MORANDO, Giuseppe
MORANDO, Giuseppe. – Nacque il 29 gennaio 1866 a Genova, da Lorenzo e da Cattarina Noli.
A Genova frequentò il collegio dei padri barnabiti. All’età di 14 anni incontrò Pietro Rusconi, che lo avvicinò al proprio maestro, padre Luigi Villoresi, discepolo di Antonio Rosmini. A seguito di questo incontro Morando lasciò Genova alla volta di Monza, per studiare nell’istituto di padre Villoresi, dove rimase per circa due anni. Dopo la scomparsa del maestro, si trasferì a San Benigno Canavese, dove compì gli studi liceali presso i salesiani, ma il metodo adottato da questi ultimi non lo convinse e così decise di studiare per proprio conto. Fu allora che si dedicò all’opera di Rosmini. Poco tempo dopo, si trasferì a Domodossola, presso il Collegio dei padri rosminiani, dove pronunciò i voti religiosi semplici e iniziò il lavoro che doveva condurlo alla pubblicazione di Ottimismo e pessimismo (Milano 1890), primo momento della sua produzione.
A partire da quest’opera – che fu messa all’Indice, determinando l’abbandono di Domodossola e il trasferimento a Venezia – iniziò un percorso di studio che portò Morando presso l’Università di Padova, dove discusse una tesi su Il problema del libero arbitrio (Milano 1895). Conseguita la laurea, si trasferì a Vicenza per insegnare nel Regio liceo della città, e poi a Vigevano e a Lodi, città in cui, nel 1906, portò a termine uno dei suoi progetti culturali più impegnativi: la creazione della Rivista rosminiana, importante punto di riferimento del dibattito filosofico italiano di quegli anni.
Nel corso della sua vicenda intellettuale, Morando si occupò dello studio assiduo e della difesa del pensiero di Rosmini (Esame critico delle XL proposizioni rosminiane condannate dalla S.R.U. Inquisizione, Milano 1905), che rappresenta il fondamento del suo itinerario teorico, sostanziato, inoltre, da un forte senso di appartenenza all’ortodossia cattolica. Muovendo dalla visione della filosofia come metafisica e dall’attenzione al problema del rapporto tra ragione e fede, che rappresentò sempre uno dei cardini del suo pensiero, accreditò all’indagine filosofica la funzione di insostituibile sostegno della fede e della religione, in opposizione a ogni forma di relativismo e di scetticismo.
Contro le derive della modernità e, in particolare, contro il suo «grande patriarca», Immanuel Kant, Morando sostenne i diritti dell’oggettivismo in ogni ambito disciplinare, a partire da una salda professione di fede (Il rosminianismo e l’Enciclica «Pascendi», in Rivista rosminiana, V [1908], p. 8). Questa prospettiva gli consentì di approfondire, oltre al rapporto tra religione e filosofia, anche la relazione intercorrente tra l’indagine filosofica, le scienze e la morale, ritenendo significativo per l’itinerario del sapere «l’ufficio intellettivo» e quello «morale» della filosofia. Quanto al primo, sostenne che «una scienza è tanto più degna di questo nome, quanto più i suoi concetti fondamentali, i princìpi e i metodi di cui si serve sono stati esaminati e discussi filosoficamente »; quanto al secondo, che «se vogliamo […] governare razionalmente le nostre azioni e non abbandonare tutto alla cieca sorte, ci convien filosofare» (Importanza ed uffici della filosofia, in Rassegna nazionale, 1897, pp. 675, 678 s.).
Procedendo lungo una direzione teorica che aveva nel platonismo la propria origine, Morando approfondì la critica del soggettivismo e su questa fondò un percorso di ricerca legato a un unico, stabile e duraturo orizzonte di verità, opposto a ogni prospettiva relativistica e salda garanzia di scientificità, non essendo possibile, a suo giudizio, parlare di filosofia fuori dell’ambito della verità. A tale prospettiva venne affiancata l’idea di un «ottimismo vero», di un «ottimismo completo», così come era stato «promesso nel cristianesimo», del tutto opposto al disegno di un imperante (e tutto moderno) soggettivismo, legato, per converso, a un «ineluttabile pessimismo scientifico» (Ottimismo e pessimismo, pp. 87 e 13).
