MAZZA, Giuseppe Maria
– Nacque a Bologna il 13 maggio 1653 da Camillo, scultore, e da Desideria Piccinini.
Stando al biografo Zanotti (p. 4), il primo apprendistato avvenne tuttavia lontano dalla bottega paterna, svolgendosi presso l’atelier del pittore Domenico Maria Canuti, con il quale il M. studiò la tecnica dell’affresco, cimentandosi molto giovane in un fregio con putti, oggi non più esistente. È questa peraltro l’unica testimonianza di un’attività pittorica del M., la cui carriera si dipanò interamente nell’ambito della scultura. Tra il settimo e l’ottavo decennio frequentò l’accademia del nudo di Carlo Cignani, passando poi in quella che il conte Alessandro Fava, dilettante di pittura, teneva nel suo palazzo bolognese. All’inizio degli anni Settanta soggiornò per un anno a Venezia, dove realizzò alcuni stucchi, perduti, per il coro del convento delle Vergini (Zanotti, p. 5). Entrò quindi nella bottega del pittore Lorenzo Pasinelli, del quale seguì piuttosto pedissequamente lo stile nei primi lavori di una certa importanza. La sua cultura figurativa si colloca pertanto ben presto, e senza subire più oscillazioni significative, nell’orizzonte della tradizione del classicismo pittorico bolognese e in particolare di quello di Guido Reni e di Simone Cantarini (dalle incisioni del quale derivano varie opere di piccole dimensioni), mutuando altresì diversi tratti dallo stile della pittura emiliana dell’ultimo quarto del Seicento. Il M., che lavorò soprattutto come stuccatore, dovette inoltre assorbire gli stimoli provenienti dalla conoscenza del lavoro dei maestri lombardi che, come Abbondio Stazio, diffusero verso la fine del XVII secolo le tipologie di decorazione in stucco nelle dimore nobiliari veneziane (Riccomini, 1967, p. 176).
Al 1675 si data la prima opera firmata del M., un piccolo rilievo in terracotta raffigurante l’Adorazione dei pastori in collezione privata (Id., 1972, fig. 266). All’anno seguente risalgono il cosiddetto Pastore conservato nel Museo del Palazzo di Venezia a Roma (con ogni probabilità uno studio accademico) e il S. Giovannino dormiente in terracotta in collezione privata (ibid., p. 91).
Nel 1681 il M. ottenne un’importante commissione da Bartolomeo Manzoli, ricevendo l’incarico di eseguire gli stucchi per la cappella di famiglia in S. Giacomo Maggiore.
Lo scultore vi rappresentò i santi Bartolomeo, Giuliana Banzi e Niccolino Manzoli, realizzando inoltre due pannelli in rilievo raffiguranti la Comunione di s. Giuliana e la Decapitazione di s. Niccolino, in cui fece largo uso di citazioni (Reni, A. Tiarini) ed enfatizzò il carattere morbido del modellato delle superfici secondo i modi di Pasinelli; dette quindi prova di volersi adeguare rigorosamente ai moduli del classicismo, distribuendo e atteggiando le figure, in particolare nei rilievi, secondo un ordine composto ed equilibrato e cercando il massimo nitore nella leggibilità delle storie rappresentate, elementi questi che non avrebbe mai abbandonato nel corso dell’intera parabola artistica.
Riccomini (1972, p. 36) ha reso noto un bozzetto monocromo (collezione privata) elaborato nello stile di Pasinelli (il cui nome compare nel retro della tela) che costituisce con ogni probabilità il modello per la Decapitazione di s. Niccolino. Secondo lo stesso studioso non è pertanto da escludere che il M. potesse essersi limitato nella circostanza soltanto a tradurre un’invenzione del maestro.
Intorno al 1682 gli fu assegnato dal priore Pietro Mengoli il compito di elaborare un piccolo nucleo di opere destinate alla chiesa di S. Maria Maddalena: egli portò a compimento un S. Pietro in cattedra e un Angelo custode, oggi dispersi, e un Compianto sul Cristo morto, quest’ultimo chiaramente esemplato sui modelli della tradizione emiliana dei due secoli precedenti e stilisticamente molto vicino alle opere realizzate in S. Giacomo Maggiore.
