MIROGLIO, Giuseppe
- Nacque ad Alba (Cuneo), il 15 luglio 1886, da Carlo e da Angela Scarzello, primogenito di sei fratelli.
Il nonno materno possedeva a Corneliano – un paesino a pochi chilometri da Alba – un piccolo negozio di alimentari, tessuti e oggetti vari per la casa che, nel 1882, lasciò in eredità ai figli. Dopo il matrimonio, avvenuto a Corneliano il 6 ott. 1884, i genitori del M. – con un piccolo capitale iniziale e sulla scorta di una certa esperienza del mestiere per Angela e delle nozioni contabili apprese da Carlo durante il servizio militare – si stabilirono ad Alba e avviarono un’attività per la vendita di tessuti in fibre naturali a basso prezzo, affittando un magazzino e proponendo i loro prodotti nei mercati settimanali che si tenevano nei borghi delle Langhe. Dopo pochi anni abbandonarono l’attività di venditori ambulanti e aprirono ad Alba un negozio di tessuti. Le strategie adottate furono elementari, ma efficaci: vendere tessuti di media qualità a basso prezzo, adattandosi perfettamente in tal modo a un mercato locale caratterizzato da bassi redditi individuali, con una domanda limitata a beni di consumo di prima necessità.
Lentamente il giro d’affari della piccola ditta si ampliò, tanto che alla svolta del secolo i dipendenti erano già una dozzina. Anche i figli – al M. si erano aggiunti Battista, Cesare, Adele, Giovanni e Leone – dopo aver frequentato le scuole tecniche, erano stati via via inseriti nell’attività di famiglia, dove era già presente una embrionale ma codificata divisione del lavoro: il padre si occupava dei rapporti con i fornitori, mentre la madre attendeva alle vendite e alla parte commerciale. Nel 1902, l’inserimento del M. avvenne proprio nel settore di competenza del padre e una delle sue prime iniziative fu quella di operare una razionalizzazione nel comparto dei fornitori, riducendoli da oltre sessanta a una dozzina. Nel 1907, la morte di Angela provocò una svolta nella vicenda della piccola azienda commerciale, in quanto Carlo decise di ritirarsi dall’attività e di passare la mano ai figli. Nel 1913 l’impresa contava una ventina di dipendenti.
Lo scoppio della prima guerra mondiale e la successiva (1915) entrata in guerra dell’Italia, con il crollo dei consumi e di conseguenza delle vendite, causò immediatamente problemi all’azienda. Fu allora che emerse lo spirito imprenditoriale del M. il quale riuscì con caparbietà a inserirsi nelle forniture belliche, ottenendo da Torino una prima commessa di 100.000 camicie e 50.000 mutande. Per fare fronte alla richiesta il M. improvvisò un laboratorio per la confezione di indumenti, trasformando velocemente l’attività commerciale in una produttiva; seguirono quindi altre commesse.
Mentre i fratelli Cesare e Leone erano arruolati nei bersaglieri e Giovanni in artiglieria, il M., proprio per seguire la produzione, riuscì a dilazionare per qualche tempo la partenza per il servizio militare. Negli ultimi due anni di guerra, con il M. arruolato nei bersaglieri, fu nuovamente il padre Carlo a reggere le sorti del negozio.
I primi anni del dopoguerra rappresentarono, almeno nel breve periodo, un’ottima occasione per la ditta, soprattutto nel 1919-1920, quando le vendite, dopo le restrizioni causate dal conflitto, registrarono una forte impennata. La crisi, però, si manifestò improvvisa nel 1921, quando l’azienda si trovò con forti giacenze di magazzino e molto esposta con i creditori. Anche in questo caso la reazione fu rapida: il M. – che, nel 1921, aveva sposato Elena Viglino, figlia di Francesco Viglino, sindaco di Alba – continuò a occuparsi dell’esercizio di Alba mentre vennero acquistati altri negozi: a Nizza Monferrato (affidato a Battista e Giovanni); a Genova (a Cesare); e a Cuneo (a Leone); inoltre, fu presa la decisione di vendere tutte le giacenze di magazzino sotto costo per far fronte ai creditori e creare nuova liquidità. L’operazione ebbe successo: l’attività principale di Alba venne salvata e con questa anche i negozi di Genova e Cuneo, solo quello di Nizza Monferrato dovette essere chiuso.
