EMILIANI, Giuseppe Maria
Nacque da Antonio e da Angela Maria Betti il 16 genn. 1776 a Faenza (od. prov. Ravenna), ultimo erede di un'antica famiglia che discendeva - secondo una ricostruzione genealogica dello stesso E. conservata nell'Archivio del monastero Emiliani di Fognano (cfr. Mazzotti, pp. 32 ss.) - da un Bartolino Emiliani, proprietario di terre nella parrocchia di Ronco, a pochi chilometri da Faenza.
Inurbatisi al principio del XVII secolo col soprannome di Finzini (in dialetto Finzën), gli Emiliani crebbero in fama, censo ed onori ricoprendo varie cariche nella gerarchia ecclesiastica e nelle magistrature pubbliche. Il padre Antonio era stato rettore del Municipio di Faenza e aveva sposato nel 1700 Angela (o Angiola) Maria Betti, sorella di due dotti giuristi, già educanda nell'antico e rinomato monastero di S. Chiara di Faenza, afflitta poi da una lunga malattia in seguito alla quale mori precocemente (cfr. Scarabelli, pp. II ss., 23).
L'E. ricevette in casa un'educazione religiosa (gli fu padrino il cardinale A. Corsini) che completò nel seminario di Faenza, ove, maestri F. Contoli e A. Bucci, mise a frutto un ingegno precoce formandosi una solida cultura classica, ravvivata da interessi poetici, artistici e musicali (prese anche lezioni di clavicembalo). Aveva in animo di recarsi a Roma a studiare giurisprudenza sotto la protezione del cardinal Corsini, ma la morte di quest'ultimo (1795) ostacolò il progetto.
All'entrata dei Francesi a Faenza, il 1ºfebbr. 1797, l'E., pur non del tutto avverso alle nuove idee, risultò inviso al governo rivoluzionario per aver celebrato in versi Leopoldo di Toscana. erede del granduca Ferdinando, e perché sospettato di aderire a una setta antifrancese; fu, infatti, tratto in arresto e detenuto per breve tempo e poi, liberato, costretto a rifugiarsi a Firenze, ospite di uno zio materno che viveva presso la famiglia Corsini.
A Faenza l'E. aveva già pubblicato il poemetto Europa rapita (Faenza s. a.), dedicato alla principessa Corsini, Gioseffa Malvezzi, e un Saggio di poesie (ibid. s. a.), nei quali risulta evidente la sua formazione classicista e arcadica, che non spegne tuttavia "certi estrosi guizzi (cosi come nella burlesca novella in versi L'incostanza delle donne: 1796), e più tardi la canzone antifrancese All'Italia, il poemetto Orazio Nelson (1800) e l'idillio Arianna (1800)" (Petrucciani, p. 364).
A Firenze l'E. visse però la sua più intensa stagione letteraria: nominato accademico fiorentino, compose e stampò le sue opere maggiori, apprezzate, come ricordano i suoi biografi, da V. Monti, da Dionigi Strocchi e da P. Giordani. Presso il Piatti, il futuro editore fiorentino di Leopardi, pubblicò le Odisacre (Firenze 1804) e Odie idilli (ibid. 1805), deditati alla marchesa Maddalena Capponi. Negli anni fiorentini usci anche, tra le altre cose, il dramma Publio Cornelio Scipione (ibid. 1805), con un discorso introduttivo sul teatro ricco di indicazioni di poetica, in cui, esaltando l'"immortal Metastasio", "il solo, che abbia parlato il vero linguaggio del cuore e quello delle passioni", si propone di esprimere i "concetti i più familiari e i più sublimi pensieri" con "semplicità, chiarezza ed eleganza" (p. 3).
Caduto Napoleone, e restaurato nelle Romagne il governo pontificio (giugno 1815), l'E., che era già rimpatriato intorno al 1805, fu chiamato a dirigere la polizia municipale, ufficio che rifiutò per assumere la carica di presidente dell'istruzione del Municipio di Faenza. In questa veste propose ed attuò un nuovo ordinamento scolastico (che prevedeva, tra l'altro, la gratuità delle scuole di primo grado e l'abolizione delle scuole private), fece riordinare la Biblioteca comunale (cedendo una parte consistente della sua raccolta di volumi di teologia, lettere e giurisprudenza), fondò un'accademia, promosse, non di rado a proprie spese, opere benefiche per l'educazione della gioventù, tra le quali spicca la fondazione dell'illustre collegio di Fognano, ancora oggi a lui intitolato, cui l'E. dedicò tutte le energie e sacrificò gran parte dell'ingente patrimonio, emúlo del padre Antonio, che aveva acquistato, per salvarli dalla rovina, il convento dei cappuccini e la chiesa di S. Savino, poi restaurati e restituiti all'Ordine dall'Emiliani.
