PESSOLANI, Giuseppe Maria
– Nacque ad Atena (Salerno) il 27 febbraio 1807 da Saverio Arcangelo e da Serafina De Stefano.
La sua famiglia era formata da piccoli proprietari, professionisti ed esponenti del basso clero, spesso impegnati nei conflitti che nel Regno di Napoli opponevano le comunità locali ai feudatari attraverso aspre contese politiche e giudiziarie (il nonno Nicola ne fu protagonista alla fine del Settecento, mentre il padre, giovanissimo, finì nel carcere feudale). Quando l’invasione francese e la proclamazione della Repubblica provocarono la crisi della sovranità tradizionale, queste tensioni si intrecciarono con nuove scelte politiche. Nel febbraio 1799 la famiglia, guidata dallo zio Sebastiano Pessolani, sostenne l’adesione del comune alla Repubblica come quasi tutti i paesi del circondario. Nello stesso territorio si mobilitarono le forze realiste che appoggiarono la marcia del cardinale Fabrizio Ruffo su Napoli, guidate da guerriglieri destinati a salire alla nobiltà e ai vertici dello Stato, come Vito Nunziante e Gerardo Curcio. Lo scontro civile era innanzitutto un conflitto locale. Ad Atena i vecchi collaboratori del principe feudale, la famiglia Spagna, erano alla testa della controrivoluzione; i Pessolani furono sconfitti e arrestati, i loro alleati riuscirono a fuggire.
Pochi anni dopo buona parte del notabilato provinciale si schierò ancora una volta con i Francesi: i Pessolani furono impegnati nell’amministrazione del Comune e nella lotta contro la guerriglia filo borbonica. Il conflitto interno era il motore della politicizzazione della società meridionale, intrecciando obiettivi ideologici, ambizioni individuali, tensioni sociali, rivalità familiari. Negli anni della Restaurazione il padre Saverio Arcangelo fu tra i principali organizzatori della carboneria, collocato nella corrente più estrema che aveva il suo leader in Rosario Macchiaroli. Il giovane Giuseppe conobbe la sua intensa e pericolosa attività clandestina, dove si mescolavano progetti ideologi, rituali sacralizzanti e atti violenti. Il padre fu tra i protagonisti della rivoluzione del 1820, poi fu eletto deputato, tra i pochi che si opposero alla partenza del re per Lubiana. Quando gli Austriaci invasero il Regno, fu tra i promotori di un tentativo di sommossa, represso dalla gendarmeria. Nel suo paese, due giorni dopo, gli Spagna, alla testa di una plebe sanfedista, massacrarono il suo alleato, il sindaco Vincenzo Giacchetti, e gli ufficiali delle legioni. La casa dei Pessolani fu presa d’assalto, la famiglia riuscì a salvarsi con la fuga. Anche Macchiaroli fu assassinato da una squadriglia paramilitare borbonica.
Le vendette sanguinose furono accompagnate dalla repressione istituzionale che nel comprensorio colpì oltre cento carbonari, l’élite locale, formata da sindaci, notabili, militari. I Pessolani sperimentarono un elemento costitutivo dell’opposizione meridionale, i processi e il carcere politico. L’ex parlamentare Saverio Arcangelo fu tra i condannati alla pena capitale, poi commutata nel carcere a vita (tornò libero poco prima della morte per l’amnistia concessa da Ferdinando II).
Il processo era ancora in corso quando il figlio Giuseppe fu scoperto con materiali settari. Subito dopo fu richiamato alle armi. Tornò in paese sei anni dopo (aveva conseguito il grado di sergente dei Cacciatori), e fu subito in prima fila nella militanza clandestina, ma sottoposto a sorveglianza politica e arrestato. Si affermò come leader locale; rappresentava la terza generazione impegnata della famiglia, ma non un caso raro: decenni di conflitto interno avevano creato appartenenze e tradizioni politiche in settori minoritari ma diffusi della società provinciale e della capitale.
Nel 1848 partecipò alla mobilitazione rivoluzionaria. Fu nominato capitano della guardia nazionale, la formazione paramilitare liberale che sostituì la guardia urbana realista, mentre organizzava il movimento liberale, fra la Lucania e il Cilento, guidata dai parlamentari Ferdinando Petruccelli della Gattina in Lucania e Costabile Carducci nel Cilento. Dopo la crisi del 15 maggio, in molte province furono convocate assemblee, in Calabria e nel Cilento si giunse a insurrezioni armate. Giuseppe Pessolani insieme al fratello Raffaele era tra i capi della rivolta. Assaltò un convoglio dell’esercito, poi si mise a capo di una formazione di volontari come commissario di guerra, insieme al lucano Giuseppe Caputo. Raggiunse il Cilento, poi Sala, liberando i prigionieri delle carceri, formando governi provvisori nei paesi e cercando di mobilitare la popolazione. I successi furono effimeri. Nel giro di poche settimane il deputato Carducci fu assassinato da militanti realisti e gli insorti vennero sconfitti. Pessolani e Caputo sciolsero la colonna e tentarono la strada della clandestinità.
