LOGOTETA, Giuseppe
Nacque a Reggio Calabria il 12 ott. 1758 da Vincenzo e da Laura Del Giudice, provenienti da due famiglie locali. Dopo primi studi irregolari e una breve permanenza in seminario il L. interruppe il tradizionale iter orientandosi alla gestione delle proprietà fondiarie della famiglia e alla caccia. Accertata l'indisponibilità dei due fratelli maggiori, il padre lo persuase al matrimonio, che avvenne nel 1782, con Ignazia Musitano, giovane e intelligente erede di una delle famiglie più potenti di Reggio.
Il terribile terremoto del 1783 provocò danni e lutti anche al L., costretto ad abbandonare la casa paterna e a stabilirsi in un insediamento di fortuna nelle vicinanze della città. Qui divenne amico del cavaliere gerosolimitano Giandomenico Bosurgi, esponente di spicco del patriziato locale e titolare di importanti uffici nell'amministrazione reggina. Nella baracca del Bosurgi si leggevano gazzette e periodici e si discutevano notizie provenienti da tutta Europa e soprattutto da Napoli, dove uscivano i primi volumi della Scienza della legislazione di G. Filangieri, che sviluppavano le implicazioni politiche della lezione di A. Genovesi.
La frequentazione dei Bosurgi - alcuni dei quali erano aderenti alla massoneria - e la necessità di confrontarsi su tematiche che esigevano raffinati strumenti culturali spinsero il L. a riprendere gli studi. Sotto la guida del canonico D. Nava, insegnante nel seminario reggino, studioso di scienze e aperto alla lezione genovesiana, tentò di colmare le sue molte lacune e si appassionò agli studi storici e antiquari. Per ricostruire le complesse vicende di Reggio e della Calabria meridionale studiò i protocolli dei notai e la documentazione nella curia arcivescovile e in altre istituzioni della città e di quelle vicine. Contestualmente formò una biblioteca ricca di rari e costosi volumi, dei quali non è rimasta traccia. Nel 1784 entrò nella vita pubblica con l'elezione a sindaco dei nobili.
L'elezione fu contestata perché il governatore regio, G.B. Elia, avrebbe visto con favore, al posto del L., uno dei Musitano. L'aspro scontro, originato da questioni amministrative e da lotte tra gruppi di potere locali, lo vide opporsi alle mire dei congiunti della moglie, non disposti a cedere le loro prerogative in ambito cittadino; il contrasto si concluse a suo favore solo per l'intervento del governo centrale, che ordinò di reintegrare i sindaci eletti.
Nonostante il clamoroso successo il L. rinunciò all'incarico e nel 1786 si trasferì a Napoli per continuare gli studi e le ricerche storico-archeologiche ma anche per curare una sordità incipiente. Le fonti non permettono di avvalorare l'affermazione di alcuni biografi circa il conseguimento del titolo dottorale in giurisprudenza né tanto meno la qualifica di avvocato, attribuitagli in datati repertori. Nella capitale il L. divenne presto animatore di un folto gruppo di calabresi originari di Reggio, Tropea e altri centri dell'estrema provincia del Regno. Assiduo frequentatore dei circoli politico-letterari che si riunivano in casa dei marchesi Grimaldi e dei fratelli De Gennaro, entrò in contatto con l'abate A. Jerocades, instancabile tessitore di reticoli massonici. In anni in cui nuclei rilevanti della massoneria partenopea si aprivano alle suggestioni politiche provenienti dalla Francia - in special modo dalle logge di Marsiglia - e mutuavano il modello organizzativo e il linguaggio rivoluzionario dei clubs repubblicani, il L. radicalizzò le sue posizioni a sostegno di più incisive riforme economiche e istituzionali.
Le amicizie e i vincoli massonici consolidati a Napoli non furono certo estranei alla nomina a magistrato del Consolato del commercio di terra e di mare, nel 1791, tribunale competente nelle cause civili e attivo anche nella città natale. Tornato quindi a Reggio, riprese a interessarsi dei problemi amministrativi. Sempre presente nel Decurionato e, nel 1791, deputato dell'Annona, non si limitò alla mera azione esecutiva, ma elaborò anche articolati programmi di riforma della gestione del potere e delle risorse locali.