Il convento di S. Caterina, fondato a Fognano nel 1544, era stato alienato al tempo della Repubblica Cisalpina. Il 4 giugno 1821, insieme con l'arciprete don Giacomo Ciani (che nel 1828 gli cedette la sua parte), l'E. acquistò il monastero e la chiesa. Grazie anche a un sussidio della S. Sede, che integrava la somma stanziata dallo stesso E., l'antico convento (che nel 1832, in occasione della consacrazione della nuova chiesa, prese il nome di monastero del Ss. Sacramento) fu riaperto nel 1822-23 sotto la direzione di Rosa Brenti (poi Teresa del Ss. Sacramento), con una regola data alle suore domenicane dal vescovo diocesano, mons. S. Bonsignori. Subito dopo l'E. affidò all'architetto faentino P. Tomba la costruzione di un nuovo edificio per il collegio delle educande, che fu inaugurato il 1º genn. 1824.
L'E. aveva ripreso, frattanto, l'attività letteraria. Del 1825 sono la seconda edizione delle Canzoni (Faenza; la prima ed. è irreperibile) e la traduzione in versi commentata de IlCantico dei Cantici e il salmo XLIV (ibid.), l'opera sua forse più ammirata dai contemporanei.
La poesia dell'E. è ispirata soprattutto, com'era abitudine del tempo, da una musa encomiastica e celebrativa. Gran parte della sua produzione è composta in occasione della morte, della nascita, delle nozze di amici, parenti e personaggi di illustri casate, o in occasione della vestizione o della professione dei solenni voti delle gentildonne che entravano nel convento di Fognano, con una prevalenza di temi e motivi religiosi, cui fanno però riscontro temi profani e frequepti richiami mitologici. La trama del discorso poetico è intessuta di citazioni dal Nuovo Testamento e da una serie di autori che l'E. stesso elenca, nella prefazione a Odi e idilli, come suoi "prototipi": nell'ordine, Anacreonte, Orazio, Ovidio, Catullo, Tibullo, Properzio (pp. 7 s.), con una signficativa preminenza accordata al poeta greco. Il suo classicismo si nutre poi di letture petrarchesche, metastasiane, pariniane (che giustificano gli accenti illuministico-democratici delle sue poesie "civili"), ma soprattutto montiane. Il magistero poetico del Monti era particolarmente'sentito a Faenza, ove al cantore romagnolo. che aveva seguito colà gli studi di seminario, si ispirava, a partire dal comune apprendistato frugoniano (C. I. Frugoni era il poeta italiano prediletto nel seminario di Faenza, cfr. Scarabelli, p. 9), quella scuola classica romagnola di cui faceva a buon diritto parte, oltre all'illustre Dionigi Strocchi, anche l'E., il quale arricchiva tuttavia il patrimonio neoclassico di un sentimento religioso e di sinceri accenti di umbratile e malinconica meditazione. che gli fanno anticipare, a parere dei suoi critici più autorevoli, certe cadenze manzoniane e leopardiane. Un esemplare di Odi e idilli era d'altronde presente nella biblioteca Leopardi, e delle canzoni del poeta recanatese l'E. avrebbe voluto pubblicare un'edizione, come risulta da una lettera di Giuseppe Melchiorri al cugino Giacomo del 4 giugno 1825 e dalla risposta dell'E. (25 luglio 1825) a una missiva perduta dello stesso Leopardi (cfr. Epistolario, pp. 158, 172).
Il 19 sett. 1831 l'E. fu eletto gonfaloniere di Faenza, la massima magistratura della città. Uomo dall'ingegno acuto e vivace, religiosissimo, ma attento ai problemi civili, sociali ed economici (come testimoniano le numerose lettere d'istituzione civile e morale e tre Opuscoli di pubblica economia [Faenza s. a.; 2 ediz. 1816; 3 ediz. 1824]), di temperamento acceso, anticonformista e a volte polemico in un'epoca tormentata da lotte politiche e in una città che D. Strocchi in una lettera del 14 febbr. 1837 a lui diretta chiamava "novella Tebe", "infelice insanguinata" (p. 212), l'E. fu spesso amareggiato da invidie e gelosie e la sua opera fatta segno a calunnie, attacchi e denunce, tanto che lo stesso papa Leone XII ebbe a dire del collegio: "in tutto lo Stato Romano non c'è istituto più encomiato e più guerreggiato di quello di Fognano" (Mazzotti, p. 46). Ritenuto un reazionario al tempo del dominio francese, fu giudicato di idee troppo avanzate dai conservatori: nel maggio 1832, accusato di opporsi alle direttive del governo, fu destituito, tratto in arresto a distanza di pochi giorni dalla consacrazione della nuova chiesa del monastero, e infine (il 19 maggio) liberato. In quell'occasione ristampò "una perifrasi del Pange lingua, già composta nel 1829" (Mazzotti, p. 51), dedicata a mons. C. Falconieri.
