MELOGRANI, Giuseppe
– Nacque in Calabria, a Parghelia, casale di Tropea, il 29 luglio 1750, da Michele Meligrana e Olimpia di Costanzo.
Dalla particola battesimale il cognome risulta successivamente corretto in Melograni, forma da lui adottata negli anni maturi e passata poi agli eredi: il M. stesso argomenta nel suo testamento: «laddove si osservasse cangiato il mio cognome di Meligrano in quello di Melograni, ciò è addivenuto, perché ne’ Decreti Reali sono stato sempre nominato col cognome di Melograni, che io stesso ho preferito sempre».
Il padre e l’avo Giuseppe appartenevano all’agiata borghesia locale, attiva nei commerci. Michele, dopo aver dimorato per lungo tempo a Portici come «raisso» e appaltatore della regia tonnara, entrando in rapporti d’amicizia con Ferdinando IV, tornò in vecchiaia nel suo paese in ristrettezze economiche. La madre Olimpia era unica erede del fedecommesso circolante nella sua famiglia e così rimpinguò di beni fondiari il patrimonio domestico.
Il M. iniziò gli studi nel seminario vescovile di Tropea, riorganizzato dal vescovo F. Paù con la collaborazione di G.A. Serrao, futuro vescovo di Potenza. Seguì le lezioni di eloquenza del decano T. Polito, di A. Ungari, maestro di belle lettere, e dell’abate A. Jerocades, che vi insegnava greco. Nel 1773 si trasferì a Napoli, dove fu ordinato diacono e l’anno successivo sacerdote, per proseguire gli studi nell’Università: dapprima frequentò i corsi di diritto civile e canonico, poi quelli di medicina e scienze naturali. Dovette affermarsi presto negli ambienti colti della capitale, se, nel 1789, il governo lo scelse tra i membri di un’équipe diretta in Inghilterra e in paesi dell’Europa centrorientale per studiare i progressi in geologia, metallurgia e nella scienza «montanistica» e «selvana».
Con il M. furono M. Tondi (poi professore di mineralogia nell’Università di Napoli), C.A. Lippi, V. Ramondini, A. Savarese e G. Faicchio, geologi e mineralogisti. In Inghilterra il M. visitò le miniere di carbon fossile del Devonshire e del Cumberland; in Ungheria e Sassonia frequentò le accademie minerarie di Schemnitz (ora Banská S̆tiavnica, in Slovacchia) e di Freiberg, dove ascoltò le lezioni di mineralogia e arte mineraria di A.G. Werner; nella Germania orientale visitò boschi, miniere, ferriere e carboniere, studiando le tecniche di produzione del carbone e di estrazione e raffinamento dei minerali ferrosi; fu in Boemia, Austria (a Vienna studiò il tedesco), nel Banato, in Moldavia, Transilvania, Alta Ungheria, Galizia, Polonia, visitando miniere e saline lungo la Vistola e sui Carpazi; sulle sponde del Hron (Gran) osservò i sistemi di trasporto del legname destinato alle carboniere, alle miniere e all’esportazione. Fatto ritorno nel Regno dopo otto anni (1797), il M. riportò numerosi quaderni o giornali di osservazioni e prelievi mineralogici, citati poi nei suoi lavori; nel Manuale geologico (Napoli 1809), un compendio delle lezioni di Werner arricchito da proprie osservazioni, pubblicò passi del «giornale mineralogico-metallurgico d’Inghilterra» e, ancora nel testamento, raccomandava agli eredi di «conservare diligentemente […] tutt’i giornali di miei viaggi, che conservo ne’ miei baulli». Tuttavia questo materiale risulta oggi purtroppo disperso.
