GALATERI, Giuseppe Maria Gabriele
Nacque a Savigliano (Cuneo) il 29 apr. 1761, quintogenito - secondo dei maschi - del conte Annibale Nicolò e della contessa Bona Paola Fontanella di Baldissero. Il padre era signore di Genola e Suniglia: il titolo comitale, di cui i Galateri si fregiavano dal 1625, non era stato confermato dal sovrano al nonno di Gabriele (questo il prenome con cui il G. sarà per lo più chiamato e si chiamerà egli stesso, fatta eccezione per il periodo russo, quando preferirà quello di Giuseppe), in quanto la famiglia aveva alienato sul finire del Seicento troppe terre del feudo di Genola. Mentre il fratello maggiore Carlo si laureò in diritto, il G. fu avviato alla carriera militare.
Quando sul finire del 1798 i Savoia abbandonarono il Piemonte, il G. non li seguì e, stando a una frase inclusa soltanto nell'ultimo suo stato "dei servizi prestati tanto nello Stato quanto all'estero", prese parte alla "campagna di Verona nel 1799 coi Francesi di pochi mesi". In quello stesso anno, si ignora in quali circostanze, diventò "le premier officier piémontais qui combattit sous les drapeaux Russes", militando in Italia ("è tradizione" - riferirà C. Turletti - che entrasse in Savigliano "a cavaliere di un cannone colla miccia alla mano per isbarazzare la città dei Giacobini e dei Francesi") e in Svizzera agli ordini del generale russo A.V. Suvorov, il quale gli fece anche ottenere dal re di Sardegna la promozione a maggiore e la croce dell'Ordine mauriziano.
Nel 1800 il G. si recò a San Pietroburgo, dove conobbe la moglie di un tenente degli ussari, Anna Ivanovna Černeeva, che - appartenente a una famiglia della piccola nobiltà, più giovane di circa quindici anni - nel 1801 gli diede un figlio, Giuseppe, che prese il cognome di Suniglia. A partire dal 1802 il G., insieme con un altro ex ufficiale piemontese, ricevette dal governo russo una pensione annuale di 1500 rubli "afin de recompenser leur services et les pertes qu'ils ont faites dans leur patrie" (lettera del principe P. Dolgorovski del 1° nov. 1802).
Nel 1803 riuscì a ottenere dal segretario di Stato sardo un certificato che attestava che "la famille de Monsieur le Chevalier Joseph de Galaté" era "une des nobles et anciennes familles de Piémont, decorée du titre comital" e che il G., "étant devenu le chef soit aîné de sa famille" (in realtà Carlo, il signore di Genola, era ancora vivo), poteva "jouir des honneurs, privilèges et prérogatives de Comte". Nell'ottobre 1805 prese parte alla campagna di Germania distinguendosi negli scontri di Ems ed Ettingen, dove fu anche ferito: nel gennaio successivo fu promosso per merito tenente colonnello e ottenne la croce di cavaliere dell'Ordine di S. Vladimiro.
Alla morte del marito di Anna, nell'agosto del 1806 il G. la sposò con rito sia ortodosso sia cattolico, avendone due anni più tardi un secondo figlio, Pietro. Il matrimonio permise anche di legittimare Giuseppe. Nel suo radicamento in terra russa il G. continuava comunque a incontrare difficoltà, tanto che nell'ottobre di quell'anno presentò al governo, anche a nome di altri ex ufficiali piemontesi, il progetto di una spedizione navale nell'alto Tirreno per rifornire di armi e munizioni gli insorti che combattevano "un ennemi dangereux et perfide" come Napoleone.
Pochi mesi più tardi il G. fu aggregato a una spedizione navale, ma contro i Turchi: nel marzo 1807 contribuì alla presa della fortezza di Tenedo e nei mesi seguenti si segnalò per "son courage et sa bravoure" nelle battaglie navali presso i Dardanelli e Montesanto; l'anno dopo, alla testa dell'avanguardia del corpo d'armata del generale M. Barclay de Tolly, partecipò alla campagna contro gli Svedesi. Nel novembre 1810 fu promosso per anzianità colonnello. Nel 1812 poté finalmente tornare a combattere contro l'odiato Napoleone: colonnello dello stato maggiore, in autunno si distinse negli scontri in Livonia e in Curlandia, ottenendo la nomina a general maggiore (dicembre 1812) "per aver essenzialmente contribuito alla defezione" del generale prussiano D. Yorck dal campo francese. Nel corso del 1813 comandò "un corps volant composé d'un régiment de Bashkir et de trois des Cosaques de Don".