Nel 1687 firmò datandola una Madonna col Bambino in terracotta policroma (Bologna, Pinacoteca nazionale), destinata alla devozione privata, che all’interno della sua produzione costituisce uno dei rari esemplari realizzati con questa tecnica, frequentata soprattutto nel periodo della prima maturità. È riferibile a questo momento anche il rilievo in terracotta con l’Allegoria di Bologna in adorazione della Vergine col Bambino e dei santi protettori della città, conservato presso la Cassa di risparmio di Bologna (Riccomini, 1965, p. 57).
Nei primi mesi del 1688 fu scoperto al pubblico il rinnovato arredo artistico dell’abside della chiesa di S. Giovanni Battista dei Celestini, cui parteciparono Marcantonio Franceschini (pala d’altare), Giovanni Antonio Burrini e Giovanni Enrico Haffner (affreschi della volta), Antonio Orsoni (ancona lignea). In questo contesto il M. realizzò in terracotta i busti di S. Benedetto e S. Scolastica, nonché in stucco, sul fastigio dell’altare, le figure della Fede, della Mansuetudine e i Putti con le insegne dell’Ordine dei celestini. Nello stesso 1688 ricevette i pagamenti per il S. Giovanni Battista e il S. Giuseppe collocati entro nicchie ai lati dell’arcone del presbiterio nella chiesa di S. Cristina.
All’inizio degli anni Novanta si situa la decorazione per l’altare maggiore della chiesa della Madonna di Galliera, smantellata già nel 1739 e di cui rimangono solo i due Angeli posti ai lati dell’altare.
Nello stesso periodo il M. eseguì in stucco i Ss. Francesco e Chiara e il Padre Eterno in gloria e angeli musicanti per la cappella maggiore della chiesa del Corpus Domini. Prese parte, nell’occasione, ai lavori di trasformazione della chiesa cui collaborò anche Franceschini, al quale probabilmente si deve il progetto grafico per le figure dei due santi (Id., 1972, p. 96). Il M. realizzò inoltre, sempre in stucco, due rilievi con l’Orazione nell’orto e il Battesimo di Cristo per la cappella Campagna nella stessa chiesa, nonché una Madonna col Bambino contornata da tondi a rilievo raffiguranti i Misteri del Rosario per la cappella Fontana, quest’ultima opera eseguita verosimilmente nel 1692, data riportata nelle lapidi poste ai lati della medesima cappella.
Ancora nel 1692 modellò in stucco Angeli, Putti e le figure di Mosè e Noè e due figure femminili che reggono l’immagine della Vergine nella cappella maggiore della chiesa della Madonna dei Poveri, collaborando con Giovan Gioseffo Dal Sole, autore degli affreschi nella volta e nei pennacchi, che era stato con lui allievo di Pasinelli.
Nello stesso anno ricevette un invito a soggiornare a Vienna da parte del principe Johann Adam I di Liechtenstein, cui fece seguito un’altra richiesta del committente due anni più tardi: in entrambi i casi il M. declinò l’offerta. Nondimeno, grazie al tramite di Franceschini, all’epoca consulente artistico del principe, il M. ottenne da quest’ultimo numerosi incarichi nel corso dell’ultimo decennio del Seicento.
Egli realizzò infatti, oltre ad alcune urne all’antica decorate con bassorilievi, diverse figure mitologiche in terracotta e in marmo, di cui tuttavia si conservano nel palazzo Liechtenstein a Vienna solo due busti di Venere e Arianna, firmati e datati 1692, e il gruppo con Orfeo e Meleagro, assegnabile al M. per via stilistica e collocabile cronologicamente nello stesso momento (Arfelli, pp. 418-421; Fleming, p. 215).
Al 1693 risalgono due pagamenti per otto Putti in stucco collocati nel vestibolo della biblioteca del convento di S. Domenico a Bologna. Nel settembre del 1696 il M. si trovava a Imola, verosimilmente per mettere in opera i tre sarcofagi in marmo dei santi Proietto, Crisogono e Cassiano collocati nella cripta del duomo (Arfelli, p. 424).
Con ogni probabilità entro l’ultimo decennio del Seicento eseguì anche i quattro tondi in terracotta con Storie di Mosè provenienti da palazzo Marsigli a Bologna (collezione privata: Riccomini, 1972, pp. 99 s.), prossimi sotto il profilo stilistico ai bassorilievi raffiguranti i Misteri del Rosario.
