MARTUCCI, Giuseppe
– Nacque a Capua il 6 genn. 1856, primogenito di Gaetano e di Orsola Martucciello.
Il M. e la sorella Teresa, nata nel 1857, ricevettero i primi rudimenti musicali dal padre, suonatore di tromba nell’Esercito, e già nel 1864 ebbero modo di esibirsi pubblicamente. Nel 1867 il M. presentò la sua prima composizione (Il genio, polka per pianoforte), e i giornali locali iniziarono a occuparsi di lui (Il Giornale di Napoli, 4 e 9 apr. 1867). Poco dopo fu ammesso come allievo esterno al R. Collegio di musica S. Pietro a Majella di Napoli, dal 1868 come interno gratuito; qui studiò pianoforte con B. Cesi e L.M. Caracciolo, armonia con C. Costa e contrappunto con P. Serrao.
Nel triennio successivo scrisse, a scopo didattico, molte composizioni di musica sacra, fra cui: Le tre ore d’agonia di N.S.G. (1870); Coro d’israeliti (1871); nonché la Messa a grande orchestra (1870-71), rimasta inedita.
Riprese le esibizioni pianistiche nel novembre 1871, il M. presentò la Fantasia di concerto sull’opera «La forza del destino» op. 1, i due Capricci op. 2 e 3, la Mazurca op. 4, ottenendo un tale successo che il padre decise di ritirarlo dal conservatorio per avviarlo alla carriera concertistica (giugno 1872). Ma il M. non interruppe mai le frequentazioni con il direttore del conservatorio, L. Rossi, il quale può quindi essere annoverato fra i suoi maestri di composizione.
Nel 1874 il M. iniziò a insegnare (come supplente di Cesi nella scuola esterna del R. istituto femminile di Napoli); esordì a Roma, il 3 giugno, con un programma di alto impegno (sonata op. 57 di L. van Beethoven, estratti da Kreisleriana op. 16 di R. Schumann), ricevendo elogi da F. Liszt e l’invito della principessa Margherita di Savoia al Quirinale; compose poi il suo primo lavoro in grande forma, la sonata per violino e pianoforte op. 22; entrò anche in contatto con P. Clausetti, rappresentante napoletano di Ricordi.
L’11 e il 18 apr. 1875 debuttò a Milano, al conservatorio, eseguendo musiche proprie e di W.A. Mozart, Beethoven, Schumann, F. Mendelssohn Bartholdy, F. Chopin, R. Wagner, Liszt con entusiastiche recensioni (cfr. S. Farina, in Gazzetta musicale di Milano, 12 aprile; F. Filippi, in La Perseveranza, 14 e 22 aprile); subito dopo Ricordi pubblicò le sue opp. 19, 20 e 24 per pianoforte e acquistò «la proprietà esclusiva per tutti i paesi di tutte le sue composizioni già scritte e da scriversi» (Perrino, I, p. 72). Da Milano il M. si recò a Londra (maggio-giugno), dove suonò brani di Beethoven con il celebre violoncellista A. Piatti, e a Dublino (fine giugno); con Piatti e il flautista G. Briccialdi tenne quindi una tournée italiana fra novembre e dicembre.
Fra il 1876 e il 1878 intensificò l’impegno nella composizione di grandi forme: la sonata per pianoforte op. 34, sulla quale tuttavia lo stesso M. espresse qualche perplessità; la Fantasia per due pianoforti op. 32, subito pubblicata da Ricordi ed eseguita a Milano il 18 marzo 1877 (elogiata da Filippi nella Gazzetta musicale di Milano), il quintetto per archi e pianoforte, a ragione considerato uno dei migliori traguardi martucciani (profondamente riveduto nel 1892, fu successivamente pubblicato come op. 45 da Kistner nel 1893; al momento non si conoscono fonti della versione originale).
In quest’ultimo lavoro emerge particolarmente l’influenza di Schumann, del quale proprio in questo periodo il M. eseguì a Milano il quartetto op. 47. Il quintetto op. 45 ottenne nel 1878 il primo premio al concorso della Società del quartetto di Milano e all’analogo concorso di San Pietroburgo; il M. tuttavia respinse questo secondo riconoscimento; la prima trionfale esecuzione avvenne a Milano, il 17 marzo 1878, con primo violino A. Wilhelmy e l’autore al pianoforte.