Nel 1792 pubblicò due opuscoli (Nuovo progetto di un Monte frumentario per la città di Regio, e Memoria per l'abolizione delle assise nella città di Regio), dove era chiara l'influenza delle correnti francesi e napoletane favorevoli a una revisione in senso liberistico dei meccanismi del credito e dei prezzi dei beni primari. Le sue proposte coincidevano con l'orientamento riformatore che, sotto la spinta di G. Palmieri, il Supremo consiglio delle finanze, pur con difficoltà e ritardi, aveva impresso al governo. Le pressioni convergenti dei commercianti e del ceto proprietario, irrobustito dall'acquisto dei beni alienati dalla Cassa sacra dopo il terremoto del 1783 e interessato a eliminare i vincoli imposti al mercato dei prodotti agricoli, nell'ultimo decennio del Settecento portarono il governo a decidere di limitare l'imposizione di calmieri. A Reggio l'abolizione delle assise del vino, del pesce e della frutta scatenò la violenta reazione dei ceti popolari, manovrati da chi traeva enormi benefici dall'arcaico sistema annonario. L'episodio rinnovò lo scontro tra il L. e le famiglie locali tradizionalmente egemoni che, di nuovo, poterono contare sull'appoggio determinante del governatore.
Sempre nel 1792, quando G.M. Galanti, visitatore generale delle province del Regno di cui era incaricato di redigere una descrizione, si recò in Calabria, il L. gli fece pervenire una Memoria sullo stato politico ed economico della città di Regio che denunciava l'intreccio tra gli interessi privati di rappresentanti delle istituzioni centrali, pubblici amministratori e titolari di uffici periferici. I notevoli danni derivanti alla popolazione - costretta a subire estorsioni, aggravi fiscali, menomazione dei diritti in tema di amministrazione della giustizia - imponevano un'inversione di rotta. I duri contrasti esplosi tra le fazioni cittadine per il rinnovo dei sindaci e l'affissione di un manifesto a stampa che riprendeva le tesi della Memoria provocarono l'intervento del nuovo governatore, G. Dusmet. Accusato esplicitamente di essere "nel numero de' Masoni, e lodatori delle novelle massime francesi" (Spanò-Bolani, p. 190), il L. fu tenuto in carcere a Messina fino al luglio del 1793, quando non meglio identificati amici napoletani, contattati dalla consorte, ne ottennero la scarcerazione.
Negli anni successivi partecipò sempre più all'attività delle logge e dei circoli repubblicani. La sua dimora a Napoli divenne luogo di incontro e scambio di informazione per i reggini residenti nella capitale. Compì numerosi viaggi nella città natale, dov'era attivissima la loggia raccolta in casa di C. Plutino, animata dagli stessi fratelli del L. e dall'antico maestro Nava. Non tralasciò comunque la passione per l'antiquaria che, ora, si colorava di inedite sfumature politiche.
Nel suo lavoro Il tempio di Iside e di Serapide di Regio (Napoli 1794; 2a ed., ibid. 1795), prese spunto da un'iscrizione rinvenuta nelle fondazioni di un palazzo per ricostruire il diffondersi del culto delle divinità egizie in epoca romana. In pagine di rilievo stigmatizzò la proliferazione di templi e culti nella Roma tardo repubblicana. Le critiche al Senato romano - incapace di opporsi alle mire di Cesare ("dittatore deificato", ibid., p. 50) - e all'uso strumentale della religione da parte di Augusto rivelano l'approdo al repubblicanesimo, in significativa concomitanza con la scoperta e la violenta repressione delle prime congiure giacobine.
Nel settembre 1797 l'assassinio a Reggio del governatore G. Pinelli scatenò un'ondata di perquisizioni e arresti nei confronti dei liberi muratori calabresi. In seguito a delazioni di infiltrati nella loggia reggina, nel dicembre 1798 finirono in carcere la moglie, il fratello Giovan Matteo e gli amici più intimi del Logoteta. Egli stesso fu colpito da mandato di arresto, ma scampò riparando a Napoli dove, in breve, divenne un protagonista della svolta rivoluzionaria.
