LOMBARDO-RADICE, Giuseppe
, Nacque a Catania il 24 giugno 1879 (ma fu registrato all'Ufficio di stato civile in ritardo, sotto la data del 28 giugno) da Luciano Lombardo, modesto impiegato, e da Nunziata Radice, terzogenito di sette figli. Iniziò gli studi secondari presso il ginnasio-liceo Spedalieri di Catania; poi, trasferito il padre alla dogana marittima di Messina, li completò nel ginnasio-liceo Maurolico di questa città nel 1897. Dopo la maturità vinse il concorso per alunno interno presso la Scuola normale superiore di Pisa, dove nel 1899 conseguì con lode la licenza in lettere e filosofia, discutendo con A. Crivellucci la tesi Uno storico italiano della Rivoluzione francese (in Studi storici, IX [1900], pp. 21-59); nel luglio 1901 si laureò in filosofia nell'Università di Pisa sotto la guida di D. Jaja, filosofo neohegeliano.
Dopo la laurea ottenne una borsa di studio di perfezionamento presso l'Istituto di studi superiori di Firenze, ove conseguì il diploma il 7 nov. 1902; un anno dopo ottenne l'abilitazione all'insegnamento della filosofia a Pisa. A Firenze rimase fino alla fine del 1903, iniziando la sua esperienza didattica presso il rinomato collegio dei barnabiti Alla Querce (1901-02); contemporaneamente si interessò di una scuola per gli orfani dei marinai (1902), ove passava gran parte del suo tempo libero affinando la sua vocazione per la pedagogia.
Nel novembre 1903 vinse il concorso per l'insegnamento nei ginnasi inferiori; insegnò ad Adernò (dal 1929 Adrano) presso Catania (1903-04), e ad Arpino (1904-05); quindi, vinto il concorso per l'insegnamento di pedagogia, fu trasferito prima alla scuola normale maschile di Foggia (1905-06), poi a Palermo (1906-07 e 1907-08) e a Messina (1908). Dopo il violento terremoto che distrusse questa città il 28 dicembre fu destinato a Catania.
Frattanto aveva pubblicato ricerche storiche, filosofiche e pedagogiche che testimoniavano una ricca preparazione culturale: I Siciliani nello Studio di Pisa sino al 1600: note d'archivio (s.l. 1899); Della origine dello scetticismo e dell'antitesi fra legge naturale e positiva nei sofisti (Firenze 1901); L'estetica di B. Croce: notizia (Napoli 1902); Osservazioni sullo svolgimento della dottrina delle idee in Platone (Firenze 1903); Studi platonici (Arpino 1905); Ab imis: a proposito della recente discussione del progetto Rava sull'ispettorato delle scuole medie (Palermo 1907); Le condizioni dell'insegnamento della pedagogia nelle scuole normali maschili e femminili (Bologna 1907); Problemi politici (s.l. 1908).
Il punto di arrivo di questa ricca e complessa formazione, sollecitata anche dalla partecipazione al rinnovamento culturale attuato dalle riviste fiorentine dei primi anni del secolo - da La Voce di G. Prezzolini a L'Unità di G. Salvemini - fu la fondazione di una nuova rivista pedagogica, Nuovi Doveri (il primo numero uscì il 15 apr. 1907), aperta al rinnovamento della scuola, che doveva nascere dalla coscienza magistrale, rendendola consapevole dei "nuovi doveri". La rivista, cui collaborarono G. Gentile e molti altri intellettuali, si collocava in quel risveglio d'inizio secolo, nutrito di grandi speranze di innovazione culturale e sociale e di forte impegno politico. Essa si opponeva altresì a ogni soluzione conservatrice di queste istanze e si qualificava come una palestra di democrazia, di emancipazione, di libertà contro ogni settarismo (forte fu la polemica contro la massoneria accusata di essere un'associazione diretta soltanto allo scambio di favori fra gli aderenti).
Gli articoli apparsi fra il 1907 e il 1910, raccolti nei Saggi di propaganda politica e pedagogica (Palermo 1910), integravano una visione pedagogica di tipo idealistico con una di tipo salveminiano, connessa a una forte tensione etico-politica rivolta all'emancipazione del popolo. Non fu un caso che il L., aderente al Partito socialista italiano (PSI) proprio su posizioni salveminiane, si impegnasse in prima persona - in vista delle elezioni comunali del 24 sett. 1910 - nella lotta politica catanese, fondando il Fascio delle organizzazioni professionali e politiche democratiche con lo scopo di eliminare dall'amministrazione della città le vecchie clientele.
