TALUCCHI, Giuseppe Maria
– Nacque a Torino, il 6 febbraio 1782 (Talucchi, 1917, p. 2). Il padre Bernardo, di ricca famiglia originaria di Santhià (Vercelli), si era sposato tre volte, con Irene Guala, con Vincenza Anselmi e, infine, con Rosalia Sartorio madre di Giuseppe. Bernardo ebbe ben 21 figli, molti dei quali ricoprirono posizioni di rilievo.
Conseguita nel 1803 la patente di misuratore e architetto civile, Giuseppe Maria svolse il tirocinio presso lo studio dell’architetto Ferdinando Bonsignore, suo mentore e protettore durante tutta la vita professionale; non risulta aver ricevuto incarichi durante il periodo repubblicano, tranne nell’episodio dell’ampliamento della parrocchiale di Moncucco, affidatagli dal parroco, il teologo Francesco Cottino, torinese suo coetaneo e probabilmente amico.
La fortuna professionale e accademica di Giuseppe Talucchi iniziò, durante la Restaurazione, con la nomina a professore sostituto di architettura civile presso la Regia Università, e successivamente ad architetto della medesima istituzione.
Il primo incarico importante, che gli valse stima e fama, fu quello per l’ospedale di S. Luigi Gonzaga, ottenuto in seguito a concorso nel 1818. Si trattava di uno degli interventi della monarchia restaurata per dotare le città del Regno di Sardegna di servizi per la popolazione aggiornati alle innovazioni della ricerca scientifica e medica sempre più specializzata. Alla destinazione di ospedale per lunghe degenze furono adattati la forma a croce di sant’Andrea e il modello impiegato da Ferdinando Fuga per l’incompiuta chiesa dell’albergo dei poveri di Napoli (1749-99), trasformando il sistema di circolazione dei reclusi in funzione della pratica della confessione in un apparato di intercapedini e accessi nascosti per diminuire l’impatto emotivo delle ‘operazioni pietose’ sui degenti in corsia.
Da questo momento tutte le commesse più consistenti vennero a Talucchi dall’università, dalla Pubblica amministrazione e dalla Casa regnante. Nel 1819 ricevette l’incarico di sopraelevare il palazzo della Curia civica, in modo da potervi allestire una biblioteca; quindi nel 1823 la parrocchia di S. Francesco da Paola, della quale era vicecurato il fratello Francesco, lo incaricò di progettare il collegamento tra la sagrestia e la nuova casa parrocchiale. Talucchi aveva altri due fratelli sacerdoti, Giacinto e Gaetano; quest’ultimo, in qualità di cappellano di Carlo Felice e di Carlo Alberto, dovette contribuire alla carriera di Giuseppe come pure il fratello maggiore Giovanni Maria, laureato in legge nel 1802, senatore e sostituto dell’avvocato generale fiscale Alessandro Passerin d’Entrèves.
Nel 1824 Talucchi fu chiamato a progettare il portale monumentale dell’edificio dell’ex Collegio dei nobili, allora attribuito a Guarino Guarini, sede della Regia Accademia delle scienze e, subito dopo, il completamento dell’ala lasciata incompiuta su piazza Carignano, per accogliervi il Museo di storia naturale dell’università e le collezioni di arte egizia.
Tutti questi interventi, come altri in seguito, sono caratterizzati da una sostanziale osservanza degli edifici esistenti, tutti di origine barocca, operando solo lievi e quasi impercettibili interventi di correzione dei modi compositivi e distributivi originali, ritenuti, in piena epoca neoclassica, abusi contrari ai principi di ordine ed euritmia teorizzati, tra gli altri, da Francesco Milizia, le cui Memorie degli architetti antichi e moderni (nella riedizione del 1827) Talucchi annotò ed emendò fittamente, con continui rimandi alla propria attività professionale e umana.
In quello stesso anno, in seguito alla Riforma degli studi, Talucchi fu riconfermato nel ruolo di sostituto di Bonsignore e gli fu affidata inoltre la cattedra di geometria pratica; contemporaneamente entrò a far parte del Consiglio degli edili.
