MASSARENTI, Giuseppe
– Nacque l’8 apr. 1867 a Molinella, nel Bolognese, da Petronio e da Celestina Andrini, in una famiglia contadina di modeste condizioni. Rimasto orfano in tenera età, fu adottato da uno zio farmacista che lo sostenne negli studi, consentendogli di conseguire il diploma in ragioneria e, nel 1893, la laurea in farmacologia all’Università di Bologna.
Il M., accompagnando il medico condotto di Molinella, aveva intanto avuto modo di verificare di persona le tristi condizioni delle famiglie bracciantili, colpite dalla pellagra. Decise allora di impegnarsi per il loro riscatto cominciando a frequentare gli ambienti radicali e socialisti.
Il 7 febbr. 1887, a Budrio, subì la prima condanna per oltraggio e qualche mese dopo, l’8 agosto, il primo breve arresto per «attentato alla libertà del lavoro». Messosi in luce nella conduzione di grandi e vittoriosi scioperi, il M. fu delegato, in rappresentanza della Lega democratica di Molinella, al congresso costitutivo del Partito dei lavoratori italiani (Genova, 14-15 ag. 1892), che l’anno successivo avrebbe assunto la denominazione di Partito socialista dei lavoratori italiani. Tornato nel suo paese costituì la locale sezione socialista e la Lega di resistenza bracciantile.
Nel corso di un affollato convegno, svoltosi a Molinella il 28 febbr. 1893, fu varata una piattaforma rivendicativa i cui obiettivi fondamentali (le otto ore di lavoro, il salario differenziato e l’affidamento alle organizzazioni dei lavoratori del collocamento della manodopera), dopo una serie di lotte infruttuose, saranno in parte conseguiti nel 1897, al termine di un imponente sciopero durato 60 giorni.
Nel 1895 il M. fu eletto al Consiglio comunale di Molinella e l’anno successivo fondò, insieme con altri otto soci, la Società cooperativa di consumo, che, affiancandosi alla Lega di resistenza, estendeva la rete di protezione dei lavoratori.
«Da socialista egli considerava la cooperazione come strumento della lotta di classe da utilizzare nella preparazione e nella conduzione delle lotte dei braccianti e delle mondine molinellesi; da uomo in quotidiano contatto con la sofferenza dei poveri egli la sentiva come uno strumento concreto capace, anche da sé, di contribuire a migliorarne le condizioni» (Violante, p. 96).
Il 1° apr. 1898 la cooperativa, che aveva dato un contributo in denaro ai lavoratori in sciopero, venne sciolta dalle autorità e il M., in qualità di direttore della stessa, fu denunciato per incitamento all’odio fra le classi sociali, alla ribellione e per attentato alla libertà di lavoro; incarcerato per alcuni giorni fu prosciolto il 4 novembre dello stesso anno.
Nei due anni successivi le campagne intorno a Molinella furono teatro di continue agitazioni e scioperi. La crescita di un forte ed esteso movimento contadino non tardò a produrre effetti sul piano politico e alle elezioni del 4 nov. 1900 il Partito socialista italiano (PSI) conquistò l’amministrazione comunale, completando così la costruzione di quel sistema integrato – sindacato, cooperazione e potere locale – al servizio dei lavoratori.
L’intransigenza del M. cominciò tuttavia a essere vista con preoccupazione negli ambienti del riformismo socialista, in particolare da L. Bissolati, fautore di una linea più possibilista e moderatrice, e da F. Turati, il quale, riprendendo un severo giudizio di A. Costa, riteneva che il M. fosse «un po’ fanatico» e che la sua ostinazione avrebbe finito per nuocere alle condizioni di vita dei lavoratori (F. Turati - A. Kuliscioff, p. 43). Da parte sua il M. non mancava di polemizzare con il «ministerialismo» dei suoi compagni di partito, eccessivamente concentrati, secondo lui, nell’azione parlamentare e lontani dal vivo delle lotte.
L’8 nov. 1901 il M. fu condannato a 14 mesi di reclusione per aver diffamato l’ex socialista G. Barbanti Brodano e, dopo che il suo ricorso contro la sentenza era stato respinto, il 23 marzo 1902 fu spiccato il mandato di cattura nei suoi confronti. Per sottrarsi all’arresto dovette espatriare in Svizzera, risiedendo per oltre quattro anni a Lugano dove fece il facchino ed esercitò la professione di farmacista. Il M. divenne oggetto di una campagna denigratoria da parte dei suoi avversari, ai quali si unirono anche alcuni esponenti socialisti, che gli imputavano irregolarità nella gestione della cooperativa. Per ribattere alle accuse, l’11 dic. 1903 il M., beneficiando di un mese di sospensione del mandato di cattura, tornò a Molinella dove rimase fino al 2 genn. 1904. Rientrò definitivamente il 31 dic. 1905, dopo aver ottenuto il condono della pena inflittagli nel 1902, potendo constatare come la lunga assenza e le calunnie non avessero intaccato la sua popolarità. Il 6 nov. 1906 fu eletto sindaco, imprimendo all’amministrazione comunale un ancor più marcato carattere di sostegno istituzionale al movimento dei lavoratori e facendo di Molinella la città-simbolo del socialismo riformista.
Il bilancio del Comune contemplava una somma destinata alla composizione delle controversie fra capitale e lavoro, mentre, tra le altre voci, importi considerevoli riguardavano l’assistenza sanitaria, il ricovero degli indigenti, il mantenimento degli inabili al lavoro, il funzionamento delle cucine economiche, l’asilo e la refezione scolastica.
