ERCOLANI, Giuseppe Maria
Nacque a Pergola (prov. Pesaro e Urbino) il 20 giugno 1672 da Agostino, marchese di Fornovo e Rocca Lanzona, e da Bianca Vincenti, nobile anconitana. Compì i primi studi a Senigallia, completando poi la propria formazione a Urbino e a Roma, dove si laureò in giurisprudenza.
Abbracciato lo stato ecclesiastico, divenne prelato referendario delle due Segnature e "segretario del piombo alle bolle"; nel contempo coltivava svariati interessi culturali, tanto da essere ricordato come poeta, geografo, teologo, architetto dilettante e matematico. Iniziata la carriera pubblica, nel 1719 fu rettore o governatore generale della Sabina. Dal 1721 al '25 fu il sessantatreesimo governatore prelato di Fabriano; uguale carica ricoprì anche a Benevento. L'E. amministrò anche varie altre città dello Stato della Chiesa.
Nel campo dell'architettura il suo primo progetto noto è quello di un edificio a pianta triangolare, ispirato al nuovo stemma della romana Accademia di S. Luca adottato nel 1705 e da destinarsi a sede di un'accademia delle arti, redatto dall'E. nel 1708 e donato alla suddetta Accademia (disegno pubbl. in Marconi-Cipriani-Valeriani, 1974; cfr. anche W. Oechslin, in Barocco europeo, barocco italiano, barocco salentino, Atti del Congr. internaz. sul barocco, Lecce 1969, figg. n.n.).
Il disegno, in due tavole, è corredato da due piante, uno spaccato e un prospetto in "angolo". Il triangolo equilatero della pianta reca in ciascun vertice sale circolari; il centro triangolare dell'edificio ospita una cappella anch'essa a pianta circolare, sovrastata da cupola con grande lanterna. La cupola con perimetro esagonale mostra una struttura a nervature incrociate di schietta impronta guariniana.
L'E. aveva redatto tale progetto appoggiandosi tematicamente al concorso Clementino per la prima classe dell'architettura del 1708, i cui partecipanti avevano ricevuto il compito di progettare una "fabbrica da costruirsi in una città per l'uso dell'Accademia del disegno"; l'E., pur non avendo preso parte ufficialmente alla competizione, presentò ugualmente il suo progetto a titolo personale, regalandolo all'Accademia. Tra i documenti dell'Archivio storico dell'Accademia di S. Luca non risulta che fosse mai eletto accademico d'onore, come invece attesterebbe una nota apposta al disegno con prospetto e sezione del progetto del 1708 (cfr. Marconi-Cipriani-Valeriani, 1974, n. 2140; cfr. anche Munschower, 1981).
La più importante occasione per dispiegare le proprie conoscenze e dar prova delle sue capacità in campo architettonico-urbanistico, solo uno dei tanti settori indagati dal suo versatile ingegno, si presentò all'E. nel 1746, allorché fu decisa la prima "ampliazione" di Senigallia, città in cui, durante i primi decenni del sec. XVIII, si andava registrando un considerevole incremento demografico insieme con una consistente crescita economicocommerciale. Benedetto XIV era salito al soglio pontificio da sei anni, quando si chiese una riforma urbanistica della città marchigiana. Il pontefice, dopo aver ricevuto una relazione del cardinale Iacopo Oddi, legato di Urbino dal 1743, con chirografo del 5 maggio 1746 si rivolse all'E., il quale gli fece conoscere il progetto, che consisteva, previo abbattimento di alcuni tratti delle mura, nell'allargamento della strada Maggiore (tronco urbano della via Flaminia, o corso, oggi via 2 giugno) e nel suo prolungamento oltre il fiume Misa fino ad una nuova porta civica, nella demolizione dell'antico quartiere del porto e nell'erezione di una cortina di palazzi porticati lungo il Misa e sulla lista delle vecchie mura.
L'E. ebbe poi l'incarico di redigere il progetto urbanistico in qualità di sopraintendente generale dell'impresa.