Negli stessi anni ricevette da Carlo Felice l’incarico di adattare a Collegio delle province il vecchio edificio del convento dei padri minimi, in via della Posta (ora via Accademia Albertina), dotandolo di una nuova facciata; quindi, con Bonsignore, di progettare un passaggio coperto per le carrozze per il teatro del Principe di Carignano.
Sempre nel 1824 iniziarono i lavori per il completamento della chiesa di S. Filippo Neri, edificio lasciato incompiuto prima da Guarini e poi da Filippo Juvarra, che si protrassero fino agli anni Quaranta. Nello stesso anno Talucchi presentò ben cinque progetti per il completamento dell’Ospizio di mendicità di Collegno, opera di Filippo Castelli.
Nel 1826 realizzò altri due interventi in edifici universitari: la scuola di latinità nel cortile dell’ex convento dei minimi e il portale per l’ingresso ai collegi sotto i portici della via di Po. L’edificio per il collegio di latinità, che svolge principalmente la funzione di aula scolastica, fu desunto dal modello del Panopticon messo a punto nel 1791 da Jeremy Bentham, ed è risolto, relativamente alla composizione e ai partiti murari, secondo le modalità di fusione tra il sistema costruttivo greco (puntiforme) e quello romano (archi e murature) che venne focalizzata tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo a Roma, in particolare nell’ambito dell’Accademia della Pace. Bonsignore, affiliato a quest’ultima, introdusse a Torino tale modalità, affinata da Talucchi, che ne desunse un vero e proprio codice classico utilizzabile negli edifici civili e funzionali.
Nel 1828, in seguito ad alcuni progetti minori non andati a buon fine, e a un progetto di modificazione dell’ospizio dei Poveri di Racconigi (Cuneo) per trasformarlo in ospedale dei Pazzi (1824), Talucchi concepì il progetto per il Regio Manicomio di Torino, la cui costruzione si protrasse per otto anni, interrotta, tra l’altro, da una causa legale per stabilire la bontà della sua direzione dei lavori in economia. L’aspetto più rilevante di questo grande edificio per la cura degli alienati mentali è il lavoro preparatorio e di documentazione che Talucchi svolse, come in seguito quello di progettazione, insieme al primario incaricato della direzione dello stabilimento Cipriano Bartolini, protagonista dell’avviamento della medicina mentale alla sua fase clinica. Il risultato fu un grande edificio a pianta rettangolare, interrotta da cortili per le attività fisiche e il passeggio dei malati, camminamenti al coperto lungo tutto il perimetro esterno e interno per non interrompere l’esercizio durante la stagione fredda o piovosa, e una grande quantità di spazi per il lavoro, ritenuto, insieme al movimento e al contatto con la natura, un modo per guidare gli alienati alla guarigione. L’ospedale dei Pazzerelli, insieme al S. Luigi, fu pubblicato sulle principali trattazioni mediche del periodo (tra cui la monumentale opera di Jean-Étienne-Dominique Esquiro del 1838), ed entrambi furono lodati per il particolare legame instaurato sia nella fase di concepimento, sia in quella del funzionamento, tra architetto e medici. Nella stessa logica di riforma degli edifici per l’assistenza si colloca il progetto – non realizzato – per il nuovo carcere cittadino (1833), ancora uniformato ai modelli più aggiornati (il reclusorio alla maniera di Auburn) e ancora risolto con il linguaggio architettonico del classicismo civile, depurato da qualsiasi concessione all’ornamento, ma solidamente riferibile ai modelli antichi.
