MANZONE, Giuseppe
Nacque ad Asti il 17 giugno 1887 da Giovanni, calzolaio, e da Giuseppa Bay. Scoperta precocemente la propria vocazione artistica, forse anche grazie all'amicizia con l'eclettico Carlo Artuffo, pittore e attore astigiano, intorno al 1900 il M. iniziò a frequentare lo studio del pittore Paolo Arri. Animato dalla volontà di approfondire le proprie conoscenze in un contesto meno provinciale nel 1901, grazie a un sussidio del Municipio di Asti, il M. si trasferì a Torino per frequentare l'Accademia Albertina, dove ebbe come insegnanti G. Grosso, P. Gaidano, A. Marchisio, A. Tavernier e C. Gaudina. Parallelamente agli studi accademici, in questi anni torinesi, stimolato dal vivace clima culturale della città e da nuovi incontri e amicizie, il M. poté aggiornare la propria cultura artistica, come ricorderà lui stesso rievocando in una tarda nota autobiografica (Il pittore e la provincia, in Postille, n. 10, giugno - luglio 1953, pp. 96 s.) gli artisti che maggiormente segnarono questa sua giovanile fase di formazione: da A. Fontanesi ai divisionisti, dai preraffaelliti inglesi a A. Böcklin, allo scultore L. Bistolfi, conosciuto in quegli anni, con cui il M. strinse una profonda e durevole amicizia.
L'esperienza torinese si concluse nel 1907; dopo l'esordio, avvenuto nel maggio di quell'anno alla LXVI Esposizione della Società promotrice e il conseguimento del diploma il 26 giugno 1907, il M., beneficiando di un altro sussidio del Municipio di Asti, si trasferì a Firenze. Qui, dove soggiornerà sino al 1913, strinse particolare amicizia con Lorenzo Viani.
Anche se scarsamente documentato, il soggiorno fiorentino dovette costituire una tappa importante nel percorso del M., fornendogli una preziosa occasione di sprovincializzazione e di stimolo rispetto ai suoi interessi rivolti, in quegli anni, sia alle suggestioni della modernità sia a quelle derivanti dalla riscoperta di una tradizione di straordinario valore. Determinanti per i futuri esiti della sua pittura dovettero rivelarsi in particolare la conoscenza delle opere dei macchiaioli, quelle dei tedeschi attivi a Firenze, come M. Klinger e Böcklin, nonché quelle degli impressionisti e dei post-impressionisti, in quegli anni al centro di un vivace dibattito animato da A. Soffici e altri intellettuali; un'attenzione non minore il M. rivolse d'altro canto all'arte dei primitivi e del Rinascimento, interesse esplicitato anche tramite l'attività di copista, come testimoniato dalla tela Venere con le tre grazie (Asti, Museo civico), tratta dall'originale di J. Jordaens agli Uffizi. Tali esperienze sono ravvisabili nella produzione iniziale del M., costituita essenzialmente da ritratti, genere a cui è legata la sua prima affermazione. Già nelle opere realizzate negli ultimi anni fiorentini, come Ritratto di vecchio militare, esposto nel 1911 alla Promotrice torinese e acquistato per il Museo civico di Torino, il superamento del sensuale verismo di Grosso, suo primo maestro, in direzione di un realismo più concentrato, severo, asciutto può essere difatti ricondotto alla suggestione esercitata da Giotto e dai maestri rinascimentali, specie fiamminghi e tedeschi, che lo stimolarono alla "rinuncia degli effetti facili e alla serietà artigianale del lavoro" che ne caratterizzeranno l'opera ulteriore (La pittura a Torino…); mentre in altri ritratti dei primi anni Dieci è l'influenza esercitata dal gusto secessionista a prevalere, come in Ritratto della moglie (1912: Torino, collezione Malvano, ripr. in Mantovani - Galli - Sottomano, p. 64). Intorno al 1913 è da collocare anche una prima produzione di nature morte, genere poi praticato, seppure sporadicamente, per tutto l'arco della propria attività, con opere caratterizzate da un evidente riferimento al realismo quasi illusionistico dei fiamminghi, quali Natura morta con prugne (1914: Asti, Museo civico).
