era ormai conosciuta (Lettere artistiche…, 2002, p. 82).
In queste prime opere a lui rivendicabili con sicurezza, si possono riconoscere solo tenui legami con l’arte di Balestra, per quanto riguarda una certa volumetria dei busti, e invece un contatto con la produzione analoga di Giambattista Piazzetta, ben avvertibile ad esempio nell’intonazione chiaroscurale della Ragazza con carote. Un interesse documentato anche dalla dedica a Nogari che compare in un’incisione di Marco Pitteri di un Giovane conpugnale da Piazzetta (Padova, Musei civici agli Eremitani, Gabinetto dei disegni e delle stampe). A questo giro di anni, potrebbero appartenere anche il Fanciullo e la Giovinetta con cestino, nonché il Ritratto d’uomo con tazza in mano e il Ritratto di donna con cagnolino della Pinacoteca Ambrosiana di Milano, di cui si ignora la provenienza ma che sembrano compatibili con una cronologia ai primi anni Trenta.
Ante 1737 è la realizzazione di un Ritratto equestre del maresciallo von Schulenburg, eseguito in collaborazione con Francesco Simonini per il cavallo e la battaglia sullo sfondo, che è stato identificato con una tela passata sulmercato antiquario (Binion, 1990, p. 122 n. 18). Caratterizzato da suggestioni rembrandtiane è invece il Ritratto di Giovanni Tommaso Minadois, della Pinacoteca dell’Accademia dei Concordi di Rovigo, pure da datare intorno al 1740 (Romagnolo, 1981, p. 190).
A partire dal 1740 il pittore è attestato a Torino, coinvolto nei lavori di decorazione della residenza del sovrano Carlo Emanuele III di Savoia. Pagamenti in suo favore sono registrati a partire dal maggio 1740, e poi a seguire fino al 1748 quando continuò a ricevere a Venezia commissioni dalla capitale sabauda. Il 27 settembre 1741 gli furono corrisposte 2400 lire «per aver dipinto il quadro nel mezzo della volta del gabinetto degli spechij con sei figure intiere, et altro fatto nel reale palazzo in questa città» (Schede Vesme, 1968; Griseri, 1960, pp. 25 s.). Il 18 maggio 1743, il marchese d’Ormea residente di Sardegna a Venezia, ricordava di avere avuto modo di conoscere bene il pittore e «di concepire per la di lui persona e per la distinta di lui abilità quella maggior estimazione che giustamente merita» (ibid.). Fu ancora il marchese a commissionargli nel 1748 «quattro grandi quadri istoriati», oggi perduti (Orlandi - Guarienti, 1753, p.235).
Nella decorazionedel soffitto del Gabinetto della volta a specchi, di chiara impronta rococò, inserì una serie di 18 miniature con teste di carattere di ispirazione olandese, secondo una moda di grande successo in quegli anni, e che va considerata nel più ampio fenomeno del recupero di prototipi rembrandtiani. Nel soffitto, invece, realizzò un soggetto a carattere allegorico, piuttosto inconsueto per lui, La Sapienza divina, la Fama pubblica e la Gloria, oltre a una serie di medaglioni con putti agli angoli, entro boiseries e stucchi.
Collegate al soggiorno torinese sono anche le sovrapporte oggi conservate nella palazzina di caccia di Stupinigi, ma in origine pensate per palazzo reale, rappresentanti le allegorie delle Scienze e delle Arti e altre di significato più complesso, tra cui si possono riconoscere forse la Scienza giuridica, la Storia con la Fama delle Rerum Sabaudicarum e il Tempo, l’Arte militare e una quarta ove un Giovane presenta a una donna un busto antico (Pallucchini, 1995, p. 573). Durante gli anni torinesi, tra 1740 e 1742, dipinse anche alcune teste di carattere, una femminile e tre maschili, conservate presso la Galleria Sabauda (Gabrielli, 1971). Probabilmente al giro di commissioni torinesi vanno anche ricondotte le teste di Vecchio con occhiali e di Vecchia con rosario attestate da due incisioni del piemontese Pietro Peiroleri (esemplari a Londra, British Museum, Department of prints and drawings, 714.222; 714.223).