Il M. partì quindi per Parigi, dove frequentò Ch. Gounod, C. Saint-Saëns¸ C. Sivori, G. Braga, A. Rubinstein, J. Massenet e tenne concerti alla salle Pleyel (7 apr. 1878) e alla salle Herz (24 aprile), al Conservatoire (5 maggio) e alla salle Erard (15 maggio). In giugno, su commissione dell’Esposizione internazionale, compose un concerto in re minore per pianoforte e orchestra da eseguire con l’orchestra della Scala, allora a Parigi con il suo direttore F. Faccio; l’esecuzione non si realizzò e il M. eseguì il concerto op. 40 due anni dopo a Napoli, decidendo però di non pubblicarlo (apparve postumo, a Roma, solo nel 1979). Di ritorno a Napoli, partecipò alla rifondazione della Società del quartetto, con L. Filiasi, B. Maglione e C. Stolz, C. Pfister, A. Zingaropoli, Salvatore e Ferdinando Pinto, C. De Filippis, il violoncellista V. Loveri e Cesi.
Sposata il 25 maggio 1879 Maria Colella, in agosto il M. riprese l’attività compositiva con la sonata in re minore per organo op. 36 e lo studio in do minore op. 47 per il Grande metodo teorico-pratico per lo studio del pianoforte di L. Lebert e L. Stark, giustamente considerato uno dei suoi migliori lavori in questo genere.
Il 25 apr. 1880 nacque, dapprima come esperimento privato, l’Orchestrale napoletana, con il M. direttore stabile, dedita a un repertorio basato prevalentemente su Beethoven, Mozart, Schumann e Wagner.
L’istituzione, grazie anche all’appoggio della Società del quartetto, nasceva come ampliamento di un gruppo di 27 elementi formato alla fine del 1877, con l’obiettivo di eseguire musiche mozartiane, da F. Milano principe D’Ardore e diretto sempre dal Martucci.
Con decreto ministeriale del 7 sett. 1880 il M. ricevette la nomina di docente di pianoforte presso il R. Collegio di musica di Napoli.
Fu questo un periodo ricco di ragguardevoli composizioni: in agosto la Tarantella per pianoforte op. 44 n. 6 (poi orchestrata nel 1908); in settembre la Fantasia per pianoforte op. 51 (una sontuosa forma-canzone, con largo impiego della scrittura a mani alterne, tipica del M., e con ampio interludio centrale in forma di pezzo caratteristico, alla maniera di Schumann), in ottobre la sonata per violoncello e pianoforte op. 52 (poi trascritta da V. Cantani per violino); il M. guarda qui a Schumann e J. Brahms, riplasmati però con completa indipendenza, come testimoniano l’approfondita elaborazione dei motivi e la sicura conduzione dell’impianto ciclico. Il 1880 si chiuse con lo Studio caratteristico op. 54 e l’Improvviso-Fantasia op. 56 che, fatta salva la finalità didattica, sono da considerare due validi brani da concerto.
Il 23 genn. 1881 il M. inaugurò la prima stagione di concerti pubblici dell’Orchestrale napoletana alla sala della Società del quartetto; in programma Mozart (sinfonia K. 550), Beethoven (ouverture Leonore III), Rubinstein (Adagio dalla sinfonia Oceano) e Mendelssohn (estratti da Sogno d’una notte di mezz’estate). Il 20 marzo il M. diresse la prima locale della prima sinfonia op. 38 del prediletto Schumann; l’evento trovò eco fin nella Neue Zeitschrift für Musik di Lipsia. Nello stesso 1881 il M. compose il grande oratorio in tre parti Samuel (I Samuele, 1-7), su testo di F. Persico, per soli, cori, grande orchestra e organo; il lavoro, inedito (autografo a Napoli, Biblioteca del Conservatorio S. Pietro a Majella: 18.2.1; olim 20[A].1.7), non è mai stato eseguito integralmente per volontà dello stesso Martucci.