Nel 1704 realizzò su commissione di Camillo (III) Gonzaga conte di Novellara Angeli e putti con i simboli della Passione per la chiesa di S. Stefano a Novellara. Nello stesso anno modellò la Madonna Immacolata contornata di nuvole e angeli in stucco nella cappella di palazzo Grassi a Bologna, affiancando nei lavori il quadraturista Ercole Graziani, con cui si recò anche a Venezia per lavorare in palazzo Correggio. Delle decorazioni in stucco eseguite per la dimora nobiliare veneziana tuttavia nulla rimane. Al 1704 è datata inoltre l’Adorazione dei pastori in bronzo per la chiesa veneziana di S. Clemente in Isola, realizzata in collaborazione con il fonditore Giovan Francesco Alberghetti e con il cesellatore Francesco Marcolini.
Si tratta della prima opera pubblica eseguita per Venezia, che incontrò un successo considerevole. Il rilievo presenta i consueti tratti classicheggianti dello stile del M., prospettando nel mercato della Serenissima un’alternativa forte ai modi ancora radicati della scultura di Giusto Le Court e di Filippo Parodi.
Nel 1705 ricevette pagamenti dalla famiglia veneziana dei Manin per una Venere in marmo, dispersa, celebrata come opera del «Fidia di Bologna» dalla letteratura dell’epoca (in Frank, p. 63 n. 76). Ancora nel 1705 ottenne l’incarico di eseguire un gruppo di sei statue in bronzo raffiguranti i quattro Dottori della Chiesa, S. Sebastiano e S. Rocco, destinate a ornare l’altare maggiore della chiesa veneziana del Redentore; i modelli furono pagati nel febbraio del 1706. Il progetto della decorazione dell’altare fu ampliato l’anno seguente, quando il M. inviò da Bologna gli altri modelli da fondere a Venezia, raffiguranti S. Pietro, S. Paolo e sei Angeli.
Nel frattempo, nel 1706, era stato tra i fondatori dell’Accademia Clementina di Bologna. Ne sarebbe stato direttore nel 1710, nel 1722 e nel 1724, divenendo principe nel 1727.
Nel 1710 delineò in stucco il Padre Eterno circondato da angeli, che sormonta l’altare maggiore nella chiesa del Suffragio di Fano, molto simile al gruppo di identico soggetto scolpito pochi anni prima (verso il 1705) per l’altare maggiore della soppressa chiesa di S. Gabriele delle carmelitane scalze di Bologna e ora nella parrocchiale di Minerbio. A questo periodo è riferibile il gruppo in terracotta dorata con Diana e Endimione (collezione privata: Riccomini, 2001), raro esempio di produzione profana durante la fase discendente della carriera del Mazza.
Il 19 luglio 1716 (Moretti, p. 376) siglò il contratto per la decorazione in bronzo della cappella di S. Domenico in Ss. Giovanni e Paolo a Venezia.
Puglisi (p. 233) ha proposto, condivisibilmente, di correggere l’identificazione tradizionale delle iconografie di alcuni pannelli, che risultava errata nella letteratura precedente. Il M. rappresentò dunque, sulla parete di destra, la Prova del fuoco, la Nascita e il Battesimo di s. Domenico e il Miracolo della moneta, raffigurando invece, sulla parete opposta, S. Domenico esorcizza una donna indemoniata, la Morte del santo e il Miracolo della resurrezione del giovane Napoleone Orsini. Il complesso della decorazione, finanziata da fra’ Giovanni Francesco Gallo, si distingue per uno stile fatto di accentuate simmetrie nell’organizzazione delle scene e di una scansione assai equilibrata dei gruppi di figure. Il M. lavorò attivamente almeno fino al 1725 alla messa in opera dei rilievi. Sebbene fosse tornato stabilmente a Bologna poco dopo il 1719, continuò a soggiornare saltuariamente a Venezia per controllare le fusioni. I lavori di realizzazione dei pannelli durarono comunque fino al 1735, quando cinque dei sei riquadri erano stati collocati. Il sesto, il Miracolo della moneta, creò diversi problemi nella fusione e fu definitivamente rimpiazzato nel 1770 da un rilievo in legno dipinto, esemplato sul modello dell’artista (Puglisi, p. 237).
Probabilmente poco oltre la metà del secondo decennio (Magani, p. 73), il M. realizzò per i Widmann un gruppo di medaglioni in stucco sorretti da putti e raffiguranti le Arti liberali, collocati come sopraporte in tre stanze del piano nobile del palazzo veneziano (Widmann-Rezzonico) della famiglia.
