MANNI, Giuseppe
Nacque a Firenze il 21 ag. 1844, da famiglia modestissima nel "popolo" di Badia (della cerchia antica), da Alessio, di professione cuoco, e da Maddalena Marchionni.
La madre morì dandolo alla luce, ma il M. ebbe comunque la fortuna di trovare nella matrigna, di nome Maria, una sorta di seconda madre, tanto che alla sua scomparsa, avvenuta nell'ottobre 1883, le dedicò alcuni versi toccanti (Su le ultime bozze, in Poesie scelte…, pp. 146 ss.) e un epitaffio dei suoi migliori.
Il M., com'era in uso, "andò prima in uno di quei patriarcali istituti privati, dove insegnavano quel poco che sapevano vecchie "maestrine"" (ibid., p. 9); poi, per il latino, fu ammesso nel collegio di S. Giovannino delle Scuole pie, dove si fece presto notare e benvolere dai maestri per la vivace intelligenza e la straordinaria precocità. A quindici anni, nel 1859, fu novizio, poi studente di filosofia e di scienze, e quindi, non ancora ventenne, si dedicò all'insegnamento.
L'inizio della carriera di insegnante in età ancora molto giovane era tradizionale presso gli scolopi, ma fu un'eccezione che al M. fossero subito affidate classi cui di solito i docenti pervenivano in età più matura: l'"umanità", che insegnò appena diciottenne a Castiglion Fiorentino, e la "rettorica" che insegnò l'anno seguente a Modigliana.
Mitezza, fermezza del carattere e solidità dei principî, coniugate con chiarezza linguistica e sicurezza espositiva, garantirono al M. un grande ascendente sugli alunni; già in queste prime esperienze emersero le sue straordinarie qualità didattiche che gli valsero la chiamata al collegio S. Giovannino di Firenze, dove, in attesa di succedere nella scuola di "rettorica" al padre Mauro Ricci, dal 1863 al 1866 insegnò "lingua italiana superiore". Quando, nel 1867, subentrò a Ricci, il M. non era ancora sacerdote: celebrò la prima messa il 5 ag. 1868 (e nella ricorrenza della messa d'oro, il 5 ag. 1918, tutti gli alunni e gli insegnanti del collegio gli faranno una festa memorabile).
Nell'insegnamento di "rettorica" - che avrebbe poi cambiato nome in quello di 5ª ginnasiale - il M. rimase per vent'anni, fino al 1886, quando gli successe E. Pistelli, scolopio anche lui, e già suo alunno. Per dieci anni, dal 1886, il M. fu rettore della badia fiesolana, alla quale dedicò una delle sue liriche più persuasive e commosse ("Badia felice! Di quell'aura ancora / freschi i sussurri e la fragranza io sento / sento l'ambrosia ancor dei vecchi numi / per le tue sale…": Nel giardino della badia fiesolana, in Nuove rime (1884-1903), Firenze 1903, pp. 193-196; Poesie scelte…, p. 26). In seguito fu rettore del collegio fiorentino, dove continuò la sua opera di insegnante fino al 1907, per quarantacinque anni di ininterrotto magistero.
Del suo Ordine fu anche assistente generale, nel 1912, con obbligo di residenza a Roma, ma in tale carica rimase solo qualche mese, ottenendo di esserne dispensato. Viva testimonianza del soggiorno romano sono alcune sue poesie (Al ponte Milvio, La cupola di S. Pietro, Villa Borghese), sospese fra la suggestione per la città eterna e la nostalgia della sua Toscana.
Come poeta, il M. aveva esordito nel 1867 con un saggio di traduzione in latino della Basvilliana di V. Monti. Ma il suo primo volume di Rime uscì a Firenze nel 1884, con una dedica ai suoi allievi, e poi in edizione definitiva, nel 1900 (ibid.). Tre anni dopo uscirono le Nuove rime (cit.), e nel 1917 l'ultimo volume di versi, Novissima (1905-1916) (ibid.), in cui parecchie poesie trassero ispirazione dalla Grande Guerra, che egli si augurava di vedere finita, e vinta dall'Italia, prima di morire. La sua più ragguardevole produzione poetica fu raccolta in volume da Pistelli e pubblicata postuma con il titolo di Poesie scelte. In appendice lettere di G. Carducci e d'altri insigni italiani (Firenze 1924).