Le competenze acquisite nei viaggi europei misero subito l’équipe di studiosi a disposizione del governo per numerosi incarichi tecnici e rilevazioni statistiche nelle province napoletane. Tra il 1798 e il 1799 il M. fu in Calabria con Tondi, Ramondini, Savarese e dodici minatori sassoni per ispezionare e riorganizzare le miniere di Pazzano e le ferriere di Stilo e Mongiana; le loro direttive portarono all’apertura di nuove gallerie e alla costruzione di due nuove fornaci sul modello tedesco. La sua attenzione si volse da allora all’esame delle condizioni e dello sfruttamento delle risorse boschive aspromontane, ed egli suggerì un massiccio rimboschimento delle montagne presso Stilo. Nel 1799, durante i disordini rivoluzionari, il M., insieme con i colleghi, vigilò nella Zecca contro le alterazioni della moneta. Una sua richiesta alla Repubblica napoletana di essere confermato nella sovrintendenza alle miniere lo fece segnalare come sospetto al ritorno del re, ma nel ministero prevalse la buona opinione che si aveva di lui. Nel 1800 il direttore delle Finanze, G. Zurlo, da cui dipendevano tanto le miniere che la Zecca, gli affidò la catalogazione del materiale petrografico raccolto da Tondi e Lippi nel viaggio europeo per costituire un gabinetto mineralogico, ubicato nella sala della ex biblioteca dei gesuiti, primo passo verso la realizzazione di un R. Museo di storia naturale. La direzione del gabinetto fu affidata a Ramondini e il M. ne fu condirettore.
La catalogazione, iniziata nel 1801, proseguì fino al 1803 con il costante incremento delle raccolte, cui si aggiunsero la collezione di lave vesuviane di G. De Bottis, i minerali raccolti nel Regno da Ramondini e Savarese (ai quali contestualmente era stata affidata la realizzazione di una carta mineralogico-geografica dalle Calabrie agli Abruzzi, 1801-02) e casse di minerali giunte da Trieste, tanto che dal 1802 fu necessario affiancare al M. il canonico A. Giordano, cui l’anno seguente fu affidata la R. Biblioteca. Dell’imponente progetto museografico e statistico di Ferdinando IV solo il gabinetto mineralogico e, in parte, la mappa geologica del Regno furono realizzati: «Tutto ciò si sarebbe effettuato – scriverà poi il M. – se allora i torbidi politici non avessero arrestato in mezzo all’opera l’adempimento del piano» (Manuale geologico, cit., pp. 14 s. n.).
Con regio dispaccio del 18 maggio 1803 il collegio mineralogico fu nuovamente inviato a Stilo, dove il M. dette lezioni di mineralogia ad allievi minatori. Il 28 settembre di quell’anno il governo napoletano avviò un’indagine statistica sulle condizioni del patrimonio boschivo del Regno, e il M. fu nominato tra i componenti di una Giunta che aveva il compito di fornire istruzioni utili alla salvaguardia dei boschi esistenti e al reimpianto di quelli abbattuti.
I dati raccolti e i rimedi proposti dal M. trovarono più tardi sistemazione nelle Istruzioni fisiche ed economiche dei boschi (Napoli 1810), in cui l’esigenza di una mappa delle risorse forestali e di una organica legislazione in materia si coniugò con quella di un più vantaggioso e razionale utilizzo del patrimonio boschivo da parte dello Stato e dei proprietari, che limitasse la selvaggia conversione dei terreni in seminativi e il dissesto dei suoli. In particolare, secondo il M., l’assenza di una costante applicazione di criteri statistici di indagine e gestione delle risorse territoriali nel Regno aveva causato il fallimento delle ferriere di Mongiana e la distruzione dei boschi della Calabria orientale. Di queste memorie si valse la nuova legislazione in materia forestale con i decreti del 1811, 1819, 1821 e 1826. Con r. dispaccio del 2 genn. 1805 il M. e i colleghi furono quindi incaricati di riattivare la ferriera di Mongiana. A tale scopo, nello stesso anno fu inviato in Aspromonte per regolarizzare il taglio dei boschi del principe di Scilla: fu l’occasione per un viaggio di osservazione e rilevazione statistica che dai monti lo portò attraverso i centri della costa tirrenica, fino a Messina.
L’ampia mole di informazioni raccolte delineò una carta geomineralogica e idrografica della Calabria meridionale e insieme una geografia umana del territorio, attenta alle condizioni dell’agricoltura e delle sue produzioni specializzate, ai problemi della pastorizia, del commercio, di arti e manifatture. Come nelle coeve opere statistiche di L. Cagnazzi De Samuele, il M. metteva la geomorfologia e l’economia in rapporto con l’andamento demografico e l’analisi socioantropologica delle mentalità e dei disagi delle classi subalterne. Inviato ad Avella per affari forestali, probabilmente in data vicina all’incarico d’Aspromonte, compì un viaggio attraverso la Basilicata seguendo lo stesso metodo di osservazione statistica.