In quegli anni maturò anche il rapporto con Gentile, con il quale tradusse la Critica della ragion pura di I. Kant, per i tipi di Laterza (Bari 1910), e il suo idealismo pedagogico venne ad avvicinarsi a quello gentiliano. Ne fu prova, anni dopo, il volume L'ideale educativo e la scuola nazionale: lezioni di pedagogia generale fondata sul concetto di autoeducazione (Firenze 1916), in cui l'eco dell'attualismo era assai forte.
L'educazione era autoeducazione, interiorizzazione e sviluppo della vita spirituale; era unità fra maestro e scolaro; l'autorità doveva agire nella coscienza (doveva essere riconosciuta e accompagnare lo sviluppo degli altri).
Gli anni dei Nuovi Doveri (dal 1912 Rassegna di pedagogia e politica scolastica) furono anche quelli in cui il L. si impegnò nel lavoro dell'Associazione nazionale per gli interessi del Mezzogiorno d'Italia (ANIMI), insieme con U. Zanotti Bianco, Salvemini, G. Fortunato, e militò nelle file della Federazione nazionale insegnanti scuole medie (FNISM), assumendo in essa un ruolo di critico della formazione dei maestri, ancora satura di idee positivistiche, e indicando, invece, nella "critica dell'esperienza didattica" il vero modello di professionalità magistrale. Idee, queste ultime, che trovarono compiuta espressione nel vero capolavoro del L., Lezioni di didattica e ricordi di esperienza magistrale (Palermo 1913).
Questo testo resta, ancora oggi, una fra le trattazioni più fini e più vive del fare didattica: mette a fuoco con precisione la tensione ideale dell'insegnante, ne stimola la capacità inventiva e comunicativa, e postula, appunto, la "critica didattica" (che è didattica critica e creativa insieme), come suo specifico metodo di lavoro. In quelle pagine emergono già la didattica della collaborazione tra maestro e allievo, che va ricordata come uno dei fattori più innovativi (e vicini all'attivismo) del pensiero del L., e la centralità dell'educazione estetica, così vicina alla natura stessa del bambino.
Il 22 sett. 1910 il L. sposò Gemma Harasim, una maestra di Fiume, da cui ebbe tre figli (Giuseppina, Laura e Lucio). Nel 1911 il L. fu nominato professore ordinario di pedagogia all'Università di Catania dove rimase fino al 1922. Furono anni di messa a fuoco da parte del L. del suo idealismo pedagogico e del suo modello di scuola attiva; nella crisi educativa della scuola il L. vedeva una causa della stessa crisi nazionale, alla quale bisognava rispondere con un impegno ricostruttivo di ideali e di principî di vita spirituale. Proprio tra il 1915, anno di pubblicazione di Come si uccidono le anime (Catania), e il 1920, quando uscì la terza edizione de La milizia dell'ideale (Napoli; 1ª ed., ibid. 1915), egli svolse questo esame, attento e critico, della scuola italiana.
L'idealismo pedagogico del L. è contrassegnato da alcuni principî fondamentali, mediati da Gentile e dalla stessa tradizione hegeliana. In primo luogo, l'educazione verte sulla formazione spirituale del soggetto, lo innalza alla vita spirituale sviluppandone l'interiorità e l'autocoscienza, introducendo l'individuo in un processo di universalizzazione e collegandolo alla cultura, alla storia, alla società. Tale sviluppo è dialettico, fatto di opposizioni, di tensioni, di sintesi sempre messe in discussione e sempre da riconquistare: così l'educazione è spirituale, storica e nazionale, sempre. In secondo luogo, un ruolo fondamentale, in questo sviluppo individuale, è assegnato alla cultura: essa universalizza l'uomo, lo innalza sopra la propria naturalità, lo potenzia nell'interiorità; "il soggetto individuale, in quanto si educa ed educa (= in quanto si fa coscienza), è celebrazione dello spirito universale, della sua umanità vera, per la quale ogni individuo oltrepassa sempre il confine del suo attuale essere […]; per la quale ogni uomo fonda nel suo interesse l'interesse degli altri uomini con cui unifica la sua vita, per raggiungere una comune umanità, cioè una fede in ideali comuni, che si attui nella fraterna collaborazione o reciproca rieducazione" (Lezioni di pedagogia generale, p. 16).