Nel corso degli anni Venti l’espansione commerciale della ditta, pur moderata, continuò con l’acquisizione di diversi esercizi che appartenevano a concorrenti. Inoltre, venne perfezionata la strategia commerciale di vendere stoffe di buona qualità a un prezzo accessibile con l’aggiunta della vendita di pezzature a «prezzo fisso».
Nel 1928 si ebbe una svolta importante con lo scioglimento della ditta familiare: Battista e Giovanni abbandonarono l’attività, Cesare si occupò esclusivamente del negozio di Genova e Leone di quello di Cuneo, mentre il negozio di Alba – in sostanza il centro dell’attività – toccò al M., al quale la crisi del 1929 e le sue conseguenze aprirono, paradossalmente, nuove strade. Già nel 1931 egli aveva provveduto a far costruire ad Alba magazzini di una certa dimensione, ma fu nel 1934 che prese la decisione di passare definitivamente dall’attività commerciale a quella produttiva, orientata alla lavorazione della seta.
Durante gli anni Venti e Trenta, quantunque avviata a una lenta decadenza, la coltivazione dei gelsi e l’allevamento dei bachi da seta erano ancora diffusi nelle campagne circostanti, tanto che la provincia di Cuneo era una della principali produttrici di bozzoli a livello nazionale e Alba uno dei più importanti mercati della provincia, produzioni che fornivano materia prima a diverse filande sparse sul territorio. Una delle conseguenze economiche della crisi del 1929 nelle campagne fu il crollo quasi contemporaneo dei prezzi della seta semilavorata e dei bozzoli, con una forte riduzione dell’attività serica.
Dopo aver costituito la Tessitura della seta Giuseppe Miroglio, il M. si associò a industriali serici locali e si inserì nel processo produttivo, anticipando i capitali per l’acquisto a basso prezzo di bozzoli e facendo svolgere le prime fasi della lavorazione della seta presso opifici albesi. Mancava tuttavia la fase della tessitura per poter giungere al prodotto finito; ad Alba fu costituito una sorta di «ufficio disegni» e vennero stabiliti contatti con diverse tessiture seriche del circondario di Como: da Alba partivano la seta filata e i disegni e tornavano i tessuti pronti per essere commercializzati. L’avvio della produzione dei tessuti comportò un allargamento degli orizzonti di mercato e il M. – spesso di persona – iniziò a proporre i prodotti della Tessitura Miroglio non solo nell’Albese ma in tutto il Norditalia.
La seconda guerra mondiale causò un forte rallentamento sia dell’attività produttiva sia di quella commerciale; nei primi anni del conflitto rimase operante solo il negozio di Alba, costretto a sospendere successivamente tutta l’attività, che riprese lentamente a partire dall’estate del 1946. Peraltro, nel 1947 si ebbe un’ulteriore svolta, in quanto il M. affiancò nuovamente all’attività commerciale la produzione, ma in proprio e non affidata a terzi, installando 4 telai per la tessitura della seta nel centro di Alba. La crescita della Miroglio fu immediata.
Nel 1950 i telai erano saliti a 52 e si lavorava a doppi turni, nello stesso anno fu costruito uno stabilimento alla periferia di Alba, con una dotazione tecnica di 150 telai a navetta e un orditoio Omita; contemporaneamente, la lavorazione venne estesa anche alla viscosa e al cotone, seppur in piccole quantità.
Nei primi anni Cinquanta entrarono in azienda i figli del M., Carlo (n. 1922) e Francesco (Franco, n. 1924); e nel 1953 lo stabilimento di Alba subì un ulteriore ampliamento e una totale riorganizzazione tecnica.
I 150 telai a navetta furono sostituiti da 250 telai automatici, venne aggiunto un nuovo reparto destinato all’orditura, dotato di due orditoi sezionali e di due macchine imbozzimatrici, l’occupazione raggiunse i 150 addetti.
