MORETTI, Giuseppe
MORETTI, Giuseppe. – Nacque a San Severino Marche, in provincia di Macerata, il 6 giugno 1876, da Ermete e da Vincenza Bartolomei.
Nel 1894, al termine degli studi ginnasiali, si trasferì a Roma per frequentare il liceo e l’università, lavorando nel contempo come precettore. Nel 1902 vinse il concorso di «soprastante per i Musei, le Gallerie e gli Scavi di Antichità» e iniziò così, prima della laurea in lettere conseguita nell’ottobre dello stesso anno, l’attività di archeologo al ministero della Pubblica istruzione, amministrazione nella quale percorse l’intera carriera. La sua prima destinazione fu il Museo nazionale romano dove, nel 1908, raggiunse il grado di Ispettore.
Nei primi anni trascorsi al Museo, ubicato nell’area delle antiche Terme di Diocleziano, Moretti si dedicò all’ordinamento dei materiali archeologici e alla riorganizzazione degli spazi. La redazione di oltre 39.000 schede fu solo una delle sue vaste e meritevoli opere inventariali. Dotato di senso delle istituzioni, dedizione al lavoro e passione per l’indagine, oltre che di notevole tenacia, Moretti svolgeva il lavoro di archeologo in maniera sistematica: dalle indagini sul territorio a tutte le fasi di inventariazione, conservazione, allestimento degli spazi espositivi, studio dei manufatti e pubblicazione dei risultati. Questo metodo di lavoro permise il completamento, nonostante gli ostacoli, di imprese coraggiose come quelle realizzate per il museo di Ancona o all’Ara pacis (spesso compiute in solitudine, come annotò il suo amico e direttore Roberto Paribeni).
Nel 1910, inviato in missione in Piemonte su richiesta di Ernesto Schiaparelli, condusse indagini e restauri a Libarna e sul Piccolo San Bernardo. Nel 1912 riprese servizio a Roma. Tra il 1913 e il 1919 sostituì Paribeni alternandosi con lui nella direzione del Museo nazionale romano e delle missioni archeologiche italiane in Asia minore, nella zona di Adalia (Antalya): in particolare, nel 1914 subentrò a Biagio Pace nella conduzione della seconda missione, rimanendo in Turchia fino all’inizio della Grande guerra. Nel 1915, inviato come sottotenente di complemento sull’altopiano di Asiago, contrasse una polmonite con pleurite, che lo costrinse a una lunga degenza nell’ospedale militare di Verona. Tornò quindi a Roma e nel 1917- 18 sostituì Paribeni e Guido Calza, anch’essi chiamati alle armi, nella direzione del Museo nazionale romano e degli scavi di Ostia. Nel 1919, in concomitanza con l’occupazione militare italiana, riprese le ricerche nella Turchia sud-occidentale.
Qui Moretti compì avventurose ricognizioni che portarono, oltre a un ingente contributo alle raccolte di sculture e di iscrizioni confluite nel museo di Adalia, alla probabile identificazione dell’antica Pednelissos e alla scoperta della celebre caverna-santuario, che intitolò a Ulisse Aldovrandi. Fra i diversi interventi per la conservazione dei monumenti, curò l’isolamento e il restauro dell’arco di Adriano ad Adalia. I risultati delle ricerche furono pubblicati nell’Annuario della Scuola archeologica di Atene e delle Missioni italiane in Oriente (III, 1921 e VI-VII, 1923-1924). L’incidenza di questo periodo nella vita dello studioso è testimoniata dalla scelta di chiamare Adalia la quarta dei cinque figli nati dal matrimonio con Adele Gentili, sposata nel 1906.
Al periodo romano risalgono gli scavi tra gli horrea e il decumano di Ostia (pubblicati in Notizie degli scavi, 1920), i primi studi per la sistemazione delle Terme di Diocleziano e quelli per il «monopolio delle antichità di scavo». Questi ultimi si riconnettono agli incarichi ricoperti presso diverse agenzie delle dogane e, soprattutto, a quello di membro della Commissione istituita per elaborare il mai approvato regolamento alla l. 1° giugno 1939, n. 1089 sulla tutela delle «cose di interesse artistico o storico». Negli anni 1914-1919, inoltre, portò a compimento l’acquisizione allo Stato della collezione Castellani e il catalogo inventariale dei circa 6000 oggetti destinati al Museo di Villa Giulia.
Nel 1920 fu trasferito ad Ancona, prima come Ispettore incaricato dell’ufficio di Soprintendente delle Marche (che comprendeva anche i territori di Abruzzo, Molise e, dal 1923, Zara) e quindi anche come direttore del Museo nazionale; nel 1923 fu nominato soprintendente.