L’esperienza scientifica di questi viaggi si riversò più tardi nelle opere maggiori. La Descrizione geologica e statistica di Aspromonte e sue adiacenze. Coll’aggiunta di tre memorie concernenti l’origine dei volcani, la grafite di Olivadi, e le saline delle Calabrie (ibid. 1823) presentò al pubblico i rapporti di Savarese e Ramondini al ministro Zurlo, ampiamente integrati con le osservazioni del M. nel viaggio in Aspromonte.
Vi si discutevano i problemi della pastorizia, dell’assenza di strade rotabili e carrettabili, ma d’altro canto si evidenziavano le ricche potenzialità delle colture specializzate (gelso, bergamotto, vite, ulivo) e delle locali manifatture: dalla macerazione e filatura della canapa alla tiratura della seta di Villa San Giovanni, dalla cartiera di Gallico alla pesca del pesce spada.
Il Rapporto di un viaggio mineralogico, fatto in Basilicata, pubblicato in appendice al citato Manuale geologico, unì alla lettura geologica del territorio dati di geografia umana, descrivendo costumi e psicologia dei Lucani insieme con le loro attività economiche principali: l’agricoltura e la pastorizia.
Gli incarichi del M. proseguirono ininterrotti nel decennio francese, nell’ambito della neocostituita Amministrazione generale delle acque e foreste. Nel 1811 fu di nuovo tra i componenti della commissione mineralogica incaricata di attivare le ferriere di Stilo e assegnare una consistente dotazione boschiva alla fonderia di Mongiana, la cui produzione si mostrava ancora inadeguata al progetto di una siderurgia nazionale che affrancasse il Regno dalle importazioni di ferro straniero e dalle pressioni commerciali inglesi. A Mongiana il M. seguì, tra l’altro, la fabbrica dei lapis, che realizzò in quell’anno un prodotto molto apprezzato a Napoli e ritenuto di qualità non inferiore a quella della concorrente manifattura inglese. Nello stesso anno ebbe dal governo murattiano l’incarico di visitare le saline calabresi (quelle di Lungro, nella Sila, e del versante ionico cosentino, che tornò a ispezionare nel 1814) e la miniera di grafite di Olivadi, nel distretto di Catanzaro. Nella Descrizione delle saline delle Calabrie (ibid. 1821) criticò la scelta del governo di importare a basso costo il sale siciliano trasportato da bastimenti neutrali e mantenere la sola salina di Lungro, facendo deliberatamente interrare le altre miniere di sale calabrese per i costi elevati dello sfruttamento e il connesso contrabbando.
A Lungro il M. rilevò una pianta della salina e fece scavare un cunicolo per l’aerazione della miniera e il deflusso delle acque stagnanti. Alcune sue lettere (giugno 1811) inviate da Mongiana al cugino Antonio Meligrana, arcidiacono e vicario generale a Tropea, e i suoi scritti di quegli anni lamentano la condizione particolarmente gravosa dell’incarico ricevuto e denunciano il penoso sfruttamento dei minatori e i danni per la loro salute, secondo un’attenzione illuministica al problema che si era fatta strada fin dagli scritti del Voltaire più maturo: «il trasporto del sale alla luce», scrisse nella Descrizione delle saline (p. 11), «si esegue là sulla schiena degli uomini adulti e de’ ragazzi. […] È cosa compassionevole l’osservare una processione di uomini nudi far l’uffizio di bestie, e serbare marciando una linea sola, onde niuno s’impacci ed urti insieme nei calli angusti che deve battere, ed ognuno di essi, oppresso dal peso, ed affannato dal calore soffocante della miniera, arriva al giorno anelante e coll’anima in bocca».
Con regio decreto del 6 apr. 1812 il M. fu nominato ispettore generale dell’Amministrazione di acque e foreste, lasciando la direzione delle ferriere calabresi. Con la Restaurazione fu confermato nella carica: nel 1820 fu ispettore generale del Demanio pubblico, cui era stato unito il ramo d’acque e foreste, e così nel 1826. Nella veste di ispettore forestale ebbe ripetuti contrasti con i direttori delle ferriere calabresi, trasferite nel 1808, per decreto di Giuseppe Bonaparte, dall’amministrazione civile del ministero delle Finanze a quella militare del corpo d’artiglieria. I capitani che si susseguirono a Mongiana nella direzione delle reali ferriere lamentavano ogni anno una limitata fornitura di alberi per il carbone da usare nelle fonderie e le difficoltà frapposte dall’ispettorato generale e dai suoi agenti forestali all’utilizzo di più ampie porzioni di bosco. Il M. difese l’Amministrazione di acque e foreste dalle accuse che le venivano mosse di operare «per aggiungere reddito al Governo, e non per far bene allo stato» dei boschi, ai quali – secondo i critici – si imponevano «gravezze» da parte di troppi e poco qualificati funzionari: la risposta del M., dal titolo Osservazioni sulla nota del sig. Monticelli apposta alla sua memoria sulle acque dedicata al Parlamento nazionale, fu pubblicata a Napoli nel 1821 (per la citazione: ibid., p. 4).