In terzo luogo, il principio della collaborazione, posta come fondamento della formazione umana dell'uomo, come suo mezzo e suo fine, è anche fondamento dell'educare: è sempre un interagire tra soggetti, tra soggetto e azioni, tra soggetto e cultura. L'educazione, così, perde ogni carattere autoritario o solo libertario, per porsi sotto il controllo dell'autorità liberatrice, che agisce in interiore homine. Infine il carattere critico, tanto della pedagogia quanto dell'educazione e della didattica, emerge proprio dalla tensione di vita spirituale che connota sia il fare-educazione sia il pensare-pedagogia. L'esercizio critico qui è antidogmatismo; è collocarsi dentro l'esperienza educativa e formativa e rinnovarla; è sottrarre l'agire educativo a ogni sorta di abitudine e ricollocarlo, sempre e sempre di nuovo, nella dialettica aperta della vita spirituale.
Il modello pedagogico del L., come già accadeva a quello gentiliano, si collocava in pieno sul fronte della "pedagogia della Bildung", della formazione spirituale dell'uomo, elaborato con forza dalla pedagogia tedesca dal Settecento al Novecento. Quel grande modello pedagogico viene ripreso dal L. in dimensione più teorico-pratica e scolastica, ma costituisce lo sfondo su cui si muovono la sua riflessione pedagogica e la sua proposta educativa e didattica. L'idea di spirito, di cultura, di interiorità, di soggetto viene da quella tradizione e in essa trova il proprio sostegno teorico più adeguato. Tali temi, però, il L. rivive a suo modo, con una capacità eccezionale di stare nell'esperienza educativa e di coglierne le tensioni dialettiche.
La visione particolare della scuola rinnovata, elaborata dal L., prese il nome di "scuola serena". È un modello particolare di scuola nuova o attiva in cui al centro si trovano l'attività del bambino e il ritmo stesso del suo svolgimento spirituale, ma si trova anche il maestro come sollecitatore dell'impegno del bambino a sviluppare la sua vita spirituale e a creare le condizioni di lavoro tranquillo, intenso, gratificante. Gratificante proprio perché rispecchia i bisogni profondi del bambino, oltre che le forme del suo apprendere, che sono bisogni estetici e sociali. La "scuola serena" del L., pur con alcune vicinanze relative all'habitat sereno della scuola e al ruolo dell'insegnante, è polemicamente lontana dalla lezione di Maria Montessori, ancora satura di spirito positivistico. Risulta piuttosto più vicina all'esperienza delle sorelle Rosa e Carolina Agazzi, legata a una didattica più reale e spontanea.
Frattanto, dopo lo scoppio della prima guerra mondiale, l'impegno politico del L. subì una svolta. Come molti altri democratici, tra i quali Salvemini, si convinse della necessità dell'intervento in guerra dell'Italia contro gli Imperi centrali. Dimessosi nel settembre dal PSI, espose queste idee in tre articoli apparsi nel Giornale d'Italia (4, 6 e 22 ott. 1914) e in una discussione pubblica con B. Mussolini. Dopo l'intervento italiano il L. chiese di partire volontario per il fronte; dapprima la sua domanda fu respinta, sia perché per la sua forte miopia era già stato riformato alla visita di leva, sia perché il ministero della Pubblica Istruzione lo dichiarò indispensabile per l'università. Infine, dopo avere minacciato le dimissioni dall'insegnamento, fu arruolato; seguì un corso allievi ufficiali a Catania e con il grado di sottotenente dal settembre 1917 fu inviato sul monte Pasubio, nella zona di Vallarsa presso il comando del genio del V corpo d'armata facente parte della 1ª armata.