Il primo lustro degli anni Trenta fu occupato dalla progettazione di due edifici religiosi: il duomo di Vigone (1833) e quello di Santhià (1833). Nel primo caso l’incarico fu ottenuto in seguito a concorso e grazie alla tenace battaglia condotta dal teologo Carlo Sola, amico dai tempi dell’università; nell’affidamento del secondo è verosimile che abbia pesato la provenienza familiare. Entrambi utilizzano un modello di grande raffinatezza: la pianta a tre navate e volte a botte sostenute da colonne libere, riconducibile al dibattito sull’architettura ‘greco-gotica’ che a Parigi aveva originato chiese con questo impianto (ad esempio Saint-Philippe-du-Roule, 1772-84, architetto Jean Chalgrin), che Talucchi a sua volta contribuì a diffondere attraverso i suoi allievi (tra cui Alessandro Antonelli) e i suoi contatti con l’area milanese e l’Accademia di Brera, in particolare Carlo Amati, con il quale mantiene una fitta e amichevole corrispondenza.
Nel frattempo, nominato professore aggiunto all’Accademia Albertina di belle arti, Talucchi aveva progettato per la cognata di sua sorella Teresa, sposata Masino, in un per lui inconsueto stile neogotico, la facciata del castello di Villanova Solaro (1829) secondo un gusto tipicamente carloalbertino che avrebbe portato di lì a poco ai grandi lavori per Pollenzo (dal 1834) e altre sedi regie per opera di Pelagio Palagi. Per Federico Sclopis, suo collega al Consiglio degli edili, aveva invece curato la sopraelevazione della casa in contrada dei Conciatori (ora via Lagrange), e per i nobili Provana di Collegno il completamento – mimetico – del castello di famiglia lasciato incompiuto da Juvarra.
Le ultime importanti commesse pubbliche, giunte quando ormai Carlo Alberto iniziava a mostrare riserve rispetto al ‘partito classico’ al quale Talucchi apparteneva, sono quella per il portale dell’università su via della Zecca (ora via Verdi), del 1834, e, nello stesso anno, l’edificio per accogliere il refettorio e la filanda dell’istituto delle Rosine. Quest’ultimo fu voluto nel quadro delle opere filantropiche promosse da Maria Teresa d’Austria, moglie di Carlo Alberto, e risolto dal progettista in forma di tempio tuscanico, ultima manifestazione dell’impiego del linguaggio classico in edifici utilitari di committenza regia, optando Carlo Alberto, da questo momento in poi, per la complessa e quasi esclusiva immagine neomedievale connessa sia alle attività culturali promosse dalla corte, sia alla dotazione edilizia.
Sempre nel 1834 Talucchi partecipò, senza successo, al concorso per la sistemazione del passeggio dei Ripari. L’eliminazione della sua proposta, legata alla visione di ‘bene comune’ propria della prima epoca carloalbertina (parte dei terreni era da lui destinata ai ricoverati del vicino ospedale maggiore), è da ricondursi alla rapida espansione urbana di Torino e alla crescente importanza delle dinamiche che derivavano dalle rendite di posizione e dagli investimenti privati per la dotazione immobiliare. Ancora nella linea dei completamenti delle grandi fabbriche barocche fu il progetto per l’ingrandimento del teatro anatomico dell’università (1834), opera originale di Bernardo Vittone, rimpiazzato, l’anno seguente, da quello, concepito insieme a Lorenzo Panizza, per un teatro anatomico completamente nuovo realizzato nell’isolato dell’ospedale maggiore S. Giovanni Battista.
A partire dalla seconda metà degli anni Trenta le fortune di Talucchi presso la corte cambiarono e gli incarichi diventarono sempre più radi. Anche la cattedra di architettura presso l’Accademia Albertina di belle arti, alla quale Bonsignore rinunciò, venne assegnata ad Alessandro Antonelli e non a Talucchi, che per tanti anni vi aveva collaborato.
Tra il 1835 e la fine del decennio egli progettò soltanto la chiesa votiva di Polonghera, ancora su modello francese, e, a Torino, il grande e lodato salone da musica dell’Accademia filarmonica, esclusivo circolo patrizio del cui Consiglio generale Talucchi, nonostante le sue origini borghesi, faceva parte, e nel quale affiancò soluzioni strutturalmente piuttosto avanzate – la copertura di uno dei terrazzi del palazzo Isnardi di Caraglio – a un gusto per la decorazione e il dettaglio che lo mette in luce come un possibile concorrente – perdente – di Palagi, autore dei nuovi ambienti per i ricevimenti nel palazzo reale.
