MALOMBRA, Giuseppe (Gioseffo)
Poche, incerte e frammentarie sono le notizie che riguardano le sue vicende biografiche. Nacque verso il 1595, probabilmente a Venezia, da Pietro, stimato pittore. Ebbe almeno un fratello, Bartolomeo. La sua famiglia, pur se di origine cremonese, si era ormai radicata da più di due secoli nella città lagunare, ossia da quando il famoso giurista Riccardo Malombra si era trasferito a Venezia, ove fu consultore della Repubblica e morì nel 1334.
Alla cultura veneziana i Malombra avevano già fornito anche il rigore umanistico di Giovanni, zio del M., autore verso la metà del XVI secolo di una apprezzata traduzione della Geografia di Claudio Tolomeo, La Geografia di Claudio Tolomeo alessandrino già tradotta di greco in italiano da m. Gierolamo Ruscelli & hora in questa nuova editione da m. Giovanni Malombra ricorretta & purgata d'infiniti errori con un discorso di m. Gioseppo Moleto, in Venetia, appresso Giordano Ziletti, 1574.
A quanto sembra, il M. non seguì un corso di studi regolari. Mancano notizie di suoi eventuali maestri veneziani e, d'altra parte, gli archivi dell'Università padovana non conservano traccia di una sua frequenza degli insegnamenti delle facoltà allora esistenti, pur se l'opera maggiore del M., la Pratica universale facilissima et breve di misurare con la vista, Firenze 1630, denuncia una conoscenza per certi versi accademica delle questioni trattate, in particolare del versante matematico di esse.
Si è conservata una testimonianza dello stesso M., rintracciabile nell'epistola al fratello Bartolomeo, che funge da prefazione all'opera citata, secondo la quale della sua educazione intellettuale si sarebbe incaricato direttamente il padre, che gli sarebbe stato maestro negli studi umanistici, matematici, astrologici e nella formazione artistica. Questa notizia è preziosa, perché offre il termine ad quem - il 1618 - entro il quale deve considerarsi concluso il periodo della sua formazione e della sua residenza veneziana. In quell'anno, infatti, morì, poco più che sessantenne, il padre Pietro.
Allo stesso scorcio di tempo risale l'esordio letterario del M. con la pubblicazione del De gli amori di Amaranta. Parte prima delle rime, Venetia 1618.
Si tratta della prima delle due opere a stampa a lui attribuite - in questo caso il suo nome è indicato con la forma arcaica e classicheggiante di Gioseffo - formata da una raccolta di sonetti, canzoni, canzonette, madrigali e idilli di argomento erotico, i cui costi di stampa furono sostenuti dal conte C.E. Scaglia, che in cambio ottenne la dedica del volume. Il libro, molto raro (una copia è conservata presso la Cambridge University Library, Bute, 638), contiene, a p. 20, l'unico ritratto noto del M. ed è solitamente citato tra quelli degli imitatori di G.B. Marino, in quanto pare che, rievocando il mito degli amori di Amaranta, l'autore voglia esaltare la maschera dell'arte come unica realtà propria dell'uomo, data l'impossibilità strutturale di riscoprire il vero volto della natura. È stato comunque sostenuto che, benché lo stile dei componimenti sia molto meno risolto e sorprendente di quello del suo modello e che il tono, nel complesso, sia piuttosto ordinario, in essi emergono sprazzi di una sensibilità inquieta e dotata di una certa profondità lirica. Quanto alla seconda parte della raccolta, promessa dal titolo del libro, pare che non fosse stata mai scritta o perlomeno pubblicata, non essendosi conservata alcuna copia.
Per i dodici anni seguenti della sua vita si può solo congetturare che il M. si sia dedicato anche agli studi, se è degno di fede ciò che egli scrive nella citata epistola al fratello Bartolomeo, ossia che a conclusione di tale periodo aveva pronte per la stampa opere di argomento astrologico, retorico e poetico, peraltro da considerarsi oggi perdute. Di fatto, però, tutto ciò che può essere detto con sicurezza è che nel 1630 egli non era più a Venezia ma a Firenze, dove cercava occasioni per esercitare l'arte del pittore-cartografo e dove era noto ad alcuni dei più influenti letterati e uomini di governo del Granducato, quali A. Macchiavelli, R. Antinori, F.M. Gualterotti, C. Marucelli e I. Cicognini, autori dei versi e della prosa d'occasione, in volgare e in lingua latina, pubblicati come premessa alla sua opera maggiore. È possibile che il M. si sia trasferito a Firenze in virtù dell'ampia gamma di possibilità che questa città poteva fornire.
