LUNATI, Giuseppe
Nato a Roma il 24 apr. 1800 da Giacomo, facoltoso possidente di Frascati, e da Anna Silvani, frequentò con profitto durante il regime napoleonico il Collegio romano per poi laurearsi in giurisprudenza all'Università di Roma. Entrò subito a far pratica nel rinomato studio dell'avvocato G.L. Bartoli e, ancora venticinquenne, fece il suo ingresso nel tribunale della Sacra Rota, prima come assistente di studio dell'uditore C. Falconieri e poi di G.A. Rivadeneyra. Nel 1832 divenne giudice togato nel tribunale civile dell'auditor camerae e dal 1840 fu per oltre sei anni uditore del tribunale supremo della Segnatura.
Aveva intanto cominciato anche a pubblicare opuscoli di carattere linguistico e filosofico (Cenni sull'origine, sul progresso, e stato attuale della lingua italiana, e suoi mezzi acconci per condurla a perfezione, Roma 1827; Sulle ricordanze umane, ibid. 1830) e nel 1832 aveva sposato Rosa Pichi, anche lei di agiata famiglia, da cui ebbe cinque figli che però non sopravvissero ai genitori.
Iniziato presto agli ideali di libertà e di nazionalità, accolse con entusiasmo l'elezione di Pio IX e fu tra i principali esponenti del liberalismo moderato romano che furono coinvolti nel periodo delle riforme. Il 28 luglio 1847 fu designato, per la Comarca, tra i membri della Consulta di Stato e ne divenne presto uno dei più autorevoli e attivi. Firmò, tra l'altro, come relatore della prima sezione (legislativa), il rapporto del 28 febbr. 1848 che, valutando un progetto di riorganizzazione dell'ordinamento giudiziario pervenuto alla Consulta, si esprimeva in favore di un sistema articolato su due gradi di giudizio e una Corte di cassazione. Ma, ancor più che nel campo giuridico, il L., appartenente a una delle più note famiglie di possidenti dell'Agro romano, si mise in evidenza in quello economico-amministrativo; e quando il 4 maggio 1848 T. Mamiani, già suo compagno di studi al Collegio romano, formò il nuovo governo, lo volle con sé al ministero delle Finanze. A sancirne l'acquisita popolarità, derivante dalla riconosciuta integrità morale e competenza professionale, venne poi il grande successo riportato alle elezioni del 20 maggio per il Consiglio dei deputati, che lo videro eletto in ben tre collegi: Roma 3(, Poggio Mirteto e Palestrina. Il L. optò per il primo.
Una volta al governo, visse in prima persona tutte le difficoltà e le contraddizioni che caratterizzarono l'esperimento costituzionale in Roma. Già nella notte che precedette l'apertura delle Camere, fissata per il 5 giugno, fu protagonista insieme con Mamiani di un vivace colloquio con il cardinale L. Altieri per poter prendere visione ed emendare, anche a costo delle dimissioni, il cosiddetto discorso della Corona che il cardinale avrebbe dovuto pronunciare il giorno dopo a nome del papa.
La situazione finanziaria che si trovò a fronteggiare il L. era molto difficile: bisognava far fronte al notevole disavanzo dell'Erario e reperire i fondi necessari alla guerra. La sua politica economica, attenta a salvaguardare le fasce più deboli, fu prudente e accorta. Nel suo intervento del 23 giugno alla Camera, dopo una realistica esposizione delle condizioni finanziarie dello Stato, propose una tassa straordinaria su censi, cambi e crediti fruttiferi, una ritenuta progressiva sugli stipendi dei dipendenti pubblici e la capitalizzazione della tassa fondiaria al 5% per l'emissione di buoni del Tesoro al 3,60%. In precedenza, nell'ambito di un disegno organico dell'apparato amministrativo dello Stato, il L. aveva delineato un modello di struttura funzionale del ministero delle Finanze (Considerazioni per servire alla compilazione di un organico amministrativo centrale con un'Appendice intorno allo studio della statistica, Roma 1848).
Ma ormai le resistenze conservatrici, rinvigorite dall'allocuzione del 29 aprile, minavano sempre di più la politica ministeriale e il L., di fronte a un plateale episodio di trasgressione delle sue disposizioni (G. Gabussi, Memorie(, II, p. 8), diede all'inizio di agosto le dimissioni, seguite da quelle irrevocabili di Mamiani. Partecipò, comunque, alle sedute del 21, 22 e 23 agosto dedicate alla situazione della Banca romana.
In seguito all'assassinio di P. Rossi (15 nov. 1848), alla violenta dimostrazione al Quirinale e alla creazione del cosiddetto ministero democratico con G. Galletti agli Interni, Mamiani agli Esteri e P. Sterbini ai Lavori pubblici, fu chiamato nuovamente al dicastero delle Finanze e nella seduta del 27 novembre espose la necessità di reperire altri 600.000 scudi per l'esercizio del 1848. Ottenne che fosse approvata una nuova emissione di buoni del Tesoro, ipotecati sui beni camerali, alle stesse condizioni di quelli precedenti.