Dal punto di vista architettonico, momento centrale della trasformazione settecentesca di Senigallia fu il progetto della palazzata a portici lungo il fiume; i tre edifici, da costruirsi in laterizio, dovevano essere dotati di cinquantatré arcate in facciata e sei laterali, tutte in pietra d'Istria, con funzione di passeggio coperto e sede di esercizi commerciali.
Per l'esecuzione architettonica di quelli che poi furono chiamati portici Ercolani, da più parti si riporta il nome di Alessandro Rossi, un architetto di Osimo: la questione dei ruoli dell'E. e del Rossi risulta a tutt'oggi non chiarita (Taus, 1989, p. 67). Nel 1769 su parere di Filippo Marchionni, architetto anconitano, per il proseguimento dei portici Ercolani, quelli che venivano cioè a trovarsi compresi nell'area della seconda "ampliazione" della città decretata nel 1759, si adottò un andamento del fronte palazzato in linea spezzata rispetto ai tre edifici già eretti in gran parte tra il 1746 e il '50, ancora all'interno del primo ampliamento di Senigallia.
In tutto i portici sono costituiti da sei blocchi. Gli ultimi tre porticati a occidente furono eretti in un arco di oltre cinquant'anni: il quarto porticato, palazzo Monti, e il quinto, palazzo Benedetti, furono iniziati dopo il 1777 e compiuti intorno all'80; nel 1805 l'architetto Pietro Ghinelli curò il progetto del sesto porticato, in origine palazzo Micciarelli, terminato nel 1835. Anche nei tre porticati più recenti non ci si discostò dal partito architettonico dei primi tre.
Sempre all'E. e ad A. Rossi si deve l'elegante porta Lambertina, inaugurata il 3 genn. 1750, detta porta Fano, tutta in pietra d'Istria, al termine di quella che fu chiamata strada Granda, attuale via Carducci: l'E. è ricordato in una delle due lapidi apposte alla porta.
Indipendentemente dal ruolo del Rossi, i portici Ercolani nella loro asciutta e rigorosa veste architettonica possono considerarsi opera che preannuncia il neoclassicismo; infatti la posizione espressa dall'E. nel suo scritto in campo architettonico più importante è già a favore di una energica reazione antibarocca. Di ciò si coglie testimonianza nella prefazione al suo trattato I tre ordini d'architettura dorico, jonico, e corintio. Presi dalle fabbriche più celebri dell'antica Roma, e posti in uso con un nuovo esattissimo metodo; in essa l'E. affermava che, "vedendo ogni di più in disordine la vera antica Architettura per tante licenze, colle quali la difformano non pochi moderni Professori, ho risoluto formare il presente Trattato, per riparare, se sia possibile, il suo deplorabile abuso". Anche in Descrizione del Colosseo romano del Panteo e del tempio vaticano (Ancona 1763), pubblicato per la prima volta nel 1744 insieme col trattato sugli ordini, diede prova di puntuale conoscenza di monumenti antichi e moderni. L'E. firmò ambedue i trattati con il nome arcadico Neralco P. A. (Pastore Arcadico).
L'E. morì a Roma il 22 apr. 1759 e fu sepolto in S. Salvatore in Lauro, la chiesa dei Piceni; la lapide della sua sepoltura ne ricorda i meriti come giurista e poeta.
Dopo che l'ingresso nella carriera ecclesiastica e la residenza a Roma gli permisero di stabilire contatti con gli ambienti letterati della città l'E. si dedicò con continuità alle lettere e in modo particolare alla poesia.
Pare impossibile ascrivergli una Vita delle più illustri romite sagre (Venezia 1688) sulla sola base della generica attribuzione del Moroni (XCIII, p. 322) ad un Ercolani senza la specificazione del nome.