Una severa valutazione della prospettiva oggettivistica di Morando, nonché del suo intendimento del pensiero rosminiano e della tradizione della filosofia moderna da Cartesio a Hegel, fu espressa da Giovanni Gentile, secondo il quale, di là di improduttive cesure tra intendimento oggettivistico e soggettivistico della conoscenza e della verità, occorreva porre fine a quella tradizione di studi rosminiani che aveva privilegiato una lettura di Rosmini più «come storico della filosofia» che come filosofo. A dire di Gentile, infatti, «giudicare ancora Kant o Locke o Hegel sulle orme del Rosmini è imperdonabile» (Rosmini e Gioberti. Saggio storico sulla filosofia italiana del Risorgimento, Firenze 19583, p. 332).
All’indirizzo contestato da Gentile, Morando congiunse una prospettiva pedagogica, fondata sulla consapevolezza del fatto che soltanto una solida base filosofica poteva sostenere la riflessione sull’istruzione e sulla formazione: a questo proposito parlò di una filosofia dell’educazione in grado di incarnare e veicolare un orizzonte duraturo, oggettivo e universale di valori, principale requisito per una feconda trasmissione del sapere.
La salda prossimità con il pensiero di Rosmini e la difesa a oltranza dell’itinerario teorico di quest’ultimo si rivelarono non particolarmente propizi a un favorevole compimento della vicenda accademica di Morando: nonostante si fosse avviato a quella carriera (conseguì, infatti, la libera docenza all’Università di Padova e fu libero docente di Filosofia teoretica presso l’Accademia scientifico-letteraria di Milano), gli fu sempre negato l’accesso a una cattedra perché ritenuto troppo incline al rosminianesimo. La sua carriera si concluse, infatti, presso il Regio liceo di Voghera, dove approdò, in qualità di preside, nel 1909.
Morì a Voghera cinque anni dopo, il 4 maggio 1914.
Opere: oltre a quelli citati altri importanti lavori di Morando sono: Antonio Rosmini e il suo centenario, in La Rassegna nazionale, I (1897), pp. 410-416; Corso elementare di filosofia: I, Preliminari, elementi di psicologia, cenni di cosmologia, Milano 1898; II, Elementi di logica, ibid., 1898; III, Piccola teodicea, Elementi di etica. Note di estetica, cenni storici, ibid., 1899; Compendio del Corso elementare di Filosofia ad uso dei Licei, 3 voll., ibid. 1900; L’origine dell’anima umana secondo la dottrina di Antonio Rosmini, in La Rass. naz., vol. 124 (1902), pp. 41-74 e 305-399; Etica, in Biblioteca degli studenti, notizie di storia, di lettere, di scienza, d’arte, voll. 107-108 (1905); La filosofia dell’azione e l’apologetica moderna, in Rivista rosminiana, 1906, 1 , pp. 3-15; Qual è il vero Rosmini?, ibid., 1906, 2, pp. 54-57; Ontologismo rossiniano. Sensismo o soggettivismo? Ancora la filosofia dell’azione e l’idealismo, ibid., 1907, 4, pp. 278-280; Ancora del vero Rosmini, ibid., 1907, 8, pp. 466-470; A. Rosmini e la pedagogia, ibid., 1908, 6, pp. 375-398; La filosofia dell’essere, ibid., 1909, 5, pp. 315-318; Rosmini panteista?, ibid., pp. 318-320; Un catechismo filosofico sulle fondamentali dottrine del Cristianesimo, ibid., 1909, 6, pp. 360-389; Logica, Voghera 1912.
Fonti e Bibl.: A. Moglia, G. M. e il problema del libero arbitrio, in Il nuovo risorgimento, 1894- 1895, 5, pp. 469-484, 6, pp. 8-14; A. Franzoni, L’«Esame critico» delle quaranta proposizioni rosminiane, in Rivista rosminiana, 1906, 4, pp. 162- 175; L.M. Billia, Nel trigesimo della morte di G. M. La commemorazione al Liceo ginnasio di Voghera, ibid., 1914, 9-10, pp. 431-437; P. Rusconi, G. M., ibid., pp. 397-405; T. Bugossi, Momenti di storia del rosminianesimo: vol. I, M. e Billia, Stresa 1986.