LAMBERTI, Giuseppe
Nacque a Reggio nell'Emilia il 23 apr. 1801 da Giacomo e da Eleonora Bernardoni. La posizione sociale e l'ideologia abbracciata dal padre durante la dominazione napoleonica condizionarono molto la sua formazione, che ebbe inizio a Milano, dove la famiglia si era trasferita, e proseguì a Reggio nell'Emilia dopo il ritorno degli Austriaci. A causa dell'ingresso precoce nel mondo carbonaro, quella del L. non fu, comunque, una formazione né regolare né continua, e si interruppe definitivamente nel settembre del 1823, quando la notizia di un interessamento della polizia ducale alle sue attività cospirative lo costrinse a rifugiarsi in Toscana, interrompendo gli studi di legge e una relazione sentimentale che il 23 apr. 1824 lo rese padre di una figlia, Maddalena Sofia, affidata a una coppia di coniugi e solo più tardi (1842) da lui riconosciuta.
Da questo suo primo esilio lo sottrasse l'effimera rivoluzione modenese del 1831. Tornato in patria per unirsi agli insorti, il L., dopo aver preso parte allo scontro di Rimini come ufficiale nella colonna del generale C. Zucchi, il 29 marzo si imbarcò ad Ancona per evitare di cadere nelle mani degli Austriaci. Giunse a Marsiglia il 31 maggio e, dimentico del proprio passato di carbonaro, si affiliò sin dalla fondazione alla prima Giovine Italia; arruolato tra i compilatori dell'omonima rivista militante, sposò le idee di Mazzini con un fideismo assoluto e con l'esclusivismo di chi non vedeva altra soluzione al problema italiano che quella unitaria e repubblicana, e fu questa saldezza che gli consentì di non avere oscillazioni anche dopo i vari fallimenti delle iniziative insurrezionali.
Per la Giovine Italia sopportò privazioni, spese sino a indebitarsi i pochi soldi che gli arrivavano dall'Italia, accettò provvedimenti vessatori di polizia (all'inizio del 1833 gli fu ingiunto di entrare in un deposito per fuorusciti o di lasciare la Francia: scelta questa seconda soluzione, raggiunse Mazzini a Ginevra). Mazzini, che non aveva tardato a fare di lui il suo confidente più informato, avrebbe ricordato a lungo l'apprensione che il 3 febbr. 1834, riprendendosi dallo svenimento che lo aveva colto durante la spedizione di Savoia, aveva letto negli occhi del Lamberti.
Tuttavia, proprio l'insuccesso nella Savoia e qualche malinteso di carattere personale parvero per un momento demotivare il L. che, espulso da Ginevra e accolto temporaneamente a Berna, aveva cominciato a lavorare come precettore, e in tale veste aveva intrapreso nel luglio 1835 un viaggio di alcuni mesi nell'Europa del Nord, toccando varie città di Olanda, Germania e Svezia. Al ritorno a Parigi ritrovò gli amici mazziniani e la vita difficile dell'esule, presto aggravata nel suo caso dalla scomparsa del padre e dalla malattia polmonare di cui avrebbe sofferto per il resto dei suoi giorni. Lo risollevò dall'inerzia politica il rilancio della Giovine Italia che, a metà 1839, precedette di poco la nascita della Legione italica, fondata da N. Fabrizi con la dichiarata intenzione di assumere la guida dell'attività insurrezionale lasciando a Mazzini il ruolo dell'ideologo. Amico di entrambi, il L. fece il possibile per sanare il dissidio subito insorto e togliere così "lo scandalo d'una divisione" (Protocollo, I, p. 111): non riuscendoci, non esitò a schierarsi con Mazzini. D'intesa con lui accettò di reggere la segreteria della Congrega centrale di Francia, l'organismo con cui a partire dal febbraio del 1841 il mazzinianesimo, coordinando tra di loro tutti i vari rami della cospirazione, fece il possibile per uscire dalla crisi operativa che lo travagliava da tempo. Lo affiancarono in questa fatica, che presto gravò quasi tutta sulle sue spalle, altri due esuli, i modenesi P. Giannone e G.B. Ruffini.
Del lavoro che il L. svolse tra il 1840 e il 1848 resta ampia testimonianza in quello che fu chiamato il Protocollo della Giovine Italia, tre registri manoscritti con grafia minutissima, quasi dei copialettere, in cui egli riassunse scrupolosamente la corrispondenza della Congrega sia in arrivo sia in partenza. Affidati alle cure dello storico M. Menghini, furono poi editi in 6 volumi tra il 1916 e il 1922 dall'editore Galeati di Imola per conto della Commissione editrice degli scritti di G. Mazzini e costituiscono una fonte indispensabile per la conoscenza delle trame cospirative mazziniane e della loro capillare diffusione nell'Italia prequarantottesca.