La produzione poetica dell'E. è in massima parte all'insegna del culto mariano, cui il prelato tributò una costante devozione. Poesie dedicate alla Vergine furono impresse, a sua insaputa, nei tomi V (Roma [1717], pp. 335-354) e VII (ibid. 1717, pp. 283-290) delle Rime degli Arcadi ed altre postume nel tomo XII (Roma 1759, pp. 174-87). Suoi componimenti figurano inoltre in varie raccolte dell'Accademia, di cui l'E. fu membro con il nome arcadico di Neralco Castrimeniano: Corona poetica offerta dagli Arcadi l'anno MDCCXIX alla sacra immagine di S. Maria in Cosmedin, in Rime degli Arcadi, IX, Roma 1722, p. 87; Rime degli Arcadi sulla natività di nostro Signore Gesù Cristo, Roma 1744, pp. 57-62, 131; Rime degli Arcadi in onore della Gran Madre di Dio, Roma 1760, pp. 112-128. Questa produzione fu raccolta dall'autore in due volumetti sobriamente intitolati Maria. Rime di Neralco P. A., usciti a Padova nel 1724-1728.
La silloge presenta un'architettura molto precisa. Le rime sono suddivise in sezioni dedicate ai vari momenti della vita della Vergine e ai temi spirituali ad essi collegati: dalla Predestinata Madre di Dio e sua purissima concezione alla Cagione della creazione del mondo e sua vittoria sopra l'antico serpente a Sopra i dolori e morte del Figlio ecc. Due proemi in rime aprono i due volumi mentre tre canzoni "compagne" concludono il primo e una corona di quindici sonetti il secondo. Fa da corredo un Indice con le annotazioni dell'autore, che illustra scrupolosamente i luoghi delle Scritture a cui sono ispirati i componimenti.
Particolarmente esemplari degli orientamenti dell'E. sono le tre canzoni in chiusura del primo tomo, "Perché tu fosti quella"; "Donna, immortale io veggio"; "Poiché per mia ventura", modellate sulle canzoni LXXI ("Perché la vita è breve"), LXXII ("Gentil mia donna i' veggio"), LXXIII ("Poi che per mio destino") del Canzoniere di Petrarca, dette "le tre sorelle", che contengono la celebrazione di Laura attraverso gli occhi. L'E., oltre ad accogliere e svolgere in chiave esplicitamente cristiana il tema petrarchesco dell'amore spiritualizzato, tenta un fedele calco delle strutture melodiche degli esempi. Viene così ripreso non solo il prestigioso schema metrico della canzone petrarchesca ma anche il giro sintattico, alcune rime e parole rima, l'interpunzione, figure, sintagmi isolati e intere frasi, nel tentativo di riprodurre fedelmente la musica del verso petrarchesco in quello che ai contemporanei dovette sembrare un esercizio di eccezionale maestria. Le Rime dell'E. ebbero infatti un cospicuo successo editoriale: alla loro apparizione furono recensite sul Giornale de' letterati d'Italia (XXXVI [1724], pp. 384 s.) e sulle Novelle della Repubblica letteraria di Venezia (I [1729], p. 14); fino al 1781 contarono almeno altre sei edizioni, a cui va aggiunta una ottocentesca (Rime sacre, Roma 1834), comprendente anche le poesie edite postume. Lo scrupoloso ossequio dei dettami della nuova poetica arcadica fece dell'E. uno dei fautori più autorevoli ed apprezzati del nuovo gusto letterario. I suoi versi calibratissimi, in una lingua depurata da coloriture trasgressive in ossequio ai canoni di un rigoroso purismo toscaneggiante, piacquero ai revisori del Vocabolario della Crusca, che per la nuova edizione varata nel 1786 inclusero l'E. tra gli autori da citare.
Di questo indirizzo poetico rende eloquente testimonianza la Sulamitide, "sagra boschereccia", apparsa in un'elegante edizione romana nel 1732 e numerose volte ristampata nel corso del secolo. Nel Cantico dei cantici dell'AnticoTestamento, di cui l'opera è un adattamento, l'E. intravede un archetipo della moderna poesia pastorale e con indubbia felicità d'ispirazione rielabora l'originale in una tragicommedia in cinque atti, in sonori endecasillabi sdruccioli, corredati da cori. Naturalmente la vicenda di Sulamitide, la bellissima figlia del re d'Egitto sposa di Salomone che, odiata dai Giudei, si ritira nei giardini reali fuori di Gerusalemme conducendo vita da pastora finché le sue virtù vengono riconosciute ed è accolta come regina, contiene per l'E. una precisa allegoria neotestamentaria: Sulamitide adombra Maria assunta e coronata in cielo.
