MONETA, Giuseppe
– Figlio di Benedetto di Giovanni Flaminio, nacque a Firenze nel 1754, come si evince dal trafiletto mortuario apparso nella Gazzetta toscana del 4 ott. 1806.
I Moneta risiedevano a Signa in una villa che avevano acquistato dalla famiglia Guiducci. Restano del tutto ignoti gli anni della formazione culturale e musicale del M., che si pone come figura anfibia: da un lato compositore ed esecutore (di cembalo e di corno) «dilettante», eloquente sineddoche d’un nutrito gruppo di maestri che assicurò floridezza alla vita musicale fiorentina del XVIII secolo; dall’altro dignitoso professionista di quell’operismo tardosettecentesco orientato a un progressivo allontanamento dalle morfologie di conio metastasiano nel versante serio e a un’assimilazione della drammaturgia d’Oltralpe in quello buffo.
L’esordio sulle scene risale al febbraio 1778, quando nel piccolo teatro fiorentino di S. Maria venne rappresentata una sua farsa (che intercalò le recite della Semiramide di Voltaire), seguita, l’anno successivo, da un oratorio, Il figliuol prodigo, cantato il 20 febbraio presso S. Giovannino degli Scolopi. La prima opera di cui si hanno almeno le fonti librettistiche è il dramma serio-giocoso I pastori delle Alpi, su testo del nobile fiorentino e «avvocato criminale del foro veneto» A.P. Valli, rappresentato nel teatro Ognissanti il 1° giugno 1779 (poi replicato al Regio di Trieste, forse su interessamento dello stesso Valli, il 17 ott. 1780). Nella prefazione di questo libretto il poeta e l’operista «dilettanti» affermano di essersi addossati «il difficile compito di dilettare il pubblico per semplice piacere e non per professione o prezzo». Dopo tre mesi, il 9 settembre, nello stesso teatro, il M. iniziò a esercitare il ruolo di maestro al cembalo (con le recite del Tamburo notturno di G. Paisiello).
Gli anni Ottanta del Settecento furono assai prolifici per il M., che, sui palcoscenici dei teatri minori di Firenze, affrontò i più disparati generi melodrammatici: dalle serenate e cantate accademiche (Angelica e Medoro, teatro di Porta rossa, 19 marzo 1780; L’Urano di M. Giannetti, membro dell’Accademia Etrusca, ibid., 23 marzo 1788) al dramma giocoso (La giardiniera accorta, teatro del Cocomero, 20 sett. 1781), dalla burletta (Il marchese a forza, teatro di S. Maria, 26 dic. 1782) al melologo (Meleagro, su testo di C. Federici, Cocomero, 22 giugno 1785, replicato poi a Milano e Torino nel 1788 e a Madrid nel 1795 con innesti di nuovi pezzi musicali cantati), dall’intermezzo (Il tutore e la pupilla, su libretto di M. Coltellini, Cocomero, 26 dic. 1785; L’equivoco del nastro, ibid., carnevale 1786) alla «tragedia lirica» (La vendetta di Medea, di C. Giotti, teatro della Pallacorda, 31 dic. 1787) o all’azione teatrale (Orfeo negli Elisi, ibid., 17 maggio, 1788).
Dalla stagione 1783-84 fino a quella 1799-1800 il M. compare regolarmente nell’elenco degli operisti redatto dall’almanacco teatrale noto come Indice de’ teatrali spettacoli. In questa prima fase della produzione operistica del M. spicca il dramma giocoso su libretto di G. Manolessi Il Capitan Tenaglia o sia la muta per amore, rappresentato al teatro degli Armeni di Livorno nel carnevale 1784 e poi replicato alla Pallacorda di Firenze l’8 agosto; è questa l’unica opera del M. a essere stata gratificata di un buon numero di riprese (nel carnevale 1785 a Brescia e ad Ancona, in primavera ad Alessandria e, con il titolo La finta muta per amore, a Genova nella primavera 1786) e di un riadattamento in lingua francese: La fauste quitte par amour, Paris 1788 (segnalato sul Calendrier musical universel, 1788, p. 2372). Il 1789 fu denso d’impegni per il M., che con Gli amori d’estate o sia il mulinaro e la pescatrice (Cocomero 1789, poi replicata a Fiume nell’estate 1798) sperimentò il genere misto di prosa e musica sul modello dell’opéra-comique francese, mostrando un’interessante sintonia con le analoghe operazioni teatrali varate in quegli stessi anni sulle scene di Venezia, Parma, Monza (gli adattamenti di G. Carpani per gli spettacoli al teatro arciducale) e Napoli (la Nina di G. Paisiello). Del M. nel 1789 l’editore fiorentino F. Stecchi stampò le Sei ariette per voce con arpa o pianoforte. Notevole successo riscosse anche la musica (la «più toccante ed espressiva», a detta del redattore della Gazzetta toscana, n. 6 del 7 febbraio) per il melologo di Giotti La morte di Sansone (con P. Andolfati nel ruolo eponimo) e l’atto unico Il sacrifizio d’Ifigenia (Cocomero, 3 febbr. 1789), nella cui prefazione il librettista anonimo afferma di aver tentato, sulla falsariga di R. de’ Calzabigi, un connubio tra l’opera italiana e la drammaturgia «riformata».