A metà decennio, nel 1955, la Miroglio operò una diversificazione della produzione, entrando anche nel settore dell’abbigliamento, con l’obiettivo strategico di creare una verticalizzazione della produzione, sia pure parziale. In quell’anno venne costituita una società apposita, la Vestebene, collocata nei locali del centro di Alba che erano già stati della Tessitura e con un’occupazione originariamente limitata a meno di una trentina di addetti.
La produzione, rivolta ai capi di abbigliamento femminile, iniziò con un solo modello – la vestaglia «Lido realizzato su tessuto Grazia» – venduto al prezzo fisso di 1.000 lire, che ottenne un immediato successo; per l’inverno furono aggiunti due nuovi modelli, una vestaglietta pesante e una gonna plissettata in viscosa, e anche in questo caso l’intera produzione di 9.000 capi venne esaurita in breve tempo.
Ben presto il piccolo opificio di Alba si rivelò inadeguato a far fronte a tutte le richieste del mercato e nel 1956 venne costruito un nuovo moderno impianto in periferia, articolato su quattro piani e su oltre 6.000 m2 di superficie. L’anno successivo la Vestebene iniziò a lavorare il terital, non prodotto dalla Miroglio ma acquistato all’esterno, lanciando sul mercato due modelli di gonne plissettate, anche queste destinate a un grande successo. Nel 1958, il ciclo produttivo «verticale» era prolungato con la costruzione di una stamperia e di una tintoria in un nuovo stabilimento, sempre alla periferia di Alba, in grado di stampare, nello stesso anno, 1.300.000 m2 di tessuto. Nel 1959, il M. si ritirò, almeno formalmente, dalla guida delle due aziende.
L’anno precedente la Tessitura occupava 320 addetti e la Vestebene 230, per una produzione di poco meno di 3 milioni m2 di tessuto all’anno, un fatturato complessivo di poco superiore ai 3 miliardi (3, 5 miliardi nel 1959) e con rappresentanze commerciali in ben 38 nazioni.
I primi anni Sessanta comportarono una parziale ridefinizione delle strategie di crescita delle due aziende.
Nel 1960, la Tessitura aveva iniziato a produrre il poliestere, utilizzato come materia prima dalla Vestebene, che, a sua volta, aveva aperto nello stesso anno una nuova unità produttiva a Bra di 6.000 m2. Le dimensioni raggiunte dal gruppo, 800 dipendenti e un fatturato complessivo di circa 4 miliardi (solo la Vestebene occupava 300 addetti e raggiungeva un fatturato di 1.200 milioni) imposero una nuova riorganizzazione produttiva fondata su determinate strategie sia interne sia esterne: nelle aziende venne introdotto il cottimo e il controllo dei tempi di produzione; fu progettata l’apertura di diverse unità produttive nella provincia dove la manodopera, soprattutto femminile, era più abbondante; i diversi stabilimenti si sarebbero dovuti specializzare in una singola fase produttiva e in un solo prodotto; doveva essere prestata maggiore attenzione alla tendenze della moda; infine, si sarebbe utilizzata la pubblicità su vasta scala con più attenzione alla commercializzazione e l’avvio della vendita non solo ai grossisti ma anche ai dettaglianti.
Nel corso degli anni Sessanta la Tessitura subì un radicale ammodernamento tecnologico, con l’installazione di telai Omida, sostituiti a loro volta con i Giani e, infine, con i Ruti B, e alla produzione dei tessuti fu affiancata anche quella della maglieria. Nel 1970 fu modificata la ragione sociale dell’azienda costituita in Tessiture Miroglio spa, con un capitale di 2,5 miliardi, articolate su due unità produttive – la tessitura e la tintoria-stamperia di Alba – e un magazzino, una dotazione tecnica di 700 telai, una produzione di oltre 20 milioni di m2 di tessuto – per un quarto maglieria – destinati per il 40% all’estero.
Ma fu nella Vestebene che si registraro
no le maggiori novità, secondo le linee strategiche delineate dal M. e applicate dai figli Carlo e Francesco.