Poi, però, nello smarrimento generale seguito alla fuga del papa e con l'aggravarsi della situazione, il L. non volle rimanere coinvolto nella radicalizzazione delle posizioni e il 4 dicembre si dimise. Tuttavia, prima di ritirarsi in disparte, fu scelto dalla Camera, forse proprio per il suo equilibrio e la sua moderazione, tra i cinque membri della commissione nominata il 9 dicembre da cui uscì due giorni dopo la proposta di creare quella provvisoria e suprema Giunta di Stato che finì per proclamare la Costituente romana a suffragio universale.
Prudente amministratore più che politico, non fece parte dell'Assemblea costituente ma non fece neppure mancare il suo apporto alla Repubblica che, pur in assenza di una formale adesione, lo volle al tribunale della Cassazione e come commissario governativo della Banca romana. Infatti il L., dopo aver confermato il suo prestigio personale nelle elezioni del 19 aprile al Consiglio comunale repubblicano ottenendo il maggior numero di voti dietro F. Sturbinetti, eletto poi presidente, fu prezioso collaboratore di quest'ultimo, tra gli otto conservatori della giunta, come responsabile delle finanze. A lui si dovette, per esempio, una serie di progetti riguardanti il regolamento dell'amministrazione capitolina, la razionalizzazione e riduzione dei costi dei servizi comunali e l'adozione di provvedimenti monetari in difesa del piccolo commercio e dell'economia di sussistenza delle classi più deboli.
Alla caduta della Repubblica, il L. fu nominato il 9 luglio 1849 commissario straordinario delle finanze dal generale francese N.-C.-V. Oudinot, ma, per evitare equivoci e strumentalizzazioni, declinò dopo qualche giorno l'incarico. Anche per lui, comunque, come per i principali esponenti del partito liberale moderato, non si fece attendere la reazione pontificia che lo destinava all'esilio. Questo fu revocato, insieme con quello dell'amico P. De Rossi, soltanto per l'intervento diretto presso il papa dell'ambasciatore di Francia A.-G. de Rayneval. Alla supplica del L., attestante di non aver inteso oltrepassare i limiti della legalità costituzionale, il papa appose di suo pugno il seguente rescritto: "L'Avv. Lunati potrà rimanere tranquillo nello stato Nostro Pontificio, sicuro che si condurrà sempre da buon Suddito e da Cittadino onesto" (Arch. segr. Vaticano, Segreteria di Stato, 1849, rubr. 165, f. 2, cc. 57-61).
Dovendo rinunciare comunque ai precedenti incarichi, il L. trascorse quegli anni in un prudente riserbo e dedicò il suo tempo alla famiglia e agli studi. Nel 1852 perse la figlia Maria di soli 14 anni e nel 1868 anche l'ultima, Anna, già andata sposa ad Annibale Bentivoglio. Intanto aveva pubblicato il primo volume di un'opera che avrebbe dovuto costituire un vero e proprio trattato di economia politica (Dell'armonia dell'economia politica, Firenze 1862).
Il libro era ispirato a una concezione moderatamente protezionista con alla base un adeguato sviluppo dell'agricoltura (fonte primaria anche di commercio e industria), la razionale distribuzione del lavoro e una gradualità progressiva nella produzione e fruizione dei beni di "necessità", di "comodità" e di "piacere" (o anche di "magnificenza" o di "lusso"). Lo scarso successo della pubblicazione fece sì che le altre due parti rimanessero manoscritte.
Pur non partecipando attivamente all'azione politica, il L. fu tra gli associati al Comitato nazionale romano con programma cavouriano. La breccia di Porta Pia lo trovò nuovamente tra i consiglieri municipali e il 15 ott. 1870 il generale A. Ferrero della Marmora, succeduto a R. Cadorna, lo chiamò a far parte della nuova giunta municipale, dalla quale però presto si dimise per divergenze di tipo economico-amministrativo. Ottenuto ancora un lusinghiero successo nelle elezioni comunali e provinciali del novembre ed eletto assessore del Consiglio municipale con il numero maggiore di voti nella seduta del 29 dello stesso mese, divenne presidente dell'Assemblea ed esercitò per primo le funzioni di sindaco di Roma.
Ma, in piena affermazione del libero scambio e nell'imminenza dell'esplosione urbanistica della città, la sua prudente e gradualistica concezione economica suonava come troppo ristretta e ormai superata. Gli inevitabili contrasti d'impostazione in seno alla giunta, più sensibile agli orientamenti ambiziosi del ministro Q. Sella su Roma capitale, lo condussero quindi, già alla metà di dicembre, alle dimissioni dalle funzioni di sindaco, poi da assessore e, infine, il 29 maggio da consigliere. Breve fu anche la sua presidenza al Consiglio provinciale (novembre 1870 - settembre 1871).