Nell’autunno 1790 giunse la prima e unica commissione fuor di Toscana: l’opera buffa I due tutori, allestita al teatro Valle di Roma (poi replicata il 9 luglio 1792 a Firenze, teatro della Pallacorda, col titolo Le due orfane e i due tutori innamorati).
Nel carnevale 1791 il M. tornò al genere misto di prosa e musica con Le nozze all’inferno (teatro di Piazza Vecchia). Scorrendo gli appellativi del M. riportati nei libretti a stampa dei melodrammi da lui musicati si evince che la svolta nella sua carriera fu determinata dalla partecipazione alle feste granducali dell’estate 1791.
Fino a quella data, infatti, il M. è presentato come semplice «dilettante fiorentino» (I pastori delle Alpi, 1779), «compositor dilettante» (nelle opere del 1786), anche se in occasioni di tipo «accademico» il titolo poteva essere solennizzato: «celebre dilettante» è definito nel 1790 sul libretto della serenata Angelica e Medoro e «accademico onorario» su quello della cantata L’Urano che l’Accademia degli Armonici organizzò quale omaggio alle nozze di Francesco d’Austria con Guglielmina Elisabetta di Wittemberg (Gazzetta toscana, n. 13, 29 marzo 1788, p. 50).
Dal 4 al 6 luglio 1791 nel parco delle Cascine di Firenze vennero organizzate feste pubbliche, accompagnate da sontuosi apparati scenici e musiche reboanti (orchestra di fiati con «banda albanese» per un totale di 55 strumentisti e 80 coristi) composte dal M. e accolte da «universale approvazione» (cfr. Gazzetta universale, n. 55, 9 luglio 1791, p. 440). Meno di tre mesi dopo, la farsa in prosa e musica Il conte Policronio, rappresentata nel teatrino della villa medicea di Poggio a Caiano il 18 settembre (e prontamente replicata il 21 settembre al Cocomero), entusiasmò i sovrani, che nominarono il M. «maestro di cappella onorario della real corte di Toscana» (cfr. ibid., n. 79, 1° ott. 1791, p. 631).
A partire dal 1791, forte di tale titolo onorifico, il M. rallentò i ritmi produttivi, abbandonò il defatigante compito di maestro al cembalo e revisore delle partiture per le opere date al Cocomero e alla Pallacorda - aveva ritoccato nel 1779 Il finto cavaliere per amore di G. Astarita, aggiungendovi un terzetto con clarinetto obbligato; nel 1781, per i Contrattempi di G. Sarti, aveva colmato le lacune provocate sulla partitura da un incidente mentre veniva portata al teatro della Pallacorda; sempre per questo teatro aveva messo mano ai Due fratelli sciocchi di P. Guglielmi nel 1782 e all’Orfeo di Chr.W. Gluck nel 1788 –, ma ancora non approdò alle prestigiose scene della Pergola. Per il ritorno del granduca Ferdinando III di Lorena da Vienna, il M. scrisse una Sinfonia a grand’orchestra eseguita a Palazzo Pitti il 7 luglio 1792. Fuor di Firenze lo portarono i piccoli impegni rappresentati da due farse, allestite il 30 marzo 1794 al teatro degli Intronati di Siena (L’impostore punito e I due gemelli, quest’ultima fu replicata al Cocomero il 26 dic. 1799 col titolo La poetessa capricciosa amante de’ due gemelli), e dall’oratorio Il sacrificio di Jefte, dato a Fucecchio presso la collegiata di S. Giovanni per la festa di S. Candido dal 22 al 25 ag. 1795.
È proprio con l’oratorio che il M. fece il suo debutto alla Pergola nella quaresima 1798: Il trionfo di Gedeone segnò uno fra i massimi successi del compositore (poi replicato durante la quaresima del 1804 nello stesso teatro), seguito dall’opera seria L’Oreste (Pergola, 15 ott. 1798, su libretto di F. Gonella) che tuttavia era stata già rappresentata all’Accademia dei Costanti di Pisa nella precedente primavera. Nei burrascosi anni che accompagnarono il passaggio di secolo il M., al pari di ogni altro operista, si applicò al genere encomiastico ossequiando il potere di turno. Se con Le varie poi fauste vicende di Flora (azione teatrale di G. De Gamerra, Cocomero, Avvento 1799) il M. omaggiò gli ultimi bagliori del Granducato di Toscana, dopo l’abdicazione di Ferdinando III riparato a Vienna nel 1801 - qui, nella biblioteca privata dell’imperatrice Maria Teresa Carolina di Borbone-Napoli sono presenti un Miserere in si maggiore e un Requiem in sol maggiore del M. – tuttavia riuscì a mantenere il titolo di maestro di cappella onorario servendo il nuovo re d’Etruria imposto da Napoleone, Ludovico di Borbone, cui venne dedicata la Preghiera a l’Ente Supremo. La cantata Dopo la procella la calma fu scritta invece per la reggente Maria Luisa infanta di Spagna, che assunse il potere in Toscana nel 1803.