Il 22 genn. 1799, penetrato con altri patrioti in Castel Sant'Elmo, vi firmò il cosiddetto Progetto di decretazione presentato ai patrioti napoletani e nazionali, contenente la dichiarazione di decadenza di Ferdinando IV e la proclamazione della Repubblica. Chiamato a far parte del governo provvisorio, il L. entrò anche nel Comitato di legislazione, che doveva occuparsi delle leggi "riguardanti l'abolizione di tutti i diritti, e di tutti gli usi contrari a' principi della libertà e del Governo democratico" (art. VII della legge del 9 piovoso anno VII [28 genn. 1799], in Rao, p. 482). Fu rilevante il suo contributo alla discussione sulla legge feudale; il suo voto a favore della proposta di G. Albanese "trasse seco quello degli altri" (Il Monitore, p. 427) e fece approvare una normativa che, pur abolendo la feudalità e tutti i diritti connessi (giurisdizionali, personali e proibitivi), attribuiva ai baroni un quarto del demanio feudale e rendeva le terre feudali proprietà allodiale, libera da vincoli come l'adoa, il relevio e la devoluzione ma soggetta alle imposte ordinarie.
La sua attività legislativa si estese in più direzioni. Per risolvere contrasti circa l'elezione dei magistrati, pur convenendo con quanti sostenevano l'opportunità dell'elezione popolare, il L. osservò che le condizioni contingenti non la consentivano. Perciò, in via provvisoria, la nomina doveva essere delegata a una commissione costituita allo scopo. Fu instancabile il suo impegno per la mobilitazione delle province contro i realisti del cardinale F. Ruffo. In un'Arringa a' popoli della Calabria incitò i suoi conterranei - eredi di quei colonizzatori greci che sulle coste italiche portarono "la più pura democrazia" (Il Monitore, p. 146) - a sostenere con vigore la Repubblica. In altre occasioni non disdegnò, con qualche disinvoltura, di piegare alla propaganda rivoluzionaria vicende storiche come i Vespri siciliani e la peste del 1743 a Messina. Non tacque però sulle difficoltà in cui si dibatteva la lotta dei patrioti. Riferendo alla Commissione esecutiva sulla situazione osservata di persona in alcuni dipartimenti, denunziò con forza il "profondo letargo" (Il Monitore, p. 576) dello spirito pubblico, causa primaria delle vittorie dei sostenitori del deposto sovrano.
Nonostante la percezione della sconfitta imminente, il suo attivismo non conobbe soste. Come censore teatrale autorizzò la diffusione dei programmi di balletti patriottici. Alla fine di maggio, con le masse del Ruffo ormai dilaganti, in un accorato discorso nella Società centrale de' patrioti rivendicò la sua ventennale adesione all'idea repubblicana e cercò di convincere l'uditorio ad aver fiducia nell'imminente arrivo di truppe francesi e a vigilare per non consentire ai sanfedisti di infiltrarsi nella guardia nazionale. Il vibrato appello mirava a ridestare l'entusiasmo dei patrioti, puntando su gesti simbolici come la distruzione delle "tombe di tanti re, e delle loro scellerate compagne", autentici "monumenti di schiavitù" (Il Monitore, p. 596). Né il L. mancò di dimostrare in maniera tangibile i suoi convincimenti, contribuendo con 100 ducati alle ingenti spese per la difesa della capitale.