Di là dagli evidenti agganci e parallelismi con la poesia di altri sacerdoti sensibili alle ragioni della scienza e della patria, come G. Zanella e A. Stoppani (al quale dedicò una delle sue poesie più note), il M. fu subito classificato fra i "carducciani". Significative restano, in tal senso, due liriche dedicate a Giacomo Leopardi: una Su la tomba di G. Leopardi ("Tanta dolcezza mai / non fu con tanto affanno in versi accolta, / né sarà, credo, o caro, un'altra volta", Poesie scelte…, p. 40), e l'altra Allo scoprimento del busto di Leopardi, opera del Monteverde ("Sul macro / viso ancora scolpita / è l'angoscia infinita / che ti fa quasi sacro": ibid., p. 225).
A volte il M. gode del suo isolamento dagli altri uomini, a diretto contatto con il mondo naturale, come in Salendo l'Appennino: "dal fango de l'ansie / civili lontano, / io godo su 'l ciglio / di balzo montano, / tra l'acque cadenti, / a 'l fischio dei venti" (ibid., p. 31). Altrove esprime la sua commozione per i grandi fatti storici (come nella lirica In morte di Pio IX, ibid., p. 51; o in Ischia, piena di orrore e di sgomento per il terremoto di Casamicciola, del 1883), o per i fatti della cronaca che colpirono l'immaginario collettivo, come nei versi scritti per il crollo (1902) e la ricostruzione del campanile di S. Marco a Venezia (ibid., pp. 273 ss.); in altri casi, infine, la sua ispirazione sconfina in una intimità più lirica e segreta (A la mia camera; Pensiero triste, ibid., rispett. alle pp. 56-58 e 69). In generale si può affermare che il sentire poetico del M. si traduca in forme classicamente composte, che dimostrano una capacità consapevole nell'uso del linguaggio e che, di là dalle accortezze retoriche, rivelano profonda sincerità d'ispirazione.
Non si deve credere che al M., sacerdote, dispiacesse l'esser tacciato di carduccianesimo: anzi, pochi giorni prima della morte confidò a Pistelli d'aver programmaticamente perseguito la "conciliazione" della poesia carducciana con il cristianesimo. Sicché Pistelli, dal canto suo, poteva chiosare con il ricordo delle "dispute, rumorose e deliziose, di trent'anni fa [1893], quando con curioso contrasto, io giovine e con la fama di testa calda ero - come sono - un impenitente manzoniano, e il padre Manni già maturo d'anni, e tutto dubbi, scrupoli, paure, era invece un carducciano fervente" (Poesie scelte…, pp. 15 s.).
Sul "carduccianesimo" del M. la critica si è soffermata non poco, mettendo in risalto, però, più le differenze che non le affinità fra i due poeti. L'interpretazione più equilibrata è quella fornita da G. Petrocchi, che, se definì il M. "alunno" di G. Carducci, al tempo stesso fece osservare come il tentativo di conciliare "Enotrio e la religione" avvenisse nel M. prendendo lo spunto non da quei "momenti in cui il Carducci si accostò sentimentalmente al Vangelo e a Cristo, ma proprio incorporando la poetica carducciana nella sua complessità espressiva e linguistica, ed applicando concetti ed argomenti cristiani" (Petrocchi, p. 29).
Del M. vanno ricordate anche le numerose epigrafi in lingua italiana, raccolte in due volumi (Cari morti, Firenze 1910; Ricordi, ibid. 1918), che "formano senza dubbio la più notevole silloge epigrafica dei nostri tempi" (Rabizzani, p. 3), qualificando il M. come epigrafista "fecondo, facile, inesauribile" (Rosadi, pp. 28 s.).
Tra gli ammiratori, o almeno estimatori, del M. va ricordato prima di tutti lo stesso Carducci, che in diverse lettere si espresse favorevolmente sulla sua poesia, e che del resto volle conoscere di persona, in un viaggio a Firenze intorno al 1883, dandogli chiari attestati di approvazione, specialmente riguardo all'ode Per il varo della Lepanto.
Va ricordata almeno la lettera da Bologna, del 9 apr. 1893, in cui Carducci confessava: "tanta canaglia oltraggia oggi in Italia la parola e il verso, che è vero, quanto raro il piacere di trovare alcuno, come Lei, che gli onori".
Ma anche A. D'Ancona, G. Pascoli, A. Fogazzaro e tanti altri non nascosero la loro ammirazione per la produzione poetica del M., seguita e segnalata non a caso con grande simpatia e sintomatica puntualità dalla rivista Il Marzocco, di solito esigente e severa. Proprio nel Marzocco A. Orvieto, recensendo le Rime del M., si soffermò sull'ode che il M. "rivolgeva nel 1878 al Re Umberto dopo l'attentato di Napoli", riconoscendovi "il fremito del sincero credente, per il quale i destini della patria sono indissolubilmente congiunti con quelli della sua fede, e dall'accordo della fede con la patria attende la salvezza d'Italia" (A. Orvieto, Dio e patria ("Rime" di G. M.), in Il Marzocco, 23 sett. 1900, pp. 1 s.).