Vi era, infatti, oltre a varie piccole scuole di prospettiva e geometria, anche una grande accademia del disegno per la formazione del pittore-cartografo. Inoltre, al fine di poter disporre di adeguati supporti cartografici che permettessero di affinare le tecniche di controllo e gestione del territorio, era stata creata, presso la corte medicea, la figura del cosmografo, ufficio affidato fino al 1639 a un geografo-cartografo (poi a un matematico con il titolo di "mattematico di S.A.S."). Infine, il governo granducale disponeva di vari dipartimenti - lo Scrittoio delle possessioni, i Conservatori della giurisdizione e del dominio, la congregazione di strade e ponti - che richiedevano e impiegavano cartografi.
A quanto pare, però, il M. nel 1630, pur bene introdotto, non era ancora agli stipendi del governo toscano. La pubblicazione in quell'anno e con dedica al granduca di Toscana, Ferdinando II de' Medici, della sua Pratica universale facilissima et breve di misurare con la vista, avrebbe così avuto lo scopo di attestare la sua valida competenza in campo cartografico al fine di garantirgli un impiego ben retribuito.
L'opera, presentata dal M. come il primo di più libri sullo stesso argomento - progetto, questo, che non ebbe un seguito -, è costituita da due parti in un unico volume, ognuna delle quali dotata di propri frontespizio e sottotitolo. Il libro è, nella prima parte, un notevole trattato tecnico di prospettiva cartografica, nel quale compaiono i primi suggerimenti noti per l'uso dei distanziometri in cartografia. In questa sezione, oltre a essere illustrate le caratteristiche di due strumenti di misurazione in grado, si dimostra l'ottimizzazione delle prestazioni dei distanziometri, il cui utilizzo avrebbe dovuto rendere più semplice e pratica l'acquisizione di dati. Pur se il M. ne sottolinea l'originalità, fino ad attribuirsene la paternità, in realtà gli strumenti in questione sembrerebbero essere semplici rielaborazioni dello strument0-madre, al più dotati di alcune migliorie tecniche. La seconda parte, invece, è specificatamente dedicata al rilievo e al disegno cartografico delle fortificazioni militari, delle loro più importanti emergenze e del territorio sul quale insistono. Nel libro sono contenute circa 60 pregevoli tavole aventi come soggetto l'utilizzo del distanziometro, le cui matrici, realizzate con la tecnica dell'acquaforte su rame, dovrebbero essere opera dello stesso Malombra.
A detta degli antichi biografi, la pubblicazione del libro gli avrebbe assicurato la chiamata presso la corte medicea - ma non è chiaro con quale compito e la notizia non è attestata da nessuna fonte documentaria - ove però sarebbe restato per pochissimo tempo, forse perché presto sarebbe caduto in disgrazia presso il granduca Ferdinando II.
Una volta lasciata la corte, non è noto dove si sarebbe diretto; egli, "di umore inquietissimo", si sarebbe fatto "quasi cavaliere di ventura" e avrebbe peregrinato "fin che visse, onde non si sa dove né quando sia morto" (De Boni).
Fonti e Bibl.: Sulla famiglia del M. si veda Venezia, Biblioteca nazionale Marciana, Mss. it., cl. VII, 351 (=8385), cc. 99-100: A. Zeno, Appunti genealogici e biografici di famiglie venete; notizie utili in F. Arisi, Cremona literata, III, Cremonae 1741, pp. 173 s.; G. Cinelli Calvoli, Biblioteca volante continuata dal dott. Dionigi Andrea Sancassani, III, Venezia 1746, p. 246; G.B. Zaist, Notizie istoriche de' pittori, scultori ed architetti cremonesi, I, Cremona 1774, pp. 314 s.; G. Grasselli, Abecedario biogr. de' pittori, scultori ed architetti cremonesi, Milano 1827, p. 146; F. De Boni, Biografia degli artisti, Venezia 1840, p. 78; P. Riccardi, Biblioteca matematica italiana, Modena 1893, pp. 76 s.; Autori italiani del Seicento, catalogo bibliografico a cura di S. Piantanida - L. Diotallevi - G. Livraghi, Roma 1986 (indici analitici di R.L. Bruni - D. Wyn Evans), III, pp. 48 s.; IV, p. 139; K.H. Veltman - K.D. Keele, Linear perspective and the visual dimensions of science and art, München 1986, ad ind.; L. Rombai, La formazione del cartografo in età moderna: il caso toscano, in Cartografia e istituzioni in età moderna. Atti del Convegno(, Genova-Imperia-Albenga, 1986, Roma 1987, p. 382; K.H. Veltman, Bibliography of the source and literature of perspective, München 2003, sub voce.