Impegnandosi a fungere da terminale della fitta rete di collegamenti stesa tra i repubblicani esuli in Europa e nelle due Americhe, il L. non si limitò a fare l'amanuense: temperamento scontroso ma non privo di agganci con la società francese, si occupò anche di ricevere e assistere gli esuli che arrivavano a Parigi senza sapere dove andare; spesso dovette trovar loro una sistemazione o erogare piccole somme di danaro ricavate dalla sua continua ricerca di finanziamenti. Un'attività parallela di reperimento di armi per i progetti insurrezionali del 1843 lo espose ai controlli della polizia: ne uscì sempre bene ma non sempre fu in grado di smascherare le spie e gli infiltrati che gli giravano intorno (gli sfuggì, per esempio, la doppia natura di personaggi quali A. Partesotti e M. Accursi). Ma gli sforzi maggiori dovette dedicarli a tenere politicamente unito un ambiente per sua natura conflittuale come quello dell'emigrazione: su di lui che credeva ciecamente nell'iniziativa popolare tutta l'esperienza del moderatismo filosabaudo o giobertiano passò senza lasciar traccia; più difficile fu evitare che altri ne restassero contagiati, e quando ciò avvenne la sua fu una reazione di grande amarezza e delusione, tale da rendere più penosa la sua già precaria condizione di salute.
Allo scoppio del 1848 il L. non fu tra i primi a tornare in patria, trattenuto più di altri dalla necessità di chiudere il Protocollo (la cui ultima annotazione risale al 6 aprile) solo dopo che il baricentro operativo si era ormai spostato verso l'Italia. A Milano, nel maggio, rivide Mazzini che, per una più efficace conduzione della guerra all'Austria, avrebbe voluto più propenso a una linea di conciliazione con tutte le forze liberali, comprese quelle moderate. Ciononostante, a Reggio nell'Emilia non fu accolto bene dalla dirigenza filopiemontese e solo il 20 giugno fu accettato nel governo provvisorio. Costretto a lasciare la città dal ritorno degli Austriaci, vagò per la Toscana finendo per essere arrestato con l'accusa (infondata per via della sua ostilità a F.D. Guerrazzi) di aver preso parte ai disordini livornesi del 3-4 settembre. Tornò libero dopo 15 giorni e riprese a peregrinare da una città all'altra nel tentativo di rimettere insieme i fili della trama insurrezionale riorganizzando il partito, contrastando le spinte federalistiche e diffondendo l'idea di una Costituente italiana autoconvocata. Fu anche un paio di volte a Roma, ma quando Mazzini, proclamata la Repubblica, ve lo chiamò, non se la sentì di accettare incarichi, così come il 5 apr. 1849 rifiutò la carica di preside di Ravenna cui l'aveva designato il Triumvirato. Gli fu poi concesso di tornare a Reggio nell'Emilia, dove la polizia non cessò di sorvegliarlo e dove consumò gli ultimi due anni di vita.
Il L. morì a Reggio nell'Emilia il 24 genn. 1851.
Prima della sua scomparsa aveva redatto un testamento in cui disponeva un lascito del valore di 300 franchi per Mazzini. Le onoranze che il governo ducale aveva vietato per timore di disordini gli furono rese il 26 genn. 1862 per iniziativa dell'amico G. Grilenzoni e della Società operaia reggiana.
Fonti e Bibl.: Per la natura stessa del lavoro affidatogli tra il 1840 e il 1848 il L. fu in contatto con moltissimi esponenti della democrazia italiana; d'altronde, l'esistenza del Protocollo della Giovine Italia (per il quale v. l'introduzione di M. Menghini al vol. I dell'ed. cit. da lui curata) dà ampiamente conto della sua corrispondenza in quel periodo: vi sono infatti regestate molte fra le lettere (circa 50) conservate nell'Archivio del Museo centrale del Risorgimento di Roma (cfr., ibid., lo schedario cartaceo), alcune delle quali, dirette a N. Fabrizi, apparvero nella Rivista di Roma, nei fascicoli 43 del 22 ott. 1899, pp. 1028 s., e 22 del 3 giugno 1900, pp. 509 ss. A parte le lettere direttegli da Mazzini, ora in G. Mazzini, Ed. naz. degli scritti (per la consultazione v. gli Indici, II, ad nomen), altro materiale è stato edito da C. Trasselli, Sui rapporti tra Michele Amari e G. L., in La Sicilia nel Risorgimento italiano, II (1932), pp. 23-28, da C. Rotondi, Un carteggio inedito di G. L., in Rass. stor. del Risorgimento, XLI (1954), pp. 575-581, e da C. Arrigoni, Un carteggio inedito di G. L. (1837-1847)… lettere da Parigi all'amico Giovanni Tirelli…, Torino 1957, o utilizzato negli studi a lui dedicati, tra i quali si segnalano: N. Campanini, G. L. sulla via dell'esilio, in Rass. stor. del Risorgimento, IV (1917), pp. 292-306; R. Marmiroli, G. L., in Il Milleottocentoquarantotto a Reggio Emilia, Reggio Emilia 1948, pp. 87-91; Id., L., Milano 1949; F. Della Peruta, Mazzini e i rivoluzionari italiani. Il "partito d'azione", 1830-1845, Milano 1974, ad indicem.