Subito dopo il soggiorno torinese, nel 1743, fu impegnato nelle commissioni di Francesco Algarotti, il quale aveva ricevuto l’incarico di raccogliere opere di artisti italiani per la galleria di Augusto III di Sassonia a Dresda. Il pittore realizzò quattro tele, tra cui una figura di S. Pietro, e tre teste di carattere rappresentanti un Avaro, un Erudito, una Vecchia con scaldino (oggi tutte presso la Gemäldegalerie di Dresda). Nel 1751, Algarotti rammentava l’acquisto per Dresda di «due mezze figure di un fare morbidissimo, perso di contorni, e tutte lavorate di mezze tinte del signor Giuseppe Nogari pittore naturalista, il quale sopra ogni altra scuola cerca quella di Fiandra. L’una delle due mezze figure rappresenta un filosofo, e l’altra un avaro: e questa è finemente intagliata a bulino dal signor Antonio Polanzani» (Bottari - Ticozzi, 1822). Il riferimento è all’incisore noalese Felice Polanzani che già nel 1743 si era offerto in prima persona per la riproduzione delle teste di Nogari, a seguito del successo incontrato dalle invenzioni del maestro (Lettere artistiche…, 2002, p. 117).
Le tele di Dresda si caratterizzano per una straordinaria morbidezza dei tratti, tanto che la tecnica della pittura a olio sembra simulare il pastello. Nogari ricercò effetti analoghi a quelli di alcune invenzioni di Rosalba Carriera, con la sapiente illuminazione dei fondali per conferire risalto alle teste, benché le figure e le ambientazioni risultino maggiormente contrastati. Oltre all’avvicinamento a modelli rosalbiani, fu egualmente l’interesse per l’arte di Correggio a sollecitare un ammorbidimento della stesura pittorica, nonché l’elaborazione di schemi compositivi improntati a una nuova grazia.
È probabile che abbia praticato saltuariamente la tecnica a pastello: tra le attribuzioni più verosimili sono alcune teste di carattere come il Geografo e la Vecchia con rosario, già transitate sul mercato antiquario parigino (Jeffares, 2006).
A testimonianza del suo successo internazionale, va ricordato il ruolo ricoperto in qualità di procacciatore d’opere arte e intendente per esempio per l’ambasciatore di Sassonia conte de Villio e per Giovanni Pietro Minelli, agente del conte Heinrich von Brühl (Binion,1990, p. 56). Per il maresciallo Johann Matthias von der Schülenburg avrebbe anche realizzato restauri riaccomodando le teste di alcuni suoi dipinti (ibid., p. 58). Per il console inglese a Venezia Joseph Smith eseguì, oltre a due teste di carattere con una Vecchia con lo scaldino e un Vecchio che tiene in mano gli occhiali, una serie di ritratti, rappresentanti architetti e artisti: Inigo Jones, Tiziano, Paolo Caliari, Jacopo Bassano, Rubens, Van Dyck, Carlo Cignani, tutti oggi conservati tra Hampton Court e Holyroodhouse (Vivian, 1971, pp. 193 s.).
Furono i committenti tedeschi, tuttavia, a ricercare maggiormente le opere di Nogari, forse sulla scia del successo incontrato dalle tele per Dresda. Nella collezione di Christian Ludwig von Hagedorn, descritta da egli stesso nel 1755, si conservavano alcune opere come Gesù Bambino dormiente nelle braccia della Vergine (il Silenzio),Pero e Cimone, S. Pietro e la Maddalena, Fanciulla spagnola con il liuto, Fanciullo che ride con un nido di passeri e gatto, Fanciulla con cesta di frutta, e Filosofo, come testimoniato anche dalle incisioni che da esse trasse Johann Jakob Haid (Janneck - von Hagedorn, 1755, p. 27). Tutte opere, a eccezione del Silenzio, che Hagedorn stesso ricordò essere state realizzate nello stesso periodo in cui Nogari era impegnato nella copia della Notte di Correggio, commissionata da Augusto III di Sassonia per conto di Francesco I d’Este, cioè intorno al 1746 (Campori, 1855, p. 333).