Nel 1914 i mezzadri, sostenuti dalla solidarietà dei braccianti e della popolazione, intrapresero una lunga e dura lotta per rivendicare la «giusta causa» nelle disdette e un nuovo capitolato colonico. Per spezzare la loro resistenza gli agrari organizzarono l’invio di squadre di «crumiri» dal Veneto, che il 4 ottobre, al loro arrivo a Guarda di Molinella, furono aggrediti dagli scioperanti. Lo scontro provocò cinque morti e diversi feriti tra i lavoratori ingaggiati dai padroni e un’ondata repressiva che portò a 121 arresti e allo scioglimento dell’amministrazione comunale.
Il M., che anche dopo l’elezione a sindaco (cui si era aggiunta, nel 1908, quella a consigliere provinciale) restava il capo riconosciuto e l’animatore del movimento contadino e cooperativo locale, fu destituito dalla carica. Per evitare l’arresto dovette riparare nella Repubblica di San Marino, dove rimase per tutta la durata della prima guerra mondiale, e anche dopo il decreto di amnistia dei reati politici del 21 febbr. 1919 che annullava il mandato di cattura nei suoi confronti. Rientrò in Italia qualche mese dopo, per comparire come imputato di peculato e appropriazione indebita, al processo che si aprì a Bologna dal 19 maggio. Secondo l’accusa il M. avrebbe distratto somme dell’Erario comunale a beneficio della cooperativa di consumo di cui era presidente. Il 10 giugno venne letta la sentenza di assoluzione, che costituiva per il M. una vittoria anche sul piano politico, facendo giustizia delle diffamazioni e calunnie sparse dai suoi avversari. Tornato a Molinella, nel marzo 1920 diresse la grande lotta dei mezzadri che si concluse con la conquista di un patto colonico molto avanzato. Il 4 ottobre dello stesso anno venne rieletto al Consiglio comunale e il 29 novembre di nuovo sindaco.
Proprio in quel periodo Molinella, come altri centri della pianura Padana, cominciò a essere teatro di episodi di violenza fascista. Nel marzo del 1921, di fronte all’intensificarsi delle incursioni a opera degli squadristi bolognesi e ferraresi, un’assemblea di lavoratori approvò una mozione ispirata al principio della non violenza, invitando a non accettare le provocazioni dei fascisti. Tale atteggiamento, sostenuto dai dirigenti socialriformisti, a cominciare da G. Matteotti, non riuscì a evitare ulteriori violenze.
Il 12 giugno 1921 squadre d’azione ferraresi occuparono Molinella, devastarono la cooperativa di consumo e le sedi dei partiti di sinistra e diedero la caccia al sindaco. Il M., cui era stato imposto il bando, fu costretto a lasciare il Comune e a trasferirsi a Roma. Nell’ottobre 1922 aderì al Partito socialista unitario, costituito dai riformisti espulsi dal PSI. Nel novembre 1926, dopo il varo delle leggi eccezionali, venne arrestato e il 1° dicembre condannato a cinque anni di confino che scontò a Lampedusa, a Ustica (dal marzo 1927) e a Ponza (dall’agosto 1928). Nel luglio e poi nell’ottobre 1927 fu arrestato e incarcerato per trasgressione agli obblighi del confino e attività clandestina. Ammalatosi, nel febbraio 1929 fu trasferito al policlinico di Roma, dove restò fino all’8 giugno, allorché venne inviato al confino di Agropoli.
Il 5 nov. 1931, scontato il periodo di confino, il M. sarebbe voluto tornare a Molinella, ma gli fu inibito l’ingresso nell’intera provincia di Bologna anche dopo che era stato colpito da emottisi e si trovava senza mezzi di sostentamento. In condizioni di estrema indigenza, tra il 1936 e il 1937, si rivolse a G. Ciano, a Rachele Mussolini e infine allo stesso B. Mussolini lamentando di essere vittima di continue persecuzioni poliziesche, tra le quali indicava un furto subito nel parco di villa Borghese. Il 3 sett. 1937 fu prelevato dalla polizia e ricoverato al policlinico per essere quindi inviato alla clinica universitaria per le malattie mentali e poi al manicomio di S. Maria della Pietà, dove fu rinchiuso per oltre sette anni in quanto considerato affetto da disturbi psichici di tipo paranoico, delirio persecutorio e pericoloso per sé e per gli altri.
Dimesso dal manicomio sei mesi dopo la liberazione di Roma, il 19 dic. 1944, venne ricoverato come degente in un reparto clinico dell’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL). Il M. chiese reiteratamente, ma invano, l’annullamento della diagnosi che gli era costata l’internamento e la messa al bando morale e civile. Un comitato di sostenitori ritenne che si potesse giungere alla sua completa riabilitazione per via politica, attraverso il voto popolare e propose pertanto di candidarlo al Senato alle elezioni politiche del 18 apr. 1948. Il M. aveva intanto aderito al Partito socialista dei lavoratori italiani (PSLI), che era sorto nel gennaio 1947 da una scissione del Partito socialista, contestando l’alleanza con i comunisti. Questa recente e profonda frattura tra i partiti della sinistra non consentì la necessaria convergenza sul nome del M., che venne candidato come indipendente socialista nel collegio senatoriale di Portomaggiore-Molinella ma non fu eletto.
Rientrato a Molinella il 10 apr. 1948, il M. vi morì il 31 marzo 1950.
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