Al ritorno della monarchia, la Giunta di Stato gli confiscò i beni fondiari e le fedi di credito, frutto del lavoro nei pubblici uffici. Condannato a morte, il L. fu impiccato a Napoli il 28 nov. 1799.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Reggio Calabria, Fondo notarile, Notai di Reggio di Calabria, Protocolli del notaio Vincenzo Lo Faro, b. 461, vol. 2501; Arch. di Stato di Napoli, Amministrazione dei beni dei rei di Stato, f. 225, n. 76; Napoli, Arch. storico del Banco di Napoli, Banco di S. Giacomo, Bancali di banco, 9 ott. 1799; Cartediverse, 14 nov. 1799; M. Battaglini, Atti, leggi, proclami ed altre carte della Repubblica napoletana 1798-1799, Chiaravalle Centrale 1983, I, pp. 318, 387, 392; II, pp. 971, 992, 1220, 1317, 1349; III, p. 1816; Napoli 1799. I giornali giacobini, a cura di M. Battaglini, Roma 1988, pp. 211 s., 223 s.; G.M. Galanti, Scritti sulla Calabria, a cura di A. Placanica, Cava de' Tirreni 1993, pp. 455, 467, 471, 555-558; M.-A. Jullien, Lettere e documenti, a cura di M. Battaglini, Napoli 1997, pp. 311, 515; V. Cuoco, Saggio storico sulla rivoluzione di Napoli (1801), a cura di A. De Francesco, Manduria 1998, pp. 322, 508; C. De Nicola, Diario napoletano 1798-1825, a cura di R. De Lorenzo, I, Napoli 1999, pp. 37, 271, 342, 383, 389; Il Monitore napoletano, a cura di M. Battaglini, Napoli 1999, pp. 31, 38, 60, 98 s., 112, 140, 145, 350, 427, 429, 497, 576, 594, 650; La Repubblica napoletana. Diari, memorie, racconti, a cura di M. Battaglini, I, Milano 2000, pp. 134, 191, 201; D.M. De' Logoteta, G. L., in appendice a L. Accattatis, Le biografie degli uomini illustri delle Calabrie, III, Cosenza 1877, pp. 337-342; M. d'Ayala, Vite degl'italiani benemeriti della libertà e della patria, Torino-Roma-Firenze 1883, pp. 335-340; D. Spanò-Bolani, Storia di Reggio di Calabria, II, Reggio Calabria 1891, pp. 186-193; Gli avvenimenti del 1799 nelle Due Sicilie. Nuovi documenti, a cura di A. Sansone, Palermo 1901, pp. CXIII, 223, 253, 340; C. Morisani, Massoni e giacobini a Reggio Calabria, 1740-1800, Reggio Calabria 1907, pp. 8, 11 s., 14, 17, 21 s., 27; A. Simioni, Le origini del Risorgimento politico dell'Italia meridionale, Messina-Roma 1925-30, I, pp. 520-522; II, pp. 452-455; L. Aliquò-Lenzi, Gli scrittori calabresi, II, Reggio Calabria 1955, p. 326; G. Cingari, Giacobini e sanfedisti in Calabria nel 1799, Messina-Firenze 1957, pp. 107 s., 113 s.; R. Villari, Mezzogiorno e contadini nell'età moderna, Roma-Bari 1977, p. 47; A. Placanica, Alle origini dell'egemonia borghese in Calabria, Chiaravalle Centrale 1979, p. 181; V. Mezzatesta, G. L. di Reggio Calabria, in Studi meridionali, I-II (1981), pp. 1-14; T. Pedìo, Massoni e giacobini nel Regno di Napoli, Bari 1986, pp. 226 s.; A.M. Rao, La Repubblica napoletana del 1799, in Storia del Mezzogiorno, IV, 2, Roma 1986, pp. 480, 486; C. Petraccone, Napoli nel 1799: rivoluzione e proprietà, Napoli 1989, pp. 38, 40, 47-50, 58, 67; G. Galasso, La filosofia in soccorso de' governi. La cultura napoletana del Settecento, Napoli 1989, pp. 648, 650, 659; M. Battaglini, La Repubblica napoletana. Origini, nascita, struttura, Roma 1992, pp. 157, 160, 210, 213, 235; M. Battaglini, Mario Pagano e il progetto di costituzione della Repubblica napoletana, Roma 1994, pp. 17-23; B. Croce, La rivoluzione napoletana del 1799: biografie, racconti, ricerche (1948), con nota introduttiva di F. Tessitore, Napoli 1998, pp. 51, 66, 269; E. Nappi, Banchi e finanze della Repubblica napoletana, Napoli 1999, pp. 85, 112, 123, 126; F. Assante, Rivoluzione e controrivoluzione in Calabria, in La rivoluzione napoletana del 1799 nelle province in relazione alle vicende storiche dell'Italia giacobina e napoleonica (1799-1815), a cura di A. Cestaro, Venosa 2002, pp. 116, 118; M. Battaglini, Il "pubblico convocìo". Stato e cittadini nella Repubblica napoletana del 1799, Napoli 2003, pp. 81, 85, 149, 259, 263.