Oltre la sicura scrittura orchestrale, e un personale trattamento delle voci soliste, occorre sottolineare la scrittura contrappuntistica nelle sezioni corali; ciò renderebbe forse opportuna una ripresa moderna di questo oratorio, nonostante l’autocensura dell’autore.
Proseguendo i concerti con l’Orchestrale, nel 1882 il M. completò l’ambiziosa op. 58, Tema con variazioni per pianoforte, dedicata a G. Sgambati e ancor oggi eseguita; poco dopo compose il primo trio op. 59 in do maggiore (1882), la cui forma ciclica può considerarsi un approfondimento di quanto realizzato finora: il finale recupera in aumentazione e in trasformazione i motivi principali dei movimenti precedenti. Nel dicembre presentò in prima locale la sonata per pianoforte op. 22 di Schumann alla Società del quartetto e la seconda sinfonia op. 73 di Brahms con l’Orchestrale.
Il crescente impegno nel trattare la forma classica non escludeva l’interesse per la «musica dell’avvenire»: nel 1883 moriva Wagner e il 1° aprile il M. lo celebrò eseguendo alla Società del quartetto il preludio del Lohengrin, le ouvertures dell’Olandese volante e del Tannhäuser, il preludio del Parsifal e la Cavalcata delle valchirie da La Valchiria. Fra i sostenitori di queste iniziative vi furono B. Maglione e la moglie Teresa Oneto, di famiglia genovese, alla quale il M. dedicò i sei pezzi per pianoforte op. 60, completati nel maggio 1883. All’estate risalgono Preludio, toccata e giga per pianoforte op. 61, nella cui scrittura la critica ha voluto scorgere un ideale riferimento scarlattiano. Dopo Wagner e D. Scarlatti ecco il ritorno a Brahms con il secondo trio op. 62, completato il 5 ott. 1883, lavoro ricchissimo di relazioni motiviche (per esempio, il secondo tema del primo movimento è una trasposizione del basso del primo tema) e di libere scritture polifoniche (nello sviluppo del primo movimento, nel finale). Nel 1884 il M. partecipò con l’Orchestrale napoletana al festival di sei orchestre italiane organizzato dall’Esposizione nazionale di Torino (concerti il 12, 14 e 15 giugno; programmi in Depanis, p. 283).
Quest’occasione, sebbene fossero presenti celebri colleghi come Faccio e L. Mancinelli, impose il M. come maggior direttore sinfonico italiano; la stampa rilevò il perfetto accordo dei suoi archi, il rigore ritmico, la scelta di programmi (stupì l’esecuzione di sinfonie in forma integrale).
Fra l’estate 1884 e l’ottobre 1885 il M. portò a termine il secondo concerto per pianoforte e orchestra op. 66 in si bemolle minore, una delle sue opere più note, apprezzata anche da Liszt.
I tre movimenti sono caratterizzati da un processo incessante di elaborazione dei motivi estratti dai temi, non lontano dalla tecnica di variazione-sviluppo brahmsiana e che si ritrovano nelle due sinfonie; questa tecnica sintattico-formale tocca il vertice nel primo movimento; il seguente Larghetto mostra un perfetto equilibrio fra elaborazione e libertà melodica (grande efficacia risulta dalla ripresa del tema nelle viole e violoncelli, dopo le esplosioni pianistiche centrali); non altrettanto equilibrato, ma ricco di invenzioni strumentali è il finale, dove spiccano quasi-citazioni dai concerti per pianoforte di Brahms. Per comprendere una simile concezione organica occorrono ascolti attenti e ripetuti. La prima esecuzione, con il M. al pianoforte e l’Orchestrale napoletana diretta da Serrao, avvenne a Napoli il 31 genn. 1886; replica a Roma (20 febbraio), direttore E. Pinelli; G. Mahler incluse l’op. 66 nell’ultimo concerto della sua vita, il 21 febbr. 1911 a New York.