Intanto già dal 1( dic. 1870 era stato nominato senatore ma, per le cattive condizioni di salute e per la perdita progressiva della vista, la sua partecipazione alle sedute fu assai limitata.
Pubblicò tuttavia alcuni discorsi che, sebbene mai pronunciati, esaminavano importanti questioni economico-amministrative trattate in aula. Il più rilevante di essi (Discorso sui provvedimenti finanziarii presentati dall'on. ministro delle finanze che non potrà recitarsi in Senato(, Roma 1872) si opponeva alla politica economica di Sella. Nello stesso periodo scrisse anche vari opuscoli di carattere economico e politico: Il capitale ed il lavoro nelle loro attinenze con le spese delle nazioni, Milano 1871; Dell'imposta, Roma 1873; Delusioni politiche e primi studii per troncarne la continuazione, ibid. 1875; Fogli di considerazioni politiche. Di una conciliazione fra la Chiesa e lo Stato, [Roma] s.d.; dopo quarant'anni ritornò anche agli interessi filosofici con un'opera di ispirazione sensistica, Del metodo e della logica, Roma 1871.
Il L. morì a Roma il 3 apr. 1878.
Fonti e Bibl.: Oltre alle citate carte dell'Arch. segreto Vaticano, si vedano: per i dati riguardanti nascita e matrimonio, Roma, Arch. stor. del Vicariato, Parrocchia di S. Marco, Reg. dei battesimi, 1791-1816, f. 89; Posizioni matrimoniali, Ufficio IV, 894/832; per l'iscrizione presso l'Università di Roma e un suo rapporto del febbraio 1848, Arch. di Stato di Roma, Università di Roma, reg. n. 1038; Consulta di Stato, b. 4, f. 106; tre suoi editti a stampa e una lettera di nomina inviatagli dalla Repubblica Romana, in Museo centr. del Risorgimento, bb. 798 (ff. 16/2.6; 17/2), 542 (f. 7/16). La biografia più ampia, che peraltro indica Frascati come luogo di nascita, è quella di A. Cavallini, Le vite di alcuni uomini illustri( Vita di G. L., Roma 1873. Oltre alla rievocazione in Senato (Atti parlamentari, Senato, Discussioni, 15 maggio 1878), altro breve profilo è in F. Gentili, Il Consiglio di Stato romano nel 1848 e il suo vice-presidente Carlo Luigi Morichini (estr. dalla Rass. stor. del Risorgimento, VI [1919]), Tivoli 1919, pp. 11 s.
Si vedano inoltre: G. Gabussi, Memorie per servire alla storia della rivoluzione degli Stati romani(, I-III, Genova 1851-52, passim; Atti del Consiglio comunale di Roma, Roma 1871, vol. I, passim; L. Pompili Olivieri, Il Senato romano nelle sette epoche di svariato governo da Romolo fino a noi(, Roma 1886, II-III, ad ind.; Il Municipio della terza Roma, 1870-1891, Roma 1891, pp. 8-12, 49; A. Chigi, Diario dal 1830 al 1855, Tolentino 1906, I, p. 194; II, pp. 30, 33, 55, 59, 94; C. Tivaroni, L'Italia durante il dominio austriaco, Torino-Roma 1893, II, passim; R. Giovagnoli, Ciceruacchio e Don Pirlone, Roma 1894, pp. 208, 408, 421, 442, 448, 450 s.; Le Assemblee del Risorgimento, I-II, Roma 1911, passim; A.M. Ghisalberti, Nuove ricerche sugli inizi del pontificato di Pio IX e sulla Consulta di Stato, Roma 1939, ad ind.; Id., Roma da Mazzini a Pio IX, Milano 1958, pp. 76, 168; N. Roncalli, Cronaca di Roma, a cura di A.F. Tempestoso-M.L. Trebiliani, I-II, Roma 1972-97, ad indices; F. Bartoccini, Roma nell'Ottocento. Il tramonto della "città santa". Nascita di una capitale, Bologna 1985, ad ind.; A. Caracciolo, Roma capitale, Roma 1993, pp. 83, 207; M. Bocci, Il Municipio di Roma tra riforma e rivoluzione (1847-1851), Roma 1995, ad ind.; L. Francescangeli, Vita quotidiana durante l'assedio nelle carte dell'Archivio capitolino, in Rass. stor. del Risorgimento, LXXXVI (1999), suppl. al n. 4, pp. 75 s., 79; M. Colagiovanni, Pasquale de' Rossi, un liberale nella Repubblica Romana del '49, Roma 2002, passim; G. Moroni, Diz. di erudizione storico-ecclesiastica, LXIV, p. 93; CI, p. 205; CII, p. 162; T. Sarti, Il Parlamento subalpino e nazionale, Terni 1890, p. 592; Enc. biogr. e bibliogr "Italiana", A. Malatesta, Ministri, deputati, senatori dal 1848 al 1922, II, p. 119.