GUIDELLI, Giuseppe Maria
Nacque a Modena il 29 ag. 1833 dai conti Carlo e Giovanna Ferrari Moreni. Il padre, discendente dalla famiglia dei conti Guidi, signori del Casentino e proprietari nella prima metà del Duecento di numerosi castelli turriti, era stato guardia nobile dell'arciduca Ferdinando d'Austria, podestà di Nonantola e poi di Montefiorino.
Dal padre, che era ben introdotto negli ambienti della corte modenese, il G. ricevette un'educazione di stampo decisamente legittimista e una religiosità intransigente; a rafforzare la sua posizione sociale contribuì un precoce matrimonio, celebrato il 2 giugno 1853 con la nobildonna Teresa Cavazzoni Pederzini (da cui ebbe due figli: Elisabetta, andata poi in sposa al marchese Taddeo Cattani, e Pier Giovanni). Intanto per volere del padre era entrato nel seminario modenese ed era poi passato all'Università di Modena come studente di giurisprudenza: conseguita la laurea (1853), oltre a ricoprire incarichi onorifici (tra l'altro, quello di guardia nobile del duca Francesco V), nel 1856 fu nominato "conservatore di reggenza" della Comunità di Modena.
L'anno 1859 segnò una svolta nella vita del G. che, persa prematuramente la moglie, decise di seguire compiutamente quella vocazione che già in gioventù lo aveva indotto a farsi socio attivo della Pia Unione di S. Vincenzo de' Paoli. Fu ordinato sacerdote il 2 giugno 1860, in un momento in cui a Modena esplodeva l'anticlericalismo, e non impiegò molto a meritare onori e uffici molto delicati nella Chiesa modenese, come esaminatore prosinodale, vicegerente della curia episcopale (10 sett. 1869) e, alla morte dell'arcivescovo F.E. Cugini (22 genn. 1872), vicario capitolare. Più che un pastore d'anime (non resse mai una parrocchia), il G. era un uomo di preghiera, dedito all'insegnamento in quello stesso seminario nel quale aveva compiuto gli studi teologici.
Preconizzato arcivescovo di Modena nel concistoro del 6 maggio 1872, il G. fu consacrato il 12 maggio in Roma nella chiesa di S. Apollinare dal cardinale C. Patrizi. Quando prese possesso della diocesi modenese fu accolto con calore da tutta la popolazione (benché a taluni facesse un po' effetto il sapere che era stato sposo e padre di due figli, che in pubblico lo chiamavano "zio" per non turbare le persone più semplici), ma non dalle autorità che ignorarono l'evento. Ciò attirò sul Municipio cittadino, accusato di non avergli tributato gli onori dovuti, l'aspra polemica de Il Diritto cattolico, organo dei clericali modenesi, e non fu un caso che il G. ottenne l'exequatur governativo solo otto anni dopo la consacrazione e che nei primi tempi del suo episcopato dovette risiedere nel palazzo paterno.
Pur non immemore del suo passato e delle origini nobiliari (in ogni suo documento ufficiale si qualificava "dei Conti Guidi, patrizio di Modena e di Carpi"), il G. improntò i diciassette anni del suo episcopato alla carità e all'amore verso il prossimo e il ricordo che lasciò fu di "uno di quegli esseri eletti, che passano nel mondo, senza sapere che cosa sia il male" (Rabetti, p. 188). Per opera sua furono restituiti in una sola volta pegni per 4000 lire.
Al tema della carità, che per lui era il vero rimedio alla povertà e ai problemi sociali, il G. dedicò un'intera lettera pastorale, quella del 15 dic. 1873, ritornandovi poi in più occasioni per ribadire che la fede doveva sostanziarsi di azioni caritative. Nelle sue lettere pastorali era ricorrente il tema della fede, messa in pericolo dal "secolo miscredente ed iniquo" in una società in cui i giovani si abbandonavano al "lurido vizio dell'impudicizia" e alla "moda procace".
Sensibilità inoltre aveva manifestato per il problema della povertà su cui aveva incentrato il proprio intervento in occasione del quinto congresso cattolico italiano, tenutosi proprio a Modena nel 1879. Nel suo discorso appassionato, dopo aver sottolineato che il clero non era in grado di "soddisfare ai gravi bisogni dei poverelli", sollecitava il laicato a "rivolgere lo sguardo pietoso ad una classe di poveri che deve attirare tutte le amorevoli cure della cristiana carità". E proseguiva: "È questa la classe degli operai, senza loro colpa privi di lavoro […]. Se per poco si prolunghi questo stato di patimenti e di abbandono, l'artigiano senza lavoro è tentato di darsi in braccio alla disperazione; e se non lo sorregge la carità di Cristo […] o si toglierà la vita con orrendo misfatto, o diverrà apostata, accogliendo le lusinghiere profferte dei protestanti, o si ascriverà a quelle terribili associazioni, che dal socialismo e dall'internazionalismo prendono il nome".