Qui, subito dopo Caporetto, su sua richiesta, fu addetto dal generale G. d'Havet al servizio di propaganda: in particolare ideò gli "spunti di conversazione coi soldati" che erano inviati a tutti gli ufficiali dei reparti del corpo d'armata. Dopo che nel febbraio 1918 il comando supremo istituì presso tutte le armate le sezioni P (servizio di informazioni, assistenza e propaganda), il L. fu chiamato a organizzare il centro di collegamento con la prima linea presso il X corpo d'armata e nel luglio fu chiamato a dirigere il servizio P della 8ª armata comandata dal generale E. Caviglia. Nell'ottobre, trasferito su sua richiesta, divenne capo sezione P presso la 3ª armata e poté partecipare alla battaglia di Vittorio Veneto.
Nel lavoro di propaganda il L. mise a fuoco una "pedagogia di guerra" di orientamento nazionale, volta a dimostrare l'interesse comune di tutta la nazione nel sostenere lo sforzo bellico.
Mentre secondo gli orientamenti dei comandi superiori prima di Caporetto i soldati dovevano essere tenuti all'oscuro delle motivazioni della guerra, la disfatta dell'autunno 1917 rese necessario un pieno coinvolgimento delle truppe. Tra i documenti redatti dal L. uno dei più interessanti è quello intitolato La guerra è anche per il pane quotidiano (a stampa), in cui dichiarava: "ci battiamo per scongiurare il pericolo del più spaventevole sfruttamento da cui il proletariato sorto dall'industria del XIX secolo sia mai stato minacciato: quello che eserciterebbero […] settanta od ottanta milioni di borghesi tedeschi arroccati nel mezzo del vecchio continente come una casta di bramini in mezzo a una turba di paria […]. Combattiamo per trar fuori il nostro popolo dalla sua grigia fatica di eterno bracciante […]. Per noi la guerra è: rivoluzione contro la Germania per garantire ai nostri popoli il pane quotidiano".
Dopo il ritorno alla vita civile il L., dopo l'esperienza positiva fatta al fronte, propose l'istituzione a Roma di un centro di propaganda educativa, con il compito di elaborare progetti, ricerche, statistiche, iniziative propagandistiche, nell'ottica di formare tra i giovani lo spirito nazionale di cui il Paese era carente. Nel gennaio 1919 ebbe su questo argomento un incontro con il ministro della Pubblica Istruzione A. Berenini, ma il progetto non ebbe seguito, osteggiato dalla burocrazia ministeriale.
Dopo questa battuta d'arresto, nel maggio 1919 il L. avviò la pubblicazione di una nuova rivista, L'Educazione nazionale, in cui sostenne i principî dell'idealismo, indicando proprio nell'opera educativa la via maestra per l'"intimo rinnovamento dell'anima italiana" e costituendo a tal fine il Fascio di educazione nazionale, cui aderirono E. Codignola, Gentile, P. Gobetti, Prezzolini e altri. La rivista dette conto anche delle esperienze di rinnovamento didattico presenti in Italia (da Maria Boschetti-Alberti a Giuseppina Pizzigoni, alle Agazzi). In particolare fu il luogo in cui venne a definirsi la tensione antifascista del pensiero del L., a partire dal 1924.
Dopo la costituzione del primo ministero Mussolini (29 ott. 1922), Gentile, divenuto ministro della Pubblica Istruzione, chiamò il L. a collaborare alla sua riforma scolastica, come direttore generale per la istruzione elementare. Il L. accettò e dette un importante contributo, in particolare con l'elaborazione dei programmi per la scuola elementare (G. Lombardo-Radice, Esame dei programmi per la scuola elementare e testo dei programmi ufficiali del 1923 e del 1924, Milano 1937).
In quei programmi si sottolineava la natura ludico-fantastica del bambino, il "fanciullo poeta", reclamando al centro del lavoro scolastico le attività espressive; "si vietavano" nella scuola "le trite nozioni, che hanno per tanto tempo aduggiato la scuola dei fanciulli", si richiedeva la "schietta poesia, la ingenua ricerca del vero, l'agile indagare dello spirito popolare […]; il rapimento nella contemplazione dei quadri luminosi dell'arte e della vita; la comunicazione con le grandi anime, fatte vive e quasi presenti attraverso la parola del maestro". Qui, poi, le "istruzioni metodiche, ciascun maestro deve scoprirle, come una viva norma, in se stesso, aiutato dallo studio degli autori che hanno meditato sull'educazione o narrato le loro esperienze spirituali o creato per i fanciulli opere suggestive". Canto, disegno e bella scrittura, lettura espressiva e recitazione, esercizi scritti di italiano erano al centro dei programmi e ne costituivano il focus pedagogico.