Nel 1747 firmò «Joseph Nogaro Venetus pinxit 1747 / Pro Sac. Maie. Sard.» una sovrapporta rappresentante Giuseppe spiega i sogni al faraone, destinata ancora una volta al palazzo reale di Torino, dipinto per il quale fu pagato il 23 settembre 1748 (Schede Vesme, 1968). Il 3 novembre 1751 GuglielmoVIII d’Assia-Kassel ordinò al pittore due dipinti allegorici rappresentanti La Pitturae laScultura e La Musica e la Poesia (Kassel, Staatliche Kunstsammlungen, Gemäldegalerie). Questa coppia, come anche la sovrapporta per Torino, testimonia l’avvicinamento del pittore alla maniera dolce e svaporata di Jacopo Amigoni e una capacità di declinare con grazia rococò anche soggetti di più ampio sviluppo compositivo e maggiore impegno. Su questa base può essere collocata intorno alla metà del secolo l’Allegoria della Primavera dell’Ermitage. Tra 1752 e 1754 si possono datare le complesse allegorie dipinte per il mercante tedesco Sigmund Streit (oggi presso la Gemäldegalerie di Berlino) rappresentanti l’Allegoria dell’Educazione, «Ad templum gloriae», La Conoscenza, L’Operazione perfetta e che rivelano una volta di più la capacità del pittore di adattare le proprie invenzioni a tematiche anche complesse, di stampo illuministico e pedagogico (Rohrlach, 1951; Hartje, 2002).
Dopo il 1754 stilò, insieme a Davide Antonio Fossati, l’inventario dei dipinti del vicentino Giovanni Paolo Marzari, morto a Venezia in quell’anno (Rigoni, 1997, p. 145).
Negli anni Cinquanta del Settecento tornò a impegnarsi in commissioni sacre. Probabilmente tra 1753-54 si deve collocare l’Annunciazione per l’oratorio dell’Annunziata di Bassano del Grappa (Pilo, 1965). Il 16 agosto 1755 venne scoperta la pala d’altare con i Miracoli del beato Giuseppe da Copertino nella chiesa di S. Maria Gloriosa dei Frari a Venezia che segnò un’importante affermazione di Nogari sulla scena pubblica veneziana (Notizie d’arte…, 1942, p. 18).
Gli ultimi anni di attività lo videro maggiormente impegnato nel genere ritrattistico: il Ritratto del procuratore Alessandro Zen dell’Accademia dei Concordi di Rovigo venne eseguito nel 1758 (Romagnolo, 1981, p. 212), in contemporanea con quello di Giulio Contarini di Alessandro Longhi, che frequentò la bottega di Nogari e certamente prese spunto dai modelli ritrattistici del maestro, celebrato dalle fonti (Moschini, 1806, p. 65) per questa sua attività che oggi appare di difficile valutazione in relazione ai pochi esemplari superstiti. Intorno al 1762 eseguì il Ritratto di Giovanni Leoni e il Ritratto del doge Marco Foscarini (Notizie d’arte…, 1942, p. 97): quest’ultimo, a figura intera, è perduto ma si conserva un’incisione di Giovanni Volpato, tratta da una tela di Nogari, rappresentante l’effige del doge (Delorenzi, 2009, p. 297). Altri ritratti, di suoi colleghi come Francesco Zuccarelli o Pietro Longhi, sono attestati da incisioni di Giovanni Cattini.
A partire dal 1756 Nogari risulta tra i soci fondatori dell’Accademia di belle arti di Venezia che presiedette poi per il biennio 1762-63 (Bassi, 1941, p. 32).
Morì a Venezia nel 1763, come si evince dall’atto di morte: «3 giugno 1763: il Sign. Giuseppe Nogari q.m. Zuanne d’anni 62 da molti mesi da cacchesia con estinzione di voce e febre e cataro soffogativo mesi due morto all’ore 23 S. Stin» (Archivio di Stato di Venezia, Provveditori alla Sanità, reg. 950, Necrologio 1763; Notizie d’arte…, 1942, p. 99).
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