Ad Ancona le sue capacità amministrative e organizzative ebbero la massima espressione nel nuovo allestimento del museo, per il quale individuò e fece restaurare il complesso di S. Francesco alle Scale. Inaugurato alla presenza del Re nell’ottobre del 1927, il museo offriva un inedito quadro cronologico-topografico della realtà culturale marchigiana, studiata attraverso indagini di recupero e conservazione condotte in tutto il territorio e contestualmente pubblicate in riviste specializzate (fra cui Notizie degli scavi, Atti e Memorie della Regia Deputazione di Storia Patria delle Marche e Bollettino d’arte). Di rilievo fu anche l’isolamento della chiesa di S. Donato a Zara con gli scavi del foro e l’ordinamento del museo archeologico.
Nel 1930, dopo aver allestito a Monza la mostra sul vetro antico per la IV Triennale di Milano, fu richiamato a Roma come soprintendente alle antichità del Lazio e direttore del Museo nazionale romano. Anche in questo periodo condusse molti scavi e interventi, tra i quali: i restauri di Porta Venere a Spello e del ponte romano a Narni; il recupero, l’identificazione e lo studio del «guerriero italico di Capestrano» (con l’omonima pubblicazione nella collana Opere d’Arte dell’Istituto nazionale di archeologia e storia dell’arte nel 1936 e quella nel Bullettino di Paletnologia Italiana, n.s., I, 1936-37, pp. 94-112); la conclusione nel 1940 del recupero e della musealizzazione delle navi di Nemi e i relativi studi (I bronzi figurati delle navi di Nemi, in G. Ucelli, Le navi di Nemi, Roma 1940, pp. 199-217).
A Roma, oltre a promuovere importanti restauri, come quello degli argenti di Marengo, continuò il suo progetto di riordino del Museo nazionale romano e di isolamento e ristrutturazione del complesso delle Terme di Diocleziano. La sua impresa più celebre, e forse più dolorosa, fu la ricomposizione dell’Ara Pacis.
Moretti diede inizio al progetto di ricomposizione dell’Ara Pacis nel 1937 con scavi all’avanguardia e con il tentativo, in parte riuscito, di recuperare i frammenti conservati in altre sedi e lo concluse con l’amarezza di non aver operato secondo i consueti criteri archeologici e museografici. La ricostruzione fu infatti portata a termine in estrema fretta e fra molte perplessità (specie per la musealizzazione nella teca sul lungotevere, non condivisa da Moretti), sotto la pressione della propaganda fascista, che volle inaugurare il monumento a chiusura del bimillenario augusteo, il 23 settembre 1938. La prestigiosa pubblicazione, ancora oggi di riferimento per lo studio dell’altare, non vide la luce che nel dopoguerra (Ara pacis augustae, Roma 1948).
Nel 1942, raggiunti i limiti di età e di servizio, Moretti fu collocato a riposo, senza ottenere la proroga per terminare i lavori iniziati concessa ad altri suoi colleghi: in questo modo pagò una certa disaffezione dal regime, nel quale aveva creduto e aderito nel 1932 e dal quale si era progressivamente distaccato, escludendosi da ruoli e iniziative politiche (come si evince dalle «note di qualifica» del ministero dell’Educazione nazionale, redatte da Paribeni).
Morì a Roma il 20 luglio 1945, dopo alcuni mesi di malattia.
A lui sono stati intitolati un sepolcro etrusco a Caere e, nel 1972, il Museo archeologico di San Severino Marche.
Fonti e Bibl.: Arch. Centrale dello Stato, Ministero della Pubblica istruzione, Direzione generale AA.BB.AA., Divisione I, 1946/50, b. 119 (20 personale); Arch. privato Giuseppe Moretti. Necr.: R. Paribeni, Commemorazione del socio G. M., in Atti della Pontificia Accademia Romana di Archeologia. Rendiconti, XXII (1946-47), pp. 17- 22. E. Moretti, G. M., Roma 1976 (cui si rinvia per l’elenco completo delle pubblicazioni e per ulteriori indicazioni biografiche); M. Serio, Un regio decreto del 1943, in Bollettino d’arte, LXV (1980), 6, pp. 85-109; A.M. Sgubini Moretti, I Castellani e la loro collezione, in La collezione Augusto Castellani, a cura di Id., Roma 2000, pp. 9-21, in part. 17; M. Landolfi, G. M. e gli esordi dell’archeologia italiana in Anatolia, in Bollettino dell’Associazione Iasos di Caria, VIII (2002), pp. 37-39; A.M. Sgubini Moretti, G. M., in M. Landolfi, Il Museo civico archeologico di San Severino Marche, San Severino Marche 2003, pp. 8-9; E. Cagiano de Azevedo, Ma non era quello che si voleva. L’Ara Pacis Augustae. Una storia tutta romana, in Strenna dei Romanisti, LXV (2004), pp. 105-129; A.M. Sgubini Moretti, Profilo di un archeologo marchigiano fra Roma e il Piceno, in I Piceni e la loro riscoperta tra Settecento e Novecento, Atti del Convegno (Ancona 2000), a cura di M. Luni - S. Sconocchia, Urbino 2008, pp. 179-199; S. Bruni, s.v. M., G., in Dizionario biografico dei soprintendenti archeologi, in corso di stampa (con ulteriori fonti e bibliografia).
Elena Cagiano De Azevedo