Dopo una collaborazione a Napoli con il violinista Sivori nel marzo-aprile 1886 (forse per questa occasione il M. scrisse i Tre pezzi op. 67, che possono essere considerati un organismo in tre movimenti) trasferì i suoi interessi professionali nella città di Bologna. Dopo la direzione di due concerti alla Società del quartetto il 9 e il 16 maggio (rispettivamente, Beethoven, sesta sinfonia op. 68; il concerto del M. op. 66 e Waldweben dal Siegfried di Wagner), la giunta municipale di Bologna gli offrì la direzione del Liceo musicale e della Cappella di S. Petronio. Rassegnate le dimissioni dal conservatorio di Napoli, in settembre il M. si trasferì a Bologna assumendo anche la direzione dei concerti della Società del quartetto. Diminuì qui la produzione pianistica (memorabili tuttavia i Due notturni op. 70, e i Due pezzi op. 77) per lasciare spazio ad altri generi e all’attività direttoriale. Nel maggio 1887 completò La canzone dei ricordi su testo di R.E. Pagliara, dedicata alla cantante Alice Barbi.
Il ciclo, per mezzosoprano e pianoforte (nel 1898 il M. orchestrerà la parte pianistica), si compone di sette liriche ispirate ai temi decadenti dell’indefinito, del ricordo e del sogno come vie di fuga dalla concretezza della realtà, che il M. interpreta con armonie sfumate e instabili (frequenti none, undicesime e persino tredicesime). La declamazione è prossima alla prosa musicale, frequentemente spezzata e avvolta da linee strumentali ricche di intenzioni significative. Forse con allusione wagneriana, nella settima lirica il M. assegna al pianoforte un intreccio di motivi che, come in sogno, «ricordano» le sei precedenti.
Il M. tornò alla composizione vocale nel 1906 con i pregevolissimi Tre pezzi op. 84 (Maggiolata, Pianto antico, Nevicata) su poesie di G. Carducci. Nella composizione cameristica spiccano i Tre pezzi per violoncello e pianoforte op. 69 (1888; il secondo, andante, sarà orchestrato dall’autore nel 1907), la Melodia per violino e pianoforte (1890) e Deux romances per violoncello e pianoforte op. 72 (1891). Fra il 1888 e il 1895 venne composta la prima sinfonia in re minore op. 75 (prima esecuzione, diretta dell’autore a Milano nel 1895), subito pubblicata da Kistner a Lipsia.
Nel periodo bolognese il M. eseguì le sinfonie di Schumann e di Brahms (che incontrò a Bologna nel 1888), e la prima italiana del Tristano e Isotta di Wagner (2 giugno 1888). Il 19 maggio 1895 diresse la prima nazionale delle Scene dal Faust di Schumann, nella versione italiana di V. Radicati di Marmorito (marito di una figlia di Schumann, Julie).
Anno fondamentale per il M. fu il 1898: il 27 febbraio presentò ai concerti Ysaÿe di Bruxelles il suo concerto op. 66 e la prima sinfonia; di ritorno a Bologna dedicò concerti monografici a repertori nazionali contemporanei, uno alla Francia (C.-A. Franck, E. Lalo, V. d’Indy, Saint-Saëns, Massenet), uno all’Inghilterra (A. Sullivan, Ch.V. Stanford, Ch.H. Parry, A.C. Mackenzie, Fr.H. Cowen), uno alla scuola germanico-slava (Brahms, Liszt, A. Dvořák, K. Goldmark), uno infine ai connazionali A. Bazzini (ouverture Re Lear) e Sgambati (sinfonia n. 1 in re minore op. 11); in quell’anno avvenne infine la conoscenza con A. Toscanini, che rimase per sempre il suo più convinto ammiratore, con cui il M. eseguì il concerto op. 66 (la prima volta a Torino, il 29 settembre, per l’Esposizione generale italiana). Le registrazioni di Toscanini furono a lungo le sole disponibili: dal concerto op. 66 (con G. D’Attilli nel 1946, con M. Horszowski nel 1953), alla Canzone dei ricordi, le trascrizioni di originali pianistici (fra cui il Notturno op. 70 n. 1) e le sinfonie.