Il favore del quale Talucchi godeva presso i circoli legati alla corte andava dunque scemando, ma il tracollo vero e proprio corrispose con la morte di Bonsignore, avvenuta nel 1843: le protezioni sulle quali Talucchi aveva potuto contare decaddero inesorabilmente. Carlo Promis venne nominato professore di architettura all’università e Andrea Tecco fu chiamato a ricoprire la cattedra di geometria pratica che era del nostro, il quale venne pensionato e automaticamente escluso anche dalla carica nel Consiglio degli edili. Sia all’Accademia di belle arti, sia all’Università, sia ancora nel Consiglio degli edili, gli vennero conferiti titoli onorifici, privi tuttavia di qualsiasi risvolto pratico: accademico d’onore nazionale, professore onorario, consigliere onorario, e infine cavaliere dell’Ordine mauriziano.
Nel 1848 la circoscrizione di Santhià lo elesse suo rappresentante in Parlamento.
Negli anni seguenti, fino alla morte, egli lavorò solo per i membri della famiglia, proprietaria di diversi isolati nella zona di San Salvario, progettando a più riprese, tra il 1850 e il 1860, case da pigione, in perfetto accordo con le indicazioni fornite dai nuovi piani di ampliamento della Capitale.
Morì il 2 dicembre 1863, a Torino, all’età di 80 anni (Boggio, 1918, p. 51).
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Il Palmaverde. Almanacco Piemontese, 1803, passim, 1839, passim, 1848, passim; S. Bonacossa, Osservazioni sulla proposizione di legge del medico collegiato Bernardino Bertini riguardante la custodia e la cura dei mentecatti e considerazioni sullo stato attuale de’ pazzi in Piemonte, Torino 1849; Raccolta e parallelo delle fabbriche classiche di tutti i tempi, d’ogni popolo e di ciascun stile di J.N.L. Durand, con l’aggiunta della storia generale dell’architettura di J.G. Legrand. Arricchita ora di un supplemento di parecchie fabbriche inedite [...] per cura e studio di Francesco Zanotto, I, Venezia 1857, p. 143, II, tav. LXXX; V. Talucchi, Brevi cenni sulla vita e sulle opere dell’architetto G.M. T., Torino 1917; C. Boggio, Lo sviluppo edilizio di Torino. Dalla Rivoluzione francese alla metà del secolo XIX. Comunicazione fatta alla società degli ingegneri ed architetti in Torino nella seduta del 4 dicembre 1916, Torino 1918, pp. 32-55; Il Regio manicomio di Torino nel suo II centenario, 22 VI 1728 / 22 VI 1928, Torino 1928 (in partic. V. Tirelli, Cenni storici sulla origine e sullo sviluppo tecnico e scientifico del Regio manicomio di Torino, pp. 33-101); V. Comoli Mandracci, Filippo Juvarra e la chiesa di S. Filippo Neri, Torino 1975, pp. 91-96; W. Canavesio, G.M. T. e la chiesa di Vigone, in Studi piemontesi, XVII (1988), 1, pp. 93-102; Id., Un altare di Filippo Juvarra nella parrocchiale di Moncucco, in Bollettino della Società piemontese di archeologia e belle arti, n.s., XLV (1993), pp. 239-250; E. Dellapiana, Giuseppe Talucchi architetto. La cultura del classicismo civile negli Stati sardi restaurati, Torino 1999; Ead., Lettere di Giuseppe Talucchi a Carlo Amati. Rapporti tra l’Accademia Albertina e Brera nel primo Ottocento, in Studi di storia dell’architettura per Alfonso Gambardella, II, Milano 2008, pp. 87-92; Ead., Talucchi Giuseppe, in Atlante del giardino italiano, 1750-1940. Dizionario biografico di architetti, giardinieri, botanici, committenti, letterati e altri protagonisti. Italia settentrionale, a cura di V. Cazzato, I, Roma 2009, pp. 127-129.