Nel 1961 era stata creata una nuova linea di confezioni, la Alba Confezioni, destinata solo ai grossisti; nel 1962 lo stabilimento di Bra fu affiancato da una nuova unità produttiva a Cuneo per la produzione di abiti interi; entrambi gli stabilimenti furono posti sotto il controllo di una nuova società, La Granda confezioni spa, controllata al 100% dalla Vestebene; nel 1969 fu aperto un nuovo stabilimento a Saluzzo, per la produzione dei capi di maglia, nel 1970 fu la volta di una nuova unità produttiva a Cortemilia, destinata alla produzione giornaliera di circa 2.000 gonne. Alla fine degli anni Sessanta lo stabilimento della Vestebene di Alba, in seguito ai continui ampliamenti, superava ormai i 100.000 m2, l’intero ramo delle confezioni occupava in totale 2.000 addetti, produceva complessivamente 3,5 milioni di capi e aveva raggiunto un fatturato di 16 miliardi di lire, su un totale di 33 dell’intero gruppo.
All’inizio degli anni Settanta i mutamenti della moda, ai quali si sommarono fenomeni macroeconomici come la crisi petrolifera e la ristrutturazione dell’intero comparto del tessile e dell’abbigliamento, comportarono un riaggiustamento complessivo della strategia del gruppo Miroglio; in particolare, fu la Vestebene a soffrire maggiormente la concorrenza a causa dello stile classico della propria produzione. Venne, dunque, effettuato un riassetto delle società con la costituzione del Gruppo tessile Miroglio, derivante dalla fusione per incorporazione della Vestebene nelle Tessiture Miroglio; dei due figli del M., Carlo assunse la presidenza del gruppo, pur continuando a occuparsi essenzialmente della parte amministrativa, mentre Francesco divenne amministratore delegato, anche se continuò a seguire gli aspetti più propriamente industriali e commerciali.
Dal Gruppo tessile Miroglio dipendeva sempre La Granda confezioni, controllata al 100%, e alle due società corrispondevano rispettivamente la «divisione tessuti» e la «divisione confezioni». Venne, inoltre, ribadita la scelta di orientarsi verso un mercato di massa, con produzioni di media qualità a basso prezzo, e quindi con bassi profitti unitari, il che indirizzava necessariamente l’azienda verso massicci investimenti in macchinari e impianti in un continuo aggiornamento del livello tecnologico; in secondo luogo, fu intrapresa con più decisione la strada dell’internazionalizzazione dell’azienda, localizzando diverse tipologie di produzione all’estero, anche se il centro decisionale (completato e in piena funzione entro il 1974) doveva rimanere sempre ad Alba.
Tra il 1971 e il 1973 nella «divisione tessuti» fu avviato un potenziamento e una razionalizzazione dello stabilimento di Alba, specializzato nella tessitura di seta artificiale e di poliestere, completato, fin dal 1972, con la costruzione di una nuova unità destinata alla produzione dei tessuti in maglia; e, a tal proposito fu creata una società specifica, la Albamaglia, controllata direttamente dalla capogruppo. Anche la stamperia subì un potenziamento, soprattutto nello stabilimento di Saluzzo dove, nel 1973, entrò in funzione il nuovo reparto di torcitura e testurizzazione. L’attivazione di quest’ultimo reparto costituì una tappa, fondamentale, nell’integrazione verticale del gruppo il quale era oramai in grado di acquistare filati greggi e di vendere capi finiti, effettuando tutte le lavorazioni intermedie al proprio interno. L’integrazione verticale venne accresciuta nel 1975 con l’inizio della produzione – in un nuovo stabilimento a Guarene, sempre in provincia di Cuneo – della carta transfer per la stampa delle pezze di tessuti. Inoltre, l’aggiornamento tecnologico della «divisione tessuti» – con investimenti, tra il 1974 e il 1979, per 68 miliardi effettuati facendo leva completamente sull’autofinanziamento – fu costante e continuo nel tempo. Seguendo le linee strategiche impostate all’inizio del decennio, anche nel corso degli anni Settanta, il gruppo continuò la politica di decentramento produttivo nella provincia: nel 1975 la tessitura di Alba fu affiancata da una nuova unità produttiva a Cortemilia; l’anno successivo entrò in produzione a Castagnole Lanze un nuovo stabilimento di tintoria. Infine, nel 1976 la Miroglio entrò anche nel settore della carta transfer.
