MARULLO, Giuseppe
– È ignota la data di nascita di questo pittore, che De Dominici dice nativo di Orta di Atella, nel Casertano, e dunque conterraneo del suo maestro M. Stanzione, nonché di altri due allievi di quest’ultimo, P. Finoglio e G. De Popoli. In considerazione della data (1631) apposta sulla prima opera firmata pervenuta, si ritiene comunque che egli sia nato entro il primo decennio del secolo XVII.
Lo stesso De Dominici narra che il M. ricevette in eredità il manoscritto nel quale Stanzione aveva raccolto una serie di biografie di pittori e scultori napoletani. Passato dal M. al suo allievo N. Marigliano, il manoscritto fu da questo lasciato a De Dominici, che nelle sue Vite lo cita spesso come fonte di notizie (sull’autenticità di tale manoscritto, conservato nella Biblioteca nazionale di Napoli, si veda Schütze - Willette, pp. 153 s.). Il M. avrebbe inoltre ottenuto la collezione di disegni che Stanzione aveva acquistato da F. Santafede e che in seguito passò a D. Gargiulo (De Dominici, p. 205).
Secondo De Dominici (p. 107), le opere del M. erano «tanto simili […] a quelle del Maestro, che anche da’ Professori venivano credute del Cavaliere». Confermando il carattere stanzionesco della pittura del M., la critica più recente ne ha sottolineato l’aspetto attardato e manieristico, ravvisando tuttavia – soprattutto nelle opere anteriori al 1660 – l’influenza di altri pittori attivi in quegli anni a Napoli, quali J. de Ribera, lo Spagnoletto, e B. Cavallino.
Affinità ancora maggiori sono state riscontrate con l’opera di un altro allievo di Stanzione, G.F. De Rosa, che collaborò col M. alla decorazione della chiesa napoletana della Ss. Concezione degli Spagnoli, demolita nell’Ottocento (ibid., pp. 103, 107); la possibilità di scambi attributivi tra i due pittori si è rivelata concreta nel caso di una Carità (già Christie’s, Roma), in precedenza attribuita a De Rosa, su cui sono state ritrovate le iniziali del M. (Della Ragione - Pinto, pp. 51, 106).
De Dominici non fornisce alcuna scansione cronologica dell’opera del M., ma il fatto che molti dipinti siano datati, oltre che firmati, consente di ricostruire il suo percorso stilistico nell’arco di quasi cinquant’anni di attività. Diverse opere nelle chiese di Napoli sono ricordate dalle guide locali; a queste e ad altre, menzionate da De Dominici e in qualche caso oggi scomparse, vanno aggiunti alcuni dipinti firmati ritrovati successivamente, insieme con altri recentemente attribuiti al M. su basi stilistiche o documentarie (per un catalogo completo si rinvia a Della Ragione - Pinto).
La prima opera firmata dal M., datata, come si diceva, 1631, è una pala d’altare raffigurante la Madonna col Bambino e le ss. Maria Maddalena e Maria Egiziaca nella chiesa delle Pentite a Castrovillari. Al 1633 risale la Sacra Famiglia con s. Anna e due santi benedettini nella chiesa napoletana dei Ss. Severino e Sossio, dipinta su commissione di Giovan Vincenzo Strambone duca di Salsa (Strazzullo). La Susanna e i vecchioni, firmata e datata 1635 (collezione privata), è il primo esempio della meno nota produzione di quadri a destinazione privata, messa in ombra dalla lunga serie di pale d’altare; quadri di soggetto sacro del M. erano comunque presenti in più d’una collezione napoletana del Settecento (Labrot).
Nel 1636 il M. ricevette un pagamento per la Madonna di Costantinopoli coi ss. Giovanni Battista e Chiara, identificabile con la pala d’altare della chiesa di S. Francesco a Matera, firmata e datata 1637 (Barbone Pugliese, pp. 92 s.; Nappi, 1992). Tra il 1643 e il 1644 eseguì diversi dipinti per Domenico Mazzarotta, tra cui tre ritratti non rintracciati (Delfino). Ancora nel 1644 è documentato il pagamento di un ciclo di dipinti su tela e ad affresco nella chiesa napoletana di S. Sebastiano, in seguito distrutta (Strazzullo). A questa prima fase dell’attività del M. dovrebbero risalire anche le opere eseguite per la chiesa di S. Lorenzo, ricordate dalla letteratura, di cui resta una Sacra Famiglia, già sull’altare della cappella Palmieri.
Nel 1646 il M. ricevette il pagamento finale per le perdute tele nel soffitto della chiesa della Pietà dei Turchini, ove collaborò con un’allieva di Stanzione, Diana De Rosa (Nappi, 1993); De Dominici gli attribuiva anche l’Angelo custode tuttora in quella chiesa, in realtà opera firmata di F. Vitale. In questo periodo, ovvero in prossimità dei tumulti del 1647, il M. dipinse – stando a quanto riferisce De Dominici – un ritratto «al naturale» di Masaniello (Tommaso Aniello d’Amalfi). Risale al 1651 il pagamento di diversi quadri commissionati da Isabella Milano, monaca nel monastero di S. Liguoro: in uno di essi, la Cena in Emmaus, va forse riconosciuto il prototipo del dipinto del Museo Correale di Sorrento, attribuito al M. (Maietta). Sono databili tra il quinto e il sesto decennio la Pesca miracolosa del Museo campano di Capua, firmata (Causa, 1953), e l’Assunta per la chiesa di S. Giacomo Maggiore a Napoli (Id., 1954): nella prima, proveniente dalla collezione Mastropalo di Orta di Atella e precedentemente ritenuta opera di Finoglio, sono state individuate affinità con la pittura di Cavallino, di A. Vaccaro, di M. Stomer e perfino di El Greco (Domenico Theotokopoulos) (Della Ragione - Pinto, pp. 101 s.). Altre opere firmate e datate risalgono al 1659 (Immacolata nella chiesa di S. Anna a Sessa Aurunca) e al 1660 (Visione di s. Antonio da Padova in S. Maria la Nova a Terlizzi); a esse si può accostare il S. Michele, firmato, nella chiesa napoletana di S. Michele a Portalba (Barbone Pugliese, pp. 93 s.). La firma del M. e la data 1663 compaiono infine su due tele in S. Agostino degli Scalzi a Napoli raffiguranti la Maddalena e S. Maria Egiziaca (Arbace).