Nel 1722 compì un breve viaggio a Roma. Secondo quanto testimonia Zanotti (p. 11), vi fu accolto dallo scultore Camillo Rusconi e dal cardinale Angelo Gabriele Gautieri, che possedeva un suo rilievo con il Giudizio di Paride (Riccomini, 1972, p. 35). Nell’estate dello stesso anno eseguì quattro Profeti in stucco per il duomo di Foligno, per i quali aveva ricevuto la commissione nel settembre del 1721.
Verso il 1724 dovrebbe essere collocata la decorazione a stucco dell’altare maggiore dell’oratorio della Concezione a Crevalcore, in cui il M. ripeté sostanzialmente lo schema e le figure impiegati molti anni prima nella chiesa bolognese della Madonna dei Poveri (Angeli, Putti, Mosè e Noè). Tra il 1728 e l’anno successivo, come documentano le carte dei pagamenti (Fleming, p. 214), realizzò le Virtù cardinali che contornano l’iscrizione dedicatoria a Benedetto XIII nell’interno di S. Domenico a Bologna, ultimo incarico importante della sua carriera nella città natale.
Nella prima metà del quarto decennio eseguì gli Evangelisti per S. Domenico a Modena; mentre al 1735 è datato e siglato l’Apollo del Museo Davia Bargellini di Bologna.
La scultura, esempio estremo di un classicismo costantemente praticato dal M., è probabile pendant della Cerere delle Collezioni comunali d’arte di Bologna (Riccomini, 1972, pp. 113 s.). In questo torno di anni deve essere posto anche il bassorilievo in terracotta raffigurante S. Antonio orante di fronte alla Madonna col Bambino della Pinacoteca nazionale di Bologna.
Il M. morì a Bologna il 10 giugno 1741, come riportano gli atti dell’Accademia Clementina (Id., 1965, p. 53).
Fonti e Bibl.: G. Zanotti, Storia dell’Acc. Clementina di Bologna, II, Bologna 1739, libro III, pp. 3-14; A. Arfelli, Lettere inedite dello scultore G.M. M. ai suoi corrispondenti, in L’Archiginnasio, XXIX (1934), pp. 416-434; J. Fleming, G. M., in The Connoisseur, CXLVIII (1961), 597, pp. 206-215; E. Riccomini, G.M. M., in Mostra della scultura bolognese del Settecento, a cura di E. Riccomini, Bologna 1965, pp. 45-69; Id., Opere veneziane di G.M. M., in Arte veneta, XXI (1967), pp. 173-184; Id., Ordine e vaghezza. Sculture in Emilia nell’età barocca, Bologna 1972, pp. 34-41, 90-115, 131-133; S. Baldini - G. Bilancioni, Architettura e scultura nella chiesa del Suffragio di Fano: influsso della cultura plastico-figurativa di G. M., Fano 1982, pp. 10, 13; L. Moretti, Notizie e appunti su G.B. Piazzetta, alcuni piazzetteschi e G.B. Tiepolo, in Atti dell’Ist. veneto di scienze, lettere ed arti, CXLIII (1984-85), pp. 376 s., nn. 2, 4 s., 10-13; G. Vio, Precisazioni sull’altare maggiore nella chiesa del Redentore a Venezia e su Tommaso Rues (e un cenno sui Marengo), in Arte veneta, XXXIX (1985), p. 206; C. Puglisi, The cappella di S. Domenico in Ss. Giovanni e Paolo, Venice, ibid., XL (1986), pp. 233-237; F. Magani, Il collezionismo e la committenza artistica della famiglia Widmann, Venezia 1989, pp. 72-74; M. Frank, Virtù e fortuna. Il mecenatismo e le committenze artistiche della famiglia Manin tra Friuli e Venezia nel XVII e XVIII secolo, Venezia 1996, pp. 63, 143; A. Bacchi, La scultura a Venezia da Sansovino a Canova, Milano 2000, pp. 759 s.; E. Riccomini, G.M. M.: Diana e Endimione (catal.), Bologna 2001; A. Bornia, L’opera di G.M. M. a palazzo Widmann-Rezzonico in Venezia, tesi di laurea, Università Iuav di Venezia, facoltà di architettura, a.a. 2006-07; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXIV, p. 304; The Dictionary of art, XX, pp. 902 s.