Comunque per il G. la povertà era un dato di natura che non si poteva eliminare, come pure le differenze sociali. Nella lettera pastorale del 15 nov. 1873 affermò: "Il Signore ha fatto i ricchi, i quali abbondano dei beni della terra, e ha fatto i poveri che ne penuriano, affinché tale disuguaglianza di partenza fosse nuovo miracolo di congiunzione unito a quello di egual natura". Egli quindi non si sforzò di capire i rapporti tra le classi e le cause sociali della grande povertà, che nella sua arcidiocesi era diffusissima segnatamente tra i braccianti, i quali, oppressi dalla miseria e da malattie quali la pellagra, il rachitismo e la tubercolosi, mostravano la più totale indifferenza verso l'istruzione non mandando a scuola i propri figli. Nella sola Modena ai tempi dell'episcopato guidelliano gli analfabeti costituivano il 53 per cento della popolazione mentre in provincia si giungeva al 72 per cento.
Se però il presule non riuscì a comprendere le problematiche sociali del suo tempo colse tutta intera l'importanza della diffusione della cultura. A suo merito vanno ascritte l'istituzione dell'Accademia di filosofia e di teologia di S. Tommaso d'Aquino, che tanto concorse al rinnovamento degli studi tomistici, e la promozione di importanti restauri nella cripta e nell'abside del duomo. Inoltre fu grazie al suo interessamento se furono fondati nuovi istituti religiosi, quali il collegio S. Giuseppe per i ragazzi poveri e l'istituto Spinelli, una scuola che di giorno accoglieva i ragazzi di famiglie benestanti e di sera quelli appartenenti ai ceti più disagiati.
Nel 1889 il G. rinunciò all'episcopato preferendo "ai contrasti la quiete della sua famiglia, allietata dalle nipotine, figlie della sua figlia". Il 24 maggio il papa Leone XIII, preso atto delle precarie condizioni di salute, accolse le sue dimissioni e lo nominò arcivescovo titolare di Mira in Asia Minore.
Il G. morì povero l'8 maggio 1899, a Modena.
Anche il giornale dei liberali, Il Panaro, che pure non era mai stato tenero con lui, ebbe a scrivere: "Anima pia e virtuosa, cuore tenero e caritatevole, esercitò il suo ministero sempre accompagnato dalle benedizioni dei poveri per la sua beneficenza che giungeva fino al più grande e commovente sagrificio di sé stesso, e dalla stima ammirata dei cittadini di ogni classe e di ogni pensiero" (10 maggio 1899). Il 12 maggio 1924, per volontà dell'arcivescovo N. Bruni, la salma fu traslata dal cimitero di S. Cataldo alla cripta sotto l'altare maggiore nel duomo di Modena.
Opere a stampa: G.M. Guidelli, Lettera pastorale al clero ed al popolo delle sue diocesi, Modena 1889; Id., Il sacerdote fervoroso ai piedi del s. altare, ibid. 1890.
Fonti e Bibl.: Modena, Arch. stor. comunale, Registro dei nati della città di Modena dal 1° genn. 1830 a tutto il 31 dic. 1836, p. 117; L. Grossi, Orazione recitata nel duomo di Modena sopra la salma di mons. arcivescovo conte G.M. G. dei conti Guidi il 12 maggio 1899, Modena 1899; Il Diritto cattolico, 9 e 10 maggio 1899; 16 marzo 1901; A. Sassi, XII maggio 1924 (nel 25° della morte di mons. G.M. G.), Modena 1924; A. Rabetti, Modena d'una volta, Modena 1936, pp. 188 ss.; G. Pistoni, Il seminario metropolitano di Modena. Notizie e documenti, Modena 1953, pp. 123-126; F. Focherini, Cattolici ed anticlericali a Modena (1859-1900), Bologna 1965, pp. 67 s.; M. Guidelli Guidi, I Guidi, ramo di Modena dei Guidelli…, Modena 1967, pp. 40-42; G. Silingardi, Don Luigi Della Valle. La testimonianza delle opere, Modena 1970, p. 51; A. Barbieri, Modenesi da ricordare. Ecclesiastici, Modena 1969, p. 38; A. Barbieri - G. Silingardi, Cattolicesimo e cattolici a Modena, Modena 1984, p. 140; Lettere pastorali dei vescovi dell'Emilia Romagna, a cura di D. Menozzi, Genova 1986, pp. 235-237; G. Silingardi - A. Barbieri, Enc. modenese, X, San Pietro in Cariano 1996, pp. 100 s.; L. Paganelli, Quel 1891. Chiesa e società a Modena e la Rerum novarum (1860-1900), Modena 1991, pp. 69 ss.; L. Paganelli - M. Rodolfi, Le origini della cooperazione cattolica e la Rerum novarum a Modena 1875-1900, Modena 1992, pp. 155-158; A. Barbieri - G. Silingardi, Da mons. G. a mons. Borgognoni, in A. Barbieri - A. Leonelli - G. Montanari, Storia dell'arcidiocesi di Modena-Nonantola, II, Modena 1997, pp. 148 s.; R. Ritzler - P. Sefrin, Hierarchia catholica…, VIII, Patavii 1978, pp. 398 s.