Intorno alla metà degli anni Venti il M. cominciò a perdere la vista e lasciò ogni incarico.
Si dedicò alla poesia di soggetto sacro, morale e d’occasione: nelle adunanze del R. Istituto d’incoraggiamento, di cui fu socio ordinario fin dalla fondazione, recitò sonetti, odi, distici, come quelli letti il 27 sett. 1825 in morte di G.S. Poli, presidente dell’Istituto.
Nel testamento, redatto a Napoli il 29 ag. 1826, destinò alla formazione intellettuale dei nipoti la sua ricca biblioteca di testi classici e scientifici, stimata oltre 1000 ducati, e un gabinetto di mineralogia del valore di 600 ducati, raccomandando di non venderli se non «in caso di estremo bisogno». Nell’aprile del 1827 donò a C. Afan de Rivera, direttore generale dell’Amministrazione di ponti, strade, acque, foreste e caccia, per uso dell’annessa scuola, 38 manoscritti di memorie dei viaggi mineralogici e metallurgici, sue e dei colleghi.
Giubilato nella carica e ottenuta la pensione di 100 ducati mensili, nel settembre si ritirò in Calabria, stabilendosi a Zambrone (Comune limitrofo alla nativa Parghelia), dove la sua famiglia possedeva alcuni beni.
Il M. morì a Zambrone il 21 dic. 1827.
Fonti e Bibl.: Tropea, Arch. storico diocesano, Atti patrimoniali, f. 4618, Parghelia, 1774; Parghelia, Arch. Meligrana, Corrispondenza di G. M. (1807-27), Domande di sussidio rivolte a Gioacchino Murat (1810) e testamento del M. (1826); Arch. di Stato di Catanzaro, Mongiana, bb. 51, 52, 89; Arch. di Stato di Napoli, Amministrazione generale delle acque e foreste, b. 52, f. 1124. Si vedano inoltre: V. Capialbi, G. M., in Biografia degli uomini illustri del Regno di Napoli …, XIV, Napoli 1829, s.v.; C. Minieri Riccio, Memorie storiche degli scrittori nati nel Regno di Napoli, Napoli 1844, pp. 216 s.; P. Calà Ulloa, Pensées et souvenirs sur la littérature contemporaine du Royaume de Naples, I, Genêve 1858, p. 171; L. Accattatis, Le biografie degli uomini illustri delle Calabrie, III, Cosenza 1877, pp. 292 s.; G. Falcone, Poeti e rimatori calabri. Notizie ed esempi, II, Napoli 1902, pp. 232 s.; L. Aliquò Lenzi - F. Aliquò Taverriti, Gli scrittori calabresi. Diz. bio-bibliografico, II, Reggio Calabria 1955, p. 200; U. Caldora, Calabria napoleonica (1806-1815), Napoli 1960, pp. 271, 278, 301-303; A. Scherillo, La storia del «Real Museo Mineralogico» di Napoli nella storia napoletana, in Atti della Acc. Pontaniana, XV (1965-66), pp. 7, 9, 14 s.; R. Sinno, Le miniere di ferro di Pazzano (Calabria), ibid., XVII (1967-68), pp. 211-246; G.E. Rubino, Archeologia industriale e Mezzogiorno, Roma 1978, p. 81; G. Sole, Breve storia della reale salina di Lungro, Cosenza 1981, pp. 9-13; G. Matacena, Architettura del lavoro in Calabria tra i secoli XV e XIX, Napoli 1983, pp. 108-113; F. Campennì, La figura di d. G. M., mineralogista e naturalista, in Riv. storica calabrese, XVII (1996), 1-2, pp. 111-139 (in cui è da correggere il refuso nella data di nascita: da 19 a 29 luglio 1750).
F. Campenni