Nel 1913 il M. tornò definitivamente ad Asti, dove il 28 maggio sposò Felicita Michelina Amerio, maestra elementare conosciuta nello studio di Arri, da cui avrà due figli: Riccardo, nato nel 1914, e, nel 1919, Leonarda (Iada), così chiamata in onore di Bistolfi. A partire dal suo ritorno in Piemonte il M. avviò un'intensissima attività espositiva, che si protrasse senza flessioni sino alla fine della sua carriera, prendendo parte, nel corso dei decenni successivi, in modo sistematico alle collettive d'area piemontese, a numerose rassegne nazionali (fra cui la Primaverile fiorentina del 1922, varie edizioni della Biennale veneziana e della Quadriennale romana), nonché all'Esposizione internazionale di Barcellona (1929).
Consacrato quale valente ritrattista con Ritratto di vecchio benestante alla Biennale di Venezia del 1914 (prima partecipazione alla rassegna che lo vedrà presente ininterrottamente fino al 1936 e ancora nel 1948), nel 1917 il M. presentò all'Esposizione della Società degli amici dell'arte di Torino Verso l'esilio, allegoria dallo stile asciutto e serrato acquistata dal locale Museo civico, una delle poche opere del M. riferibile a una matrice apertamente simbolista. Già intorno al 1916, tuttavia, il M. aveva avviato una nuova fase della propria ricerca, indirizzandosi verso un linguaggio caratterizzato da una vibrante stesura di tocco d'intensa luminosità, di ascendenza impressionista e postimpressionista. Tale ricerca, approfondita nel corso del decennio successivo, è illustrata da opere quali Mio padre (1918: Torino, collezione Malvano, ripr. in Mantovani - Galli - Sottomano, p. 68) e soprattutto da alcune vedute urbane e paesaggi - genere in cui il M. aveva iniziato a cimentarsi verso il 1909 - ispirati ai luoghi natii, quali la Casa del pesce d'oro (1916: Torino, collezione Malvano, ripr. ibid., p. 63), una delle opere apprezzate dal giovane Pietro Gobetti in occasione della mostra organizzata nel 1921 a Torino da F. Casorati, Grosso e altri artisti in dissidio con la Promotrice.
Nel corso degli anni Venti il M. si indirizzò sempre più verso soggetti ispirati al Monferrato, al suo paesaggio e al piccolo mondo della provincia astigiana, mettendo a punto un repertorio di motivi - volutamente circoscritti al proprio vissuto - che, nelle varie declinazioni, arriva a configurare una personale, commossa poetica, animata dalla "costante ricerca d'intimità con l'oggetto della rappresentazione" (ibid., p. 16). Mosso da un profondo amore per la propria terra, il M. a partire da questi anni si dedicò in prevalenza al paesaggio - pur senza abbandonare lo studio della figura, ora solitamente rappresentata in interni domestici, come in Pomeriggio domenicale (1928: Torino, collezione Malvano, ripr. ibid., p. 87) - prediligendo i motivi della campagna e delle colline del Monferrato e del lavoro contadino, temi che ne caratterizzeranno tutta l'ulteriore, ampia produzione, sino a consacrarlo quale il "virgiliano cantore della terra astigiana" (Carluccio, in G. M. Opere dal 1909…, p. 9).
Tale orientamento è testimoniato dai dipinti realizzati fra gli anni Venti e Trenta, contrassegnati da una particolare felicità cromatica; dal punto di vista formale in questi anni il M. alternò opere caratterizzate da stesure à taches, ora più vibranti ora più vaporose, quali Strada del Monferrato (1924) e Il canneto (1933), ad altre dalla superficie cromatica più levigata, di grande luminosità, più sintetiche e precise nella definizione delle forme, quali Lavandaie sul Tanaro (1939: tutte a Torino, collezione Malvano, ripr. in Mantovani - Galli - Sottomano, pp. 81, 101, 121).
Nel corso di questi anni il M. propose gli esiti di tale indagine in numerose collettive fra cui, nel 1929, alla prima Sindacale torinese che, con l'assegnazione di un'intera parete, ne sancì la definitiva affermazione sulla scena artistica locale. Nel 1930 allestì la sua prima personale presso il Circolo sociale di Asti, riscuotendo un discreto successo. La mostra fu preceduta da un articolo di Emilio Zanzi che, riassumendo il percorso del M., ne elogiava la semplicità di costumi e la "moralità artistica" espressa in una pittura "vigilata ed elaborata", "rifuggente da ogni elucubrazione", segnalandone in particolare i paesaggi, improntati, secondo il critico, a una sensibile e moderna rilettura della tradizione regionale ottocentesca.