Nel marzo 1902 il M. succedette a P. Platania nella direzione del conservatorio di Napoli, che tenne fino alla morte. Ridotta drasticamente la produzione pianistica, lavorò intensamente alla seconda sinfonia in fa maggiore op. 81, completata nel 1904 e diretta da Toscanini alla Scala di Milano il 3 giugno 1905 con l’orchestra Municipale di Torino. Nel giugno 1905 il M. diresse a Napoli la prima locale della nona sinfonia di Beethoven, il 26 dic. 1907 la prima locale del Tristano e Isotta, nel maggio 1908 la prima italiana del Prélude à l’après-midi d’un faune di C. Debussy, infine l’8 dic. 1908 Il crepuscolo degli dei di Wagner. Nell’agosto 1908 il M. aveva assistito alla Tetralogia diretta da F. Mottl a Monaco di Baviera; il viaggio faticoso in un organismo già affaticato dalla mole di lavoro svolto ne compromisero irrimediabilmente le condizioni di salute. Una delle ultime apparizioni del M. è ricordata da F. Alfano alla prima esecuzione della propria Suite romantica all’Augusteo di Roma nel 1909.
Il M. morì a Napoli il 1° giugno 1909.
Il 2 luglio successivo Toscanini diresse a Napoli il concerto commemorativo di musiche martucciane, fra cui La canzone dei ricordi, solista il soprano Salomea Krusceniski.
La produzione del M. è stata a torto accusata di epigonismo germanofilo. Oggi predominano due atteggiamenti verso la musica martucciana; da un lato il disinteresse della maggior parte degli esecutori, poco inclini a ciò che esula dal repertorio di routine; dall’altro l’opinione di alcuni musicologi secondo cui il M. migliore sarebbe quello dei piccoli pezzi descrittivi e della breve ispirazione melodica, che rappresenta invece la parte più caduca della sua produzione, rispetto alle più ambiziose e riuscite grandi forme.
La produzione cameristica e sinfonica del M., dopo i sinceri riconoscimenti dei contemporanei ha tuttavia subito nella prima metà del Novecento una progressiva marginalizzazione imputabile anche a ragioni extramusicali: la formazione del repertorio canonico ha infatti assegnato alla musica italiana in toto la supremazia operistica, a scapito del patrimonio sinfonico-strumentale che, nell’ultimo scorcio dell’Ottocento, aveva occupato una posizione considerevole anche nelle programmazioni estere. Durante il ventennio fascista l’opera lirica venne considerata l’espressione latina più radicata e popolare, mentre alla linea modernista, rappresentata dalle avanguardie primonovecentesche, il regime assegnò un autentico ruolo propulsivo. Stretto tra queste due realtà, il neo-sinfonismo italiano di fine Ottocento – di cui il M. fu tra i più significativi esponenti – fu sommariamente sacrificato.
Dopo la morte del M., C. Clausetti raccolse testimonianze di considerazione e commozione da parte di autorevoli musicisti (cfr. Symphonia, 1910). Secondo G. Malipiero, il M. è stato «un genio nel vero senso della parola […]. La Seconda Sinfonia [è] il punto di partenza della rinascita strumentale in Italia» (Contemporary music in Italy, in The Score, 15 marzo 1956, p. 7); Malipiero qui vuole polemizzare con quanto scrisse G. Pannain nel 1952: «con Martucci ha inizio il dramma della moderna musica italiana» (p. 167), parole che testimoniano, invece, la posizione pregiudiziale prima accennata.
Altrettanto importante fu il ruolo del M. nel rinnovamento dell’esecuzione in Italia. Come pianista venne paragonato ad Anton Rubinstein e Liszt per la sonorità potente, ma senza le loro pose demoniache, sottolineandone lo stile puro e nobile e la calma anche nella postura. Le recensioni sul M. direttore confermano tale indole: nessuna posa plateale, concentrazione e intransigenza nelle prove (fu il primo direttore italiano a imporre l’arcata uniforme agli archi, rilevò Depanis, p. 248), gesto sobrio, rigorosa tenuta del tempo; un nuovo stile direttoriale che prefigura il rigore che caratterizzerà l’operato di Toscanini.
Fra i suoi allievi occorre menzionare O. Respighi, a Bologna; Luisa Cognetti nella prima permanenza a Napoli, che fu altamente elogiata da Liszt, e infine il figlio Paolo (1883-1980), che emigrò negli Stati Uniti e nel 1913 fondò a New York una scuola di pianoforte.
Per il catalogo completo della produzione del M. si rimanda a The New Grove Dictonary; per la produzione pianistica cfr. Fano, 1950.
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