Nel corso degli anni Venti il L. condusse la sua battaglia per il rinnovamento della scuola, grazie a una serie di testi esemplari: Nuovi saggi di propaganda pedagogica (Torino 1922); Educazione e diseducazione (Firenze 1923); Accanto ai maestri (Torino 1925); Athena fanciulla (Firenze 1926); Scuole, maestri e libri (Palermo 1926); Saggi di critica didattica (Torino 1927); Il nostro Pestalozzi (Roma 1927). Opere che riprendevano e affinavano la sua concezione spirituale dell'educazione e che descrivevano ancora una volta quella "scuola serena", teorizzata al tempo delle Lezioni di didattica, sempre più contrassegnata dal ruolo attivo e critico dell'insegnante, che, come J.H. Pestalozzi, doveva farsi sempre educatore "di anime" e di "cittadini".
Frattanto, portata a termine la riforma dell'istruzione primaria, soggetto alle critiche della moglie e di amici antifascisti, insofferente del progressivo processo di deterioramento della vita democratica, il 6 giugno 1924 (quattro giorni prima dell'assassinio di G. Matteotti) il L. rassegnò le dimissioni dalla carica ministeriale chiedendo il reintegro nella carriera universitaria e rendendo impossibile, per i suoi atteggiamenti antifascisti, la sua nomina a membro del Consiglio superiore della Pubblica Istruzione, che era stata patrocinata da Gentile.
Dapprima formalmente destinato all'Università di Pisa, nell'autunno 1923 ottenne la cattedra di pedagogia presso l'istituto superiore di magistero di Roma.
Dopo la promulgazione delle leggi eccezionali, fu sottoposto dal 1927 alla sorveglianza della polizia politica.
Allontanatosi definitivamente da Gentile, egli sviluppò una sua pedagogia postattualistica, al cui centro sempre più si poneva il soggetto, la cui attività era orientata alla liberazione e non alla sottomissione al maestro, allo Stato, all'autorità e alla conformazione sociale e politica. In questo periodo il L. giunse al superamento del suo pensiero precedente alla luce di una pedagogia, fondata sull'impegno etico-civile. Il suo antifascismo emergeva nettamente dalle "tante note polemiche e combattive de L'Educazione Nazionale", dai collaboratori ospitati nella rivista (Vladimiro Arangio Ruiz, G. De Ruggiero, U. La Malfa, A. Omodeo, M. Ruini), dall'attenzione posta alla cultura regionale e locale (contro quella statalista del governo), dal richiamo "sovrapolitico" all'infanzia e alla giovinezza. Era un antifascismo "nutrito da profondo senso popolare di rispetto e di valorizzazione per gli individui e le tradizioni culturali ambientali". Un antifascismo che valorizzava la collaborazione, il pluralismo, l'intesa libera, la democrazia. In particolare il saggio Accanto ai maestri, pubblicato nel 1925 (ma compiuto nell'autunno dell'anno precedente), "costituisce il suo significativo passaggio all'antifascismo", indicando gli "errori tipici" del "paese", politici soprattutto, e ponendosi al servizio della scuola per dar vita a generazioni nuove di italiani, tenute lontane "dalla violenza e dalla retorica" (Cives, 1983).
Nel 1931 si piegò a prestare il giuramento di fedeltà al regime fascista: ma ciò non impedì che gli fossero mosse altre persecuzioni. Il 19 apr. 1933 il prefetto di Roma gli comunicò la decisione di sospendere le pubblicazioni dell'Educazione nazionale. Il successivo 17 maggio il ministro dell'Educazione nazionale, P. Fedele, gli comunicò l'intenzione di proporre al Consiglio dei ministri la dispensa del L. dal servizio per avere "fatta mostra, ad ogni proposito, di assoluta e incondizionata adesione verso chi ha assunto aperto e tenace atteggiamento di recisa opposizione al fascismo" (in Riforma della scuola, p. 116). Per intercessione di alcuni amici del L., Volpe, Prezzolini, lo stesso Gentile, Caviglia, L. Razza, il provvedimento non ebbe seguito.