Da allora in poi l'E. non abitò quasi più a Faenza e prese dimora nella foresteria del collegio, dedicandosi tutto alla sua opera. Per finanziare la costruzione del terzo piano dell'edificio, che ormai non era più sufficiente ad accogliere le educande, dovette procedere alla vendita di alcune terre di sua proprietà e persino degli argenti di casa. Il 3 dic. 1838 l'E. fece testamento lasciando ogni suo avere alla sua collaboratrice Teresa Brenti, superiora del convento, perché portasse a termine l'opera, ultimata poi soltanto nel 1868. Affaticato da anni di alacre attività, all'E. fu consigliato un soggiorno in un luogo di cura in Toscana, tornando dal quale, il 27 ag. 1840, incorse in un grave incidente: il calesse che lo riportava a casa si rovesciò, e dalla caduta gli derivò una progressiva e lenta paralisi degli arti inferiori, cui segui un indebolimento della memoria e della capacità di parola. Dopo sette anni di sofferenze, l'E. si spense a Fognano (Ravenna), in seguito a una commozione cerebrale provocata da un'altra caduta, il 29 maggio 1847.
La sua salma fu tumulata nella cripta centrale delle catacombe del monastero-convitto che porta il suo nome. La madre Brenti fece scolpire un monumento in marmo alla sua memoria e pubblicare per i tipi di Pietro Conti all'Apollo una raccolta delle sue produzioni letterarie in tre volumi, Opere scelte di G. M. Emiliani faentino (Faenza 1858), dedicati al cardinal Falconieri: un volume di Prose e due di Poesie che contengono, oltre ad alcuni Cenni sulla vita di G. M. E. faentino, odi, inni e sonetti di argomento sacro, le poesie civili italiane e latine e le numerose traduzioni (dal latino in italiano e viceversa). "R probabile - scrive il Petrucciani (p. 368) - che questa edizione sia fondata sopra un esemplare di tutte le pubblicazioni dell'E. che egli aveva raccolte in una miscellanea di almeno quattro tomi, tre dei quali sono oggi in possesso di Paolo Toschi. La miscellanea presenta in molti luoghi correzioni e varianti; chi ha curato l'ed. del 1858 talvolta se ne è servito, altre volte no".
Fonti e Bibl.: Faenza, Bibl. comunale, Sez. autografi, Collez. Cantagalli, 145: G. M. Emiliani, Lettere a Giuseppe Silvagni; Ibid., Fondo Eredi Guidi, ms. 70: Indirizzo de' Faentini al sig. conte Virgilio Cavina nominato gonfaloniere scritto dal sig. G. M. Emiliani Ed analizzato con esame critico da Giuseppe Psotti parroco di Santa Margherita; Lettere edite e inedite del cavaliere Dionigi Strocchi ed altre inedite a lui scritte da uomini illustri, a cura di G. Ghinassi, Faenza 1868, I, pp. 211 ss., 215 s.; II, pp. 210 s.; Lettera a Adelaide Agnoletti, in La Piè. Rassegna mensile d'illustrazione romagnola, XI (1930), 6, pp. 119 ss., con una premessa di E. Bottini Massa; G. Leopardi, Epistolario, a cura di F. Moroncini, III, Firenze 1934, pp. 158, 172, 212; G. Forlivesi, Necr. di G. M. E. di Faenza, Faenza 1847; L. Scarabelli, Del merito civile e delle lettere di G. M. E. faentino fondatore dell'Educatorio di Fognano, Piacenza 1860; D. A. Montanari, Uomini illustri di Faenza, I, 2, Faenza 1883, pp. 181-185; L. Zauli Naldi, L'arco napoleonico in Faenza, in Valdilamone. Rivista di lettere e d'arti, VII (1927), 4, pp. 134 ss.; F. Lanzoni, G. M. E., in La Piè. Rass. mensile di illustrazione romagnola, XII (1931), 8, pp. 162-166; C. Mazzotti, Ilmonastero e collegio-convitto "Emiliani" di Fognano, Faenza 1932; P. Toschi, Curiose "coincidenze" leopardiane (e manzoniane) nell'opera d'un poeta del primo Ottocento, La Nuova Antologia, 16 dic. 1937, pp. 481-485; M. Petrucciani, G. M. E., la cultura romagnola, e G. Leopardi, in Studi romagnoli, X (1959), pp. 363-388; G. L. Masetti Zannini, Foscolo, Manzoni e Leopardi e la poesia di G. M. E., in L'Osservatore romano, 6 genn. 1963, p. 8.