Nel 1906 il M. fu eletto socio residente dall'Accademia della Crusca; tuttavia, dopo pochi anni chiese di tornare al ruolo meno impegnativo di socio corrispondente. Caratteristica del M. fu, infatti, quella di credersi sinceramente - per eccesso o di modestia o di zelo - sempre inferiore alle cariche e alle responsabilità che gli venivano affidate.
Come critico, il M., che ammirò molto i Poemetti cristiani del Pascoli, offrì un contributo non trascurabile agli studi danteschi e alla caratterizzazione della poesia di N. Tommaseo e di G. Giusti. Oltre a una sua lettura dantesca del Canto XXXIII del Purgatorio tenuta a Firenze nella sala di Dante in Orsanmichele (il 14 apr. 1910: in cui il M. avanzò interpretazioni ancora valide - sulla "Bella donna", per esempio -, e in cui ribadì che Dante "anche quando con la più feroce delle sue invenzioni poetiche caccia vivo nell'inferno Bonifazio ottavo, egli, il terribile flagellatore, ha bisogno di protestare la sua riverenza alle chiavi"), va ricordata la prefazione all'edizione delle Poesie di N. Tommaseo (Firenze 1902) con alcuni pregevoli spunti sul sensualismo e sullo sperimentalismo del Tommaseo.
Il M. morì il 21 genn. 1923 a Firenze, nella sede delle Scuole pie, in palazzo Salviati.
Fonti e Bibl.: La più completa bibliografia del M. è in M. Morelli, La poesia del p. M., Torino 1939. Si vedano poi: Edizione nazionale delle opere di G. Carducci. Lettere, XIV, 1882-1884, pp. 135, 221; O. Bacci, Per un libro di versi. Rime (1870-1884) di G. M., in Nuova Antologia, 16 luglio 1900, pp. 365-369; A. Orvieto, Dio e patria ("Rime" di G. M.), cit.; Le "Nuove Rime" di G. M., in Il Marzocco, 24 maggio 1903, p. 3; A. Zardo, Le "Nuove Rime" di G. M., in Rassegna nazionale, XXV (1903), pp. 277-286; F. Rizzi, La poesia di un frate, Firenze 1903; Il Marzocco, 24 apr. 1904, p. 3; Due poeti sacerdoti, in La Civiltà cattolica, 18 marzo 1905, pp. 716-723; All'Accademia della Crusca, in Il Marzocco, 25 marzo 1906, p. 3; R. D'Amico, L'opera politica di G. M., in Giorn. arcadico di scienze, lettere ed arti, s. 4, 1906, pp. 141-151; R. Fornaciari, Fra il nuovo e l'antico, Milano 1909, pp. 303 ss.; G. R. [Rabizzani], Raspollature critiche. Epigrafi e moralità, in Il Marzocco, 28 apr. 1918, p. 3; G. Toffanin, Un poeta dell'Ottocento, in Id., Gli ultimi nostri (Saggi critici), Forlì 1919, pp. 167-192; F. Paolieri, Padre M., in La Nazione, 23 genn. 1923; G. M., in Rivista di letture, XX (1923), 2, pp. 34 s.; E. Santoni, Un poeta classico: padre G. M., in La Lettura, XXXIII (1923), pp. 305-307; E. Pistelli, Il padre M. nei funerali solenni…, Firenze 1923; G. Rosadi, Il padre M., Firenze 1923; D. Mosetti, Il padre M.: ricordi, Pistoia 1924; G. Fornaciari, La poesia di G. M., in Rassegna nazionale, L (1928), luglio-settembre, pp. 69-100; M. Zangara, Un carducciano cristiano, in Il Tevere, 4 luglio 1932, p. 3; A. Marpicati, L'ultimo poeta dell'Ottocento: p. G. M., in Id., Saggi di letteratura, Firenze 1933, pp. 273-282; G. Petrocchi, Fede e poesia nell'Ottocento, Padova 1948, pp. 29-31; L. Magini, G. M. educatore e poeta, in Italia, 4 maggio 1951, p. 3; L. Righi, G. M. poeta cristiano, Fiesole 1980; Enc. Italiana, XXII, p. 137.