Il M. morì il 17 sett. 1806 dopo una lunga malattia nella sua villa di Signa.
Venne sepolto nella chiesa di S. Maria in Castello, dove è conservata la lapide commemorativa. Il frontespizio delle Due sonate per pianoforte e violino reca un bel ritratto del M. disegnato da D. Bicoli e inciso da F. Bainaldi.
Tra gli altri lavori del M. vanno menzionati: Sei ottave del canto XIX della Gerusalemme liberata per soprano e violino; la cantata La morte di Beatrice Cenci romana; Due notturni per soprano e chitarra; la canzonetta su testo di Giotti Che bel dì, nonché la cavatina coprologa Son tre giorni che non ho cacato.
Esponente di un onesto artigianato operistico confinato nei teatri toscani, il M. acquista serio interesse storiografico qualora lo si collochi in seno al panorama delle «tentate riforme» che traghettarono il melodramma d’impianto metastasiano verso la magmatica drammaturgia romantica seguendo un percorso curvilineo, interessato ai generi «misti» saggiati fuori dai tradizionali circuiti impresariali. Il M. non può dirsi né autore di opere buffe, né di opere serie; fu invece un «dilettante» che, proprio in quanto tale, risultò congeniale alla sperimentazione di nuove formule drammaturgiche – il melologo, lo spettacolo in canto e prosa – nelle quali la componente musicale era chiamata ad assumere inedite responsabilità espressive. Negli stessi anni in cui il M. operava a Firenze, a Venezia altri compositori, anch’essi come lui lontani dalle scene e dai successi di un Paisiello o di un D. Cimarosa, davano corpo sonoro alle velleità teatrali del «dilettante» conte Alessandro Pepoli, preparando in maniera umile e silenziosa il terreno ai vari G.S. Mayr, F. Paër, S. Pavesi e poi a G. Rossini. L’irreperibilità della maggior parte delle opere del M. rende ardua la formulazione di un chiaro giudizio estetico. Se è vero che l’ascolto del Conte Policronio, permesso da una recente riproposta discografica, può instillare dubbi sulla reale perizia compositiva del M., è anche vero che per i suoi contemporanei «il vero pregio della buona musica» restavano «semplicità e chiarezza» (cfr. Gazzetta universale, n. 77, 24 sett. 1791, p. 616).
Fonti e Bibl.: A. Bonaccorsi, Trii per fiati di G. Moneta. Piccole scoperte nel Settecento, in La Rassegna musicale, XXII (1952), pp. 32-36; M. De Angelis, La felicità in Etruria. Melodramma, impresari, musica, virtuosi: lo spettacolo nella Firenze dei Lorena, Firenze 1990, ad ind.; Id., Melodramma, spettacolo e musica nella Firenze dei Lorena, Firenze-Milano 1991, ad ind.; R.L. Weaver - N. Wright Weaver, A chronology of music in the Florentine Theater 1751-1800, Warren 1993, ad ind.; V.A. Hewitt, I teatri di Livorno tra Illuminismo e Risorgimento. L’imprenditoria teatrale a Livorno dal 1782 al 1848, Livorno 1995, ad ind.; Un almanacco teatrale: l’«Indice de’ teatrali spettacoli», a cura di R. Verti, Pesaro 1996, passim; A. Chegai, L’esilio di Metastasio. Forme e riforme dello spettacolo d’opera tra Sette e Ottocento, Firenze 2000, pp. 66-68; J.A. Rice, Empress Marie Therese and music at the Viennese Court. 1792-1807, Cambridge 2003, p. 273; P. Russo, «Medea in Corinto» di F. Romani: storia, fonti, tradizioni, Firenze 2004, pp. 144-146; F. Venturi, L’Opera lirica a Livorno 1658-1847: dal teatro di S. Sebastiano al Rossini, Livorno 2004, ad ind.; G. Vitali, G. M. un compositore alla corte dei Lorena, in Il conte Policronio, ovvero Le bugie hanno le gambe corte, Prato 2007, pp. 7-19; M. Pepi, «Il conte Policronio» e l’ombra di Cagliostro, ibid., pp. 21-40; M.E. Tozzi Bellini, G. M. musicista dilettante, in Amici dei musei, XXXV (2009), 117-119 (gennaio-settembre), pp. 116-120; L. Tufano, La ricezione italiana del melologo à la Rousseau e la «Pandora» di A. Pepoli, in D’une scène à l’autre. L’opéra italien en Europe, Wavre 2009, pp. 125-140; Diz. encicl. univ. della musica e dei musicisti. Le biografie, V, p. 144; The New Grove Dict. of music and musicians, XVI, pp. 919-920.