Nella «divisione confezioni» a metà decennio, nel 1974-75, venne presa la decisione di produrre camicette, con l’attivazione di un nuovo stabilimento a Cerretto Langhe e la contemporanea costituzione della Langaconfezioni spa; attraverso questa nuova società, anche nel settore confezioni continuò la politica del decentramento, con la costruzione, nel 1977, di una nuova unità produttiva a Roddi, in provincia di Cuneo, per la produzione di abiti leggeri di qualità medio-alta. Inoltre, il gruppo prese la decisione di lanciare una nuova linea di abbigliamento femminile, con il marchio «Elena Mirò», anticipando una strategia perseguita con maggiore decisione dagli anni Ottanta. Sempre tra il 1974 e il 1979 nella divisione furono investiti in totale 12 miliardi di lire.
Oltre alla ristrutturazione dell’aspetto organizzativo e produttivo, a partire dagli anni Settanta fu avviata anche la strategia di procedere all’acquisto di partecipazioni in diverse società: nel 1973 venne acquisito il 75% del capitale della Langatessile spa di Cortemilia, una azienda che produceva tessuti in poliestere con tecnologie avanzate; seguì la Manifattura tessile Valtanaro spa, una tintoria di pezze di poliestere; l’acquisto del 30% delle azioni della Filatura di Borgone di Susa spa e, nel 1975, il 21% della Comoseta spa di Albavilla in provincia di Como, un’altra tessitura; inoltre, venne acquisito l’intero capitale sociale della Manifattura tessile di Valtanaro – assorbita due anni dopo – della Langatessile e della Langaconfezioni; nel 1977 fu acquistata la Roeri confezioni di Corneliano con il marchio «Fiorella Rubino».
Contemporaneamente, particolare attenzione venne dedicata all’internazionalizzazione che si rivelò fondamentale per la crescita a livello internazionale del gruppo.
Già all’inizio degli anni Settanta il Gruppo tessile Miroglio esportava una quota pari al 23-24% del proprio fatturato globale, e l’attenzione per i mercati internazionali si doveva rivelare decisiva per la crescita complessiva dell’azienda. Da un lato, furono costituite tutta una serie di società commerciali (nel 1973: la Miroglio France sarl, con sede a Parigi, controllata al 5%; e Miroglio GmbH, con sedi a Francoforte e Düsseldorf, controllata al 50%; nella seconda metà degli anni Settanta: Miroglio UK Ltd di Londra, controllata al 50%; Miroglio USA textiles Inc., con sede a New York, controllata al 10%; Miroglio textile sa di Ginevra, con il gruppo come unico azionista; GTM Gesellschaft GmbH, di Vienna, controllata al 100%; Miroglio Hellas EPE di Atene, per la commercializzazione dei tessuti; Miroglio Belgium sa, di Bruxelles; e, infine, la Vestebene Francia sa di Nizza, controllata al 100%, per la commercializzazione delle confezioni). Dall’altro, lo stesso Gruppo tessile Miroglio si strutturò come multinazionale – una decisione presa soprattutto per abbassare i costi di produzione – con la costituzione di diverse unità produttive all’estero (furono costituite, nel 1974: Hellas international dress sa, con sedi ad Atene e Patrasso, per la produzione di capi di abbigliamento; Romalfa spa, per avviare la produzione di filato acrilico in Romania; nel 1975: Sinetex sa in Brasile, in collaborazione con industriali tessili brasiliani; nel 1976: Co.tun attraverso la quale si avviò in Tunisia la produzione di giacche e cappotti; alla prima unità produttiva ne seguì una seconda, nel 1978, per il taglio delle pezze). Proprio nel 1978, a completare l’opera di internazionalizzazione, i due figli del M. costituirono la Miroglio international MV con sede ad Amsterdam, la prima finanziaria del gruppo.
Il risultato dell’opera di riorganizzazione e di decentramento produttivo, dei continui investimenti in macchinari aggiornati tecnologicamente (tra il 1974 e il 1981 furono effettuati investimenti complessivi per ben 137 miliardi di lire dei quali solo 4 facendo ricorso al mercato finanziario), dell’attenzione alla commercializzazione e dello spostamento di alcuni fasi produttive all’estero, portò il Gruppo tessile Miroglio su posizioni di notevole livello, all’interno del panorama industriale italiano nel suo complesso.