De Dominici riferisce che il M. ottenne a Roma, da parte dell’ambasciatore spagnolo Pedro Antonio de Aragón, la commissione di dodici quadri, che portò a termine a Napoli, dove l’ambasciatore si trasferì nel 1666 per ricoprire la carica di viceré. È stata proposta l’identificazione di alcuni di questi quadri con le Storie bibliche conservate nella chiesa del Gesù Vecchio, datate 1663 (Della Ragione - Pinto, pp. 83 s.). Secondo De Dominici, le critiche rivolte dal viceré all’ultimo dipinto della serie, insieme con gli elogi espressi in altra occasione dal reggente G. Capece Galeota, inorgoglirono a tal punto il M. che questi decise di abbandonare il modello stanzionesco per imitare gli «antichi Maestri» studiati a Roma; ma, inasprendo il proprio stile, egli riuscì soltanto a perdere il «buon nome acquistato». Pur riconoscendo l’intento moralistico e la posizione sostanzialmente conservatrice di De Dominici, non è difficile credere che il M. fosse diventato, alla fine della propria carriera, l’alfiere di un gusto ormai minoritario: negli anni successivi alla peste del 1656 – che aveva causato la scomparsa di alcuni dei massimi pittori partenopei della prima metà del secolo, tra cui lo stesso Stanzione – cominciavano già a imporsi i nuovi modelli, più propriamente barocchi, di M. Preti e L. Giordano. Il M. continuò a ogni modo a ottenere commissioni in città (Madonna col Bambino e i ss. Gaetano e Andrea Avellino in S. Maria della Sapienza, datata 1667, recentemente trafugata; Madonna del Latte in S. Maria delle Grazie) e in provincia (tele nella chiesa di Regina Coeli ad Airola e nel coro della parrocchiale dei Ss. Cosma e Damiano a Secondigliano, tutte datate 1667).
Ultimo dipinto firmato e datato 1678 è l’Incontro di Rachele e Giacobbe di collezione privata napoletana, in cui è stato ravvisato un ritorno del M. alla pittura naturalistica di Ribera e del Maestro dell’Annuncio ai Pastori (Della Ragione - Pinto, p. 49).
Ancora De Dominici attesta che il M. morì a Napoli nel 1685.
Sepolto nella chiesa di S. Giovanni Maggiore, lasciò un figlio, Aniello, come lui pittore, ma morto in giovane età.
È noto un unico disegno, uno Sposalizio della Vergine (New York, Pierpont Morgan Library), verosimilmente attribuito al M. da un’iscrizione antica (Scholz).
Fonti e Bibl.: B. De Dominici, Vite de’ pittori, scultori, ed architetti napoletani, III, Napoli 1742, pp. 62, 103, 106-109, 205; R. Causa, Il nuovo ordinamento delle collezioni d’arte medievale e moderna al Museo campano di Capua, in Boll. d’arte, XXXVIII (1953), p. 351; La Madonna nella pittura del ’600 a Napoli (catal.), a cura di R. Causa, Napoli 1954, pp. 45 s.; F. Strazzullo, Documenti inediti per la storia dell’arte a Napoli, in Il Fuidoro, II (1955), p. 34; J. Scholz, In the shadow of Vesuvius. Neapolitan drawings from the collection of J. Scholz (catal.), New York 1969, n. 30; R. Causa, La pittura del Seicento a Napoli dal naturalismo al barocco, in Storia di Napoli, V, Napoli 1972, p. 945; N. Barbone Pugliese, Contributo alla pittura napoletana del Seicento in Basilicata, in Napoli nobilissima, XXII (1983), pp. 92-94; G.C. Ascione, in Civiltà del Seicento a Napoli (catal.), a cura di R. Causa - G. Galasso, I, Napoli 1984, pp. 159, 352; A. Delfino, Documenti inediti per alcuni pittori napoletani del ’600…, in Ricerche sul ’600 napoletano, IV (1985), p. 101; G. Labrot, Collections of paintings in Naples 1600-1780, Munich 1992, ad ind.; E. Nappi, Catal. delle pubblicazioni edite dal 1883 al 1990, riguardanti le opere di architetti, pittori… per i secoli XVI e XVII…, in Ricerche sul ’600 napoletano, XI (1992), p. 86; S. Schütze - T. Willette, Massimo Stanzione. L’opera completa, Napoli 1992, ad ind.; E. Nappi, Il conservatorio e la chiesa della Pietà dei Turchini, in Ricerche sul ’600 napoletano, XII (1993), p. 84; S. Causa, Passeggiate a Suor Orsola. Le opere del museo e non solo: una presa di contatto, in Ist. Suor Orsola Benincasa. Museo stor. universitario, Roma 2004, pp. 61 s.; I. Maietta, in La Cena in Emmaus del Museo Correale di Terranova di Sorrento (catal., Sorrento), Napoli 2004, pp. 14 s.; A. Della Ragione - R. Pinto, G. M., Salerno-Milano 2005; L. Arbace, in Saggi di pulitura. Mostra d’opere d’arte restaurate, Napoli 2006, pp. 18 s.; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXIV, pp. 187 s.