Negli anni successivi diversi dipinti del M. entrarono a far parte di importanti collezioni pubbliche e private: fra questi, Marina, acquistata nel 1932 alla XVIII Biennale di Venezia per la Galleria nazionale d'arte moderna di Roma; Mattino, selezionato nel 1935 alla II Quadriennale romana dalla Civica Galleria d'arte moderna di Torino; e ancora Neve e Contadini, entrati a far parte delle collezioni della Galleria d'arte moderna di Milano in occasione della mostra tenuta dal M. nella città lombarda nel 1934 (Casa d'artisti) insieme con D. Valinotti e G. Calvi di Bergolo. Con questi artisti, a lui affini nella scelta di una pittura di paesaggio pacatamente oggettiva, eseguita en plein air e di moderata modernità, il M. espose più volte nel corso degli anni Trenta.
Dopo il difficile periodo bellico, segnato nel 1941 dal breve trasferimento a Rocchetta Tanaro e dalla perdita del primogenito Riccardo morto nel 1943 in Russia, il M. riprese con immutato fervore la propria intensa attività creativa, espositiva e di promotore artistico. Nel 1950 si trasferì con la moglie presso la figlia Iada e il genero Renato Malvano nella loro casa in Val Pattonera sulle colline torinesi. Continuò tuttavia a mantenere strettissimi rapporti con l'ambiente astigiano, partecipando fra l'altro alle attività della locale Società promotrice delle belle arti, di cui diverrà presidente nel 1956.
Nella produzione successiva al dopoguerra la "serena" visione dell'artista non subì sostanziali mutamenti (Vivarelli, p. 215); e il M. continuò ad arricchire nel corso degli anni il consueto repertorio di motivi con opere caratterizzate da una calibrata semplicità d'impianto e da una notevole sensibilità cromatica, fra cui spiccano le diverse vedute della Val Pattonera quali Inverno (1950 circa: Torino, collezione Malvano, ripr. in Mantovani - Galli - Sottomano, p. 145) e le marine come Isola d'Elba (1962: Vesime, collezione Murialdi, ripr. ibid., p. 165) realizzate a partire dal 1951, dopo un soggiorno nell'isola.
Negli ultimi decenni il M. continuò a partecipare con regolarità a numerose collettive locali e nazionali, fra cui, dal 1957, quelle promosse dall'associazione "Piemonte artistico e culturale". Tenne, inoltre, diverse personali, tra le quali si ricordano l'antologica dedicatagli nel 1966 dalla città di Asti (battistero di S. Pietro) e quella allestita nel 1968 a Torino per i suoi ottant'anni (galleria L'Approdo), in cui l'artista espose anche la recente produzione di pastelli. Dopo la morte della moglie, avvenuta il 26 genn. 1970, il M. si avvicinò anche alle tecniche dell'incisione, traducendo i temi della sua pittura in diverse serie litografiche e di acqueforti di estrema semplicità iconografica e formale.
Il M. morì a Torino il 23 luglio 1983.
Fonti e Bibl.: Torino, Archivio eredi Malvano; P. Gobetti, Esposizione d'arte alla Mole Antonelliana, in L'Ordine nuovo (Torino), 7 giugno 1921; E. Zanzi, Un georgico. Il pittore dei vigneti astigiani, in Gazzetta del popolo, 10 nov. 1930; G. M., in L'Eroica, settembre 1937, n. 229, pp. 31 s.; M. Dipinti e disegni dal 1915 al 1965 (catal.), a cura di L. Carluccio et al., Asti s.d. [ma 1966]; Per gli 80 anni di G. M. (catal., galleria L'Approdo), a cura di A. Passoni, Torino 1968; G. M.: catalogo generale delle opere (catal., galleria Pirra), Torino 1974; La pittura a Torino all'inizio del secolo: 1897-1918 (catal.), a cura di A. Galvano, Torino s.d. [ma 1978], p. 76; P. Vivarelli, G. M., in Galleria Sabauda. Opere del Novecento, Torino 1987, pp. 162 s., 215 s.; G. M. Opere dal 1909 al 1975 (catal.), introduzione di A. Mistrangelo, Acqui Terme 1988; M. Faussone Boido, G. M. (catal., Canelli, galleria La Finestrella), s.l. 1990; F. Fergonzi, in La pittura in Italia. Il Novecento/1, II, Milano 1992, pp. 949 s.; P. Mantovani - M. Galli - F. Sottomano, G. M. (1887-1983): la provincia come scelta, Canelli 2005 (con bibl.).