Il gruppo contava ormai 3.200 addetti; il capitale sociale della capogruppo era passato da 6 miliardi nel 1971 a 20 nel 1979; tra il 1972 e il 1979 il fatturato del gruppo crebbe da 37 a 267,5 miliardi di lire e la quota esportata passò al 45% (con una punta del 50% raggiunta nel 1978); più in particolare, tra il 1974 e il 1979 il fatturato della «divisione tessuti» era cresciuto da 33,4 a 160,1 miliardi e quello della «divisione confezioni» da 40 a 107,3.
L’attività del M. si estese anche a diverse forme di welfare aziendale.
Già dal 1958 aveva costruito un asilo nido per i figli dei dipendenti, diretto per diversi anni dalla moglie Elena; in seguito, e in diverse fasi, fece costruire più di 400 alloggi per le maestranze, affittati o venduti a prezzi agevolati; nel 1973, promosse la Fondazione opera Elena Miroglio che aveva come scopi specifici l’assistenza medica specializzata per gravi malattie dei dipendenti e dei loro familiari, l’organizzazione delle colonie marine, la concessione di borse di studio; inoltre, dedicò particolare attenzione all’ospedale di Alba, con la donazione di sofisticate apparecchiature mediche d’avanguardia. Venne nominato cavaliere del lavoro il 2 giugno 1973.
Il M. morì ad Alba il 22 nov. 1979.
L’attività industriale proseguì nell’ambito della sua famiglia che ha mantenuto il controllo e la proprietà.
Fonti e Bibl.: Profili biografici del M. sono in L. Pennone, Con i Miroglio verso gli «Ottanta», in Ponente d’Italia, XI (1963), 10-11, pp. 15-18; G. M. Il lavoro di un uomo, Alba 1971; G. M., in I Cavalieri del lavoro (1901-2001). Storia dell’Ordine e della federazione, II, Roma 2001, p. 896; G. Miroglio, Lettere, Alba 2004. Informazioni sulla storia dell’azienda si possono inoltre ricavare da: Settantacinque anni di vita della ditta Miroglio, Torino 1960; A. Mazzucca, Miroglio 1884-1984, Milano 1985; P. Terragni, Da ambulanti ad imprenditori. Storia della Miroglio di Alba 1884-1998, tesi di laurea, Università Bocconi, Facoltà di economia, a.a. 1997-1998; Francesco Miroglio, in I Cavalieri del lavoro (1901-2001). Storia dell’Ordine e della federazione, cit., p. 994; M. Castelli, Francesco Miroglio. Gli affari vestiti su misura, in Numeri uno. A tu per tu con 38 protagonisti dell’economia italiana, Milano 2002, pp. 287-297; Miroglio la forza della filiera. Da azienda famigliare a colosso internazionale, in La Stampa, 24 febbr. 2002; D.G.R. Carugati - B. Orzano, Vestebene Miroglio. Cinquant’anni di storia attraverso la moda, Milano 2005; altri dati e informazioni sono nel sito web dell’azienda hHp: //www.mirogliogroup.com; si veda inoltre il sito hHp://www.vidapertni.it/progetti/miroglio/index.html che contiene un profilo completo della Miroglio. Sull’economia dell’Albese di fine Ottocento, cfr.: V. Rapetti - G. Subbrero, Caratteri ed evoluzione dell’economia albese nella seconda metà dell’Ottocento, in Alba 1848-1898, a cura di G. Maggi, Torino 1994, pp. 181-262; sulla provincia di Cuneo tra Ottocento e Novecento: Camera di commercio industria e agricoltura, Cuneo, Cuneo 1862-1962. Un secolo di vita economica, Cuneo 1963; A. Vallega, Il Cuneese: un territorio di nuova industrializzazione, Genova 1972; Ritorno all’Europa. Un profilo di storia dell’industria cuneese dal Settecento ad oggi, a cura di C. Bermond, Cuneo 1995; Dal Cuneese verso il mondo: L’industria della Granda in prospettiva storica, a cura di C. Bermond, Cuneo 2007.