Tra le ultime opere del L. va ricordata Pedagogia di apostoli e di operai (Bari 1936), che rimanda a quel modello di pedagogia già fissato negli anni precedenti il 1910 e che coniuga riflessività filosofica e impegno politico-sociale. Essa si apre con il richiamo a Pestalozzi, pedagogista, "apostolo e operaio" dell'educazione, così vicino al popolo e teorico di una pedagogia per la scuola, che unisca intuizione e ragione nell'esperienza magistrale. Seguiva poi la presentazione di R.W. Emerson come il "profeta" dell'educazione nuova, quella di A. Patri, educatore e maestro del popolo, quella di G. Cena, poeta ed educatore, rivolto a "innalzare il livello etico di tutto l'ambiente: educare, in una parola, coi fanciulli tutto il ceto sociale a cui appartengono" (Pedagogia di apostoli e di operai, p. 200). In quello stesso anno 1936 il L. fu chiamato dal governo del Canton Ticino a redigere i programmi scolastici.
Il L., pur "uomo non senza contraddizioni, in un'epoca di profonde contraddizioni, socialista e idealista, meridionalista e interventista democratico, monista e pluralista, ispirato a Gentile e a Croce ma anche al realista e positivista Salvemini", fu un intellettuale "coerente nella sua onestà", "nelle sue sensibilità", nella sua "operosità infaticabile e animatrice della scuola del popolo" (Cives, 1983, p. XI).
Egli è stato un filosofo che ci ha dato il modello pedagogico-educativo più avanzato dell'idealismo, un tipo di pedagogia della Bildung trascritta anche in termini operativi, ma soprattutto un'analisi critica dell'esperienza educativa e didattica di altissimo significato, in quanto capace di rimandarcene la problematicità e l'impegno razionale che la rappresentano, patrimonio mentale di ogni educatore e pedagogista. La pedagogia del L. ha avuto, tra le due guerre, un ruolo fondamentale nella formazione della classe magistrale, sollecitandola all'esercizio di una professionalità, a un tempo, colta, pedagogicamente orientata e aperta a una soluzione creativa dei problemi didattici.
Il L. morì il 16 ag. 1938 a Cortina d'Ampezzo, durante un'escursione verso il rifugio Croda da Lago.
La moglie del L., Gemma Harasim, nacque a Fiume il 15 luglio 1876, figlia di Venceslao, capitano marittimo di lungo corso di origine boema, e di Antonia Lucich. Compiuti gli studi magistrali, divenne insegnante presso la scuola cittadina di Fiume (scuola secondaria del Comune). Nel 1906 pubblicò a Fiume Sull'insegnamento della lingua materna, che inviò a B. Croce; questi la mise in contatto con il Lombardo-Radice. Nel 1908 la Harasim scrisse per Nuovi Doveri alcuni articoli. Negli anni accademici 1907-08 e 1908-09, fruendo di una borsa di studio si recò a Firenze per frequentarvi corsi presso l'Università, sotto la guida di Guido Mazzoni. Qui si legò al gruppo della Voce e, tornata nella città natale, inviò a Prezzolini quattro lettere, le Lettere da Fiume, che furono pubblicate nella Voce (19 giugno, 8 luglio, 9 e 30 sett. 1909), presentando un acuto quadro della situazione esistente nel capoluogo del Quarnaro, ove vi era la compresenza di tre culture diverse: italiana, croata e ungherese. Dopo il matrimonio con il L. la Harasim visse all'ombra del marito, collaborando con lui nella sua elaborazione pedagogica, ma non rinunciando all'espressione delle sue idee. Nel 1915, socialista e pacifista, non condivise l'interventismo del L. e nel 1922 cercò invano di dissuaderlo dall'accettare l'incarico offertogli da Gentile, non nutrendo alcuna fiducia nel governo Mussolini. Durante i mesi dell'occupazione nazista di Roma (9 sett. 1943 - 4 giugno 1944) fece della sua casa un punto di incontro degli esponenti della Resistenza romana. Morì a Roma il 31 luglio 1961.
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