Il medesimo tema ricorre nel componimento sacro per musica (di G. Carpani) Per la festività dell'Assunzione di Maria Vergine (Roma 1740), in cui appare anche un azzimato e ingentilito Lucifero, costretto a ritirarsi nelle plaghe infernali mentre la Vergine assurge in cielo tra i cori dei beati. Insieme con un meno felice oratorio intitolato ad Ester (rappresentato ad Ancona, 1723) e musicato da P. Bellinzoni sarebbe l'uffica poesia dell'E. destinata alla recitazione.
La militanza nell'Arcadia valse all'E. dopo la morte, su proposta del cardinale G. F. Albani, una lapide con effigie nel Bosco Parrasio a Roma, onore concesso in precedenza al solo F. Redi. Il nome dell'E. tuttavia è legato piuttosto all'attività della romana Accademia degli Infecondi, di cui fu principe dal 1735 fino alla morte.
Questa Accademia esisteva a Roma dal 1613 e dal suo ceppo si diramarono nel 1688 quella del Platano, nel 1694 quella dei Pellegrini, nonché nel 1690 la stessa Arcadia, i cui principali fondatori (G. M. Crescimbeni, G. B. F. Zappi, G. V. Gravina, V. Leonio ecc.) erano stati Infecondi. Spentasi nel 1714 a causa della supremazia dell'Arcadia, l'Accademia degli Infecondi riaprì i battenti il 1º sett. 1734 per iniziativa di alcuni prelati romani, tra cui l'E., che ne riformarono gli statuti sul modello dell'Arcadia (vennero istituite le patenti per gli accademici e le leggi furono redatte in latino). Il principato fu conferito a N. Forteguerri, l'autore del Ricciardetto: alla sua morte (1735) gli subentrò l'Ercolani. Questi promosse adunanze settimanali nel suo palazzo, durante le quali venivano letti e commentati brani in prosa e in poesia degli stessi accademici o di altri autori. I documenti di questa attività sono raccolti nelle Prose e versi degli Accademici Infecondi (Roma 1764), dove sono anche poesie dell'E. (pp. 209-212) e una lezione di A. Gasparri sul sonetto dell'E. "Faccia pur quanto sa l'empio rivale" (pp. 1-9). Nel palazzo dell'E. venivano inoltre tenute recite di argomento sacro cui assistevano prelati, ambasciatori e personalità della Curia. Ad una seduta dell'Accademia tenutasi nel 1740 per l'elezione di Benedetto XIV era presente quasi tutto il S. Collegio, oltre a un folto pubblico di nobili e letterati.
L'E. coltivò anche interessi geografici, di cui sono voluminosa testimonianza Le quattro parti del mondo egualmente divise e col medesimo invariabile ordine geograficamente descritte (2 voll., Roma 1756), che vanno a collocarsi nella ricca produzione settecentesca di questo genere.
L'opera, consistente in una mera descrizione fisica e politica delle terre allora conosciute condotta con spirito di pura compilazione senza l'ausilio di una sola carta, fu però rapidamente superata da lavori più aggiornati e scientificamente avanzati.
La biblioteca dell'E. si può ricostruire con precisione grazie al catalogo stampato dal libraio romano N. Roisech, che ne curò la vendita dopo la morte del prelato: Elenchus librorum quos collegerat... I. Ercolanus... aliorumque qui venales reperiuntur Romae apud Nicolaum Roisech..., Romae 1759. Un sonetto è nel ms. Arcadia 13, c. 51r, della Bibl. Angelica Roma.
F. Pignatti
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G. Miano-F. Pignatti