A Lipsia fu alla testa di una brigata di dragoni e di una compagnia di artiglieria a cavallo. Dopo aver preso parte all'assedio di Marburgo, nel 1814 combatté a Reims, Soissons, Laon e Saint-Dizier. Una volta entrato a Parigi (ricevette una "sciabola in oro guarnita in brillanti all'iscrizione al valore" e due medaglie per le campagne del 1812 e del 1814), tentò di ritornare al servizio del re di Sardegna, riuscendovi soltanto nell'ottobre del 1816 quando fu riammesso nell'armata piemontese con il grado di maggior generale di cavalleria. Nel marzo del 1817 ebbe il comando della divisione di Nizza; due mesi più tardi gli fu convalidata "in autentica maniera la comessione del titolo di Conte […] acciò egli possa anche trasmetterlo alla sua discendenza mascolina".
Nel 1818 il G., a disagio in un esercito sardo condizionato dagli ex napoleonici, facendo leva sull'amico barone Maxence de Damas, che era stato anch'egli in Russia e che allora comandava la divisione di Marsiglia, tentò invano di passare al servizio della Francia. Rimosso nel 1819 dall'incarico a Nizza, divenne l'anno seguente ispettore della fanteria. Nel 1821 tentò, senza alcun risultato, di opporsi alla rivoluzione. La scelta reazionaria non gli impedì comunque di dare asilo nel suo palazzo ad Angelo Brofferio, figlio del suo medico e compromesso nei moti. Carlo Felice lo chiamò, in maggio, a presiedere il consiglio di guerra della divisione di Torino e l'anno seguente a far parte della commissione incaricata di compilare un nuovo codice penale militare e un nuovo regolamento di disciplina.
Governatore e comandante della divisione di Cuneo dal 1822 al 1824, fu trasferito con i medesimi poteri ad Alessandria, dove rimase - di fatto dal 1835 solo nominalmente - fino al 1838, quando divenne ispettore generale di fanteria e cavalleria. Nel 1830 fu promosso luogotenente generale e nel 1832 generale di cavalleria. Nel 1833 il G., che era sempre stato molto attento ai problemi dell'ordine pubblico, si distinse per efficacia e mancanza di scrupoli - sia pure non nella misura consegnata alla leggenda diffusa, tra gli altri, da G. Mazzini - nella repressione di una congiura della Giovine Italia, che aveva fatto breccia nelle file dell'esercito (Carlo Alberto dirà di lui, secondo il Pinelli, che era "un fou, mais un fou utile"): furono condannati a morte cinque sottufficiali e il causidico Andrea Vochieri e il G. premiato quell'anno stesso con l'Ordine supremo della Ss. Annunziata.
Morì nella sua villa di Braidabella (Savigliano) il 20 genn. 1844.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Torino, Arch. Galateri di Genola, mazzi 1, 3, 4; Torino, Biblioteca reale, Storia patria, 951: P. Galateri, Héroisme et génie (1840); A. Manno, Il patriziato subalpino, XI, pp. 40 s.; G. Mazzini, Sulle condizioni e sull'avvenire d'Italia (1839), in Scritti polit. editi ed ined., VIII, p. 188; A. Brofferio, Storia del Piemonte dal 1814 ai giorni nostri, Torino 1850, pp. 47-55, 165-174; F.A. Pinelli, Storia milit. del Piemonte, Torino 1854-55, II, pp. 113, 387; III, p. 45 n. 2; A. Brofferio, I miei tempi, XIII, Torino 1860, pp. 168-185; C. Turletti, Storia di Savigliano, III, Savigliano 1888, pp. 756-760; L. Sauli d'Igliano, Reminiscenze della propria vita, II, Roma 1909, p. 248; M. Baralis, Una leggenda atroce. Il generale G.M. G. e la sua condotta in Alessandria nel 1833, in Il Risorgimento ital., n.s., XI-XII (1918-19), pp. 171-208, 265-324; A. Luzio, Carlo Alberto e Giuseppe Mazzini, Torino 1923, pp. 157-164; F. Gasparolo, Le carte alessandrine del governatorato di G. G. (1824-1838), in Rivista di storia, arte e archeol. per la prov. di Alessandria, XXXVI-XXXVII (1927-28), pp. 1-251; E. Passamonti, Nuova luce sui processi del 1833 in Piemonte, Firenze 1930, ad ind.; P. Pieri, Storia milit. del Risorgimento, Torino 1962, pp. 137 s.; Il processo di Andrea Vochieri, Alessandria 1983; N. Nada, Il Piemonte sabaudo dal 1814 al 1861, in Storia d'Italia (UTET), VIII, Il Piemonte sabaudo, t. 2, Torino 1993, p. 202; Enc. Ital., XVI, p. 259; M. Rosi, Diz. del Risorgimento nazionale, III, p. 164.