Aiutato dal suo prestigio e dalla solidarietà dei concittadini, riuscì a nascondersi per un anno. Alla sua ricerca furono inviate truppe e poliziotti: era considerato uno dei più pericolosi sovversivi ancora in libertà. Il suo paese fu messo in stato d’assedio, la casa della famiglia diventò un piantone della gendarmeria. Pessolani si costituì. Processato insieme a centinaia di insorti dalla Gran corte criminale di Salerno, fu condannato a morte (con gli altri capi della rivolta, Carlo Pavone, Giovanbattista Ricci, Carlo De Angelis), pena poi tramutata nel carcere a vita. Ripeté la stessa trafila del padre, quasi trent’anni dopo, nelle corti dei processi politici e negli stessi bagni penali, fino a quando, alla fine del 1858, il governo borbonico decise di consentire ad alcuni prigionieri l’esilio a vita. Tra questi c’erano i più conosciuti capi delle insurrezioni in Calabria e in Cilento. I detenuti furono portati a Cadice, lì imbarcati su una nave statunitense. Una volta a bordo, i politici napoletani convinsero il comandante a cambiare rotta, lasciandoli a Cork, in Irlanda. Pessolani raggiunse poi il Piemonte, dove per sopravvivere si inventò commerciante di stoffe. Nel frattempo si inserì nella comunità degli esuli salernitani. Sei mesi dopo, nel maggio 1860, partì con la spedizione di Giuseppe Garibaldi per la Sicilia. Era nella 3ª compagnia, guidata dal calabrese Francesco Sprovieri. Un gruppo che rappresentava bene la generazione del 1848, segnata da tradizioni familiari, cospirazione, clandestinità, paramilitarismo, processi politici, carceri, esilio. Si trattava di quadri esperti e provati, radicati nella lotta politica meridionale. Pessolani partecipò a tutta la campagna siciliana. Combatté a Calatafimi e a Palermo. A Milazzo il suo reparto fu protagonista dell’assalto alle posizioni regie. Tutti gli ufficiali furono uccisi o, come Pessolani, gravemente feriti.
Dopo un anno in ospedale tornò al paese gravemente infermo. Conviveva con una donna di Atena, con la quale ebbe due figli che decise di riconoscere. Come tutti i reduci delle rivoluzioni meridionali si divise fra l’impegno amministrativo e la lotta politica. Fu sindaco e giudice conciliatore, organizzò una squadriglia mobile contro il brigantaggio lealista, anche se nel suo territorio, di radicate tradizioni liberali, questo fenomeno fu molto marginale, in comparazione ad altri comprensori del Mezzogiorno.
Negli ultimi anni, inserito nell’elenco ufficiale dei Mille, si impegnò nelle molteplici iniziative che puntavano a immortalare e sacralizzare la lunga lotta politica ottocentesca (come il comitato regionale dei veterani), contribuendo a costruire il mito della nazione risorgimentale.
Morì ad Atena Lucana il 23 novembre 1876
Fonti e Bibl.: Documentazione su Pessolani e la sua attività liberal-patriottica è conservata nel fondo Gran Corte criminale dell'Archivio di Stato di Salerno. Sulla militanza garibaldina si può consultare ad vocem il progetto digitale dell'Archivio di Stato di Torino, Alla ricerca dei garibaldini scomparsi, http://archiviodistatotorino.beniculturali.it/work/garb_detl.php?garb_id=25516 (consultato il 10 marzo 2015). Inoltre: Conclusioni nella causa di cospirazione ed attentato contro la sicurezza interna dello Stato nonché di altri misfatti pronunziate innanzi la Gran Corte speciale del Principato Citeriore nelle due tornate de' giorni 13 e 14 gennaio 1852 dal procuratore generale del re Angelo Gabriele, Salerno 1852, pp. 50, 104; A. Alfieri d’Evandro, Della insurrezione nazionale del salernitano del 1860. Pensieri e documenti, Napoli 1861, ad ind.; A. Pizzolurusso, I martiri per la libertà italiana della provincia di Salerno, Salerno 1885, ad ind.; M. Lacava, Cronistoria documentaria della rivoluzione in Basilicata del 1860 e delle cospirazioni che la precedettero, Napoli 1895, ad ind.; B. Giordano, Un cospiratore atinate, Salerno 1899; G. Raccioppi, Storia dei moti di Basilicata e delle province contermini nel 1860, Bari 1909, ad ind.; M. Mazziotti, La rivoluzione del 1820 in provincia di Salerno (1ª parte), in Archivio storico della provincia di Salerno, I (1921), 4, pp. 273-294; L. Giliberti, La Carboneria nel Distretto di Sala Consilina, ibid., III (1923), 4, pp. 325-346; A. Monaco, I galeotti politici napoletani dopo il Quarantotto, II, Roma 1932, ad ind.; F. Franco, La rivoluzione garibaldina del 1860 nel salernitano, Salerno 1959, ad ind.; R. Moscati, Il Vallo di Diano nel ’60, in Rassegna storica salernitana, XXI (1960), 1-4, pp. 53 s.; A. Capone, Giovanni Nicotera e il ‘mito’ di Sapri, Roma 1967, ad ind.; B. Marciano, Salerno nella rivoluzione del 1860, Salerno 1982, ad ind.; M. Mazziotti, La reazione borbonica nel Regno di Napoli, Casalvelino 1993, ad ind.; Id., La rivolta del Cilento nel 1828, Casalvelino Scalo 1994, ad ind.; Garibaldi e garibaldini in provincia di Salerno, a cura di L. Rossi, Salerno 2005, ad ind.; C. Pinto, Crisi, rivoluzione e stabilizzazione delle istituzioni a Salerno (maggio 1860-agosto 1861), in Rassegna storica salernitana, n.s., XXVIII (2011), 2, pp. 183-208; Id., La rivoluzione disciplinata del 1860. Cambio di regime ed élite politiche nel Mezzogiorno italiano, in Contemporanea. Rivista di storia dell’800 e del ’900, XVI (2013), 1, pp. 39-68; M.C. Langone, Unità d’Italia. Il Contributo degli atinati, Atena 2011, ad ind.