GRIOLI, Giuseppe
Nacque a Mantova il 4 apr. 1825 da Luigi e da Livia Nardini. Giovane lavorante in un negozio di pollami, fu probabilmente indotto dall'esempio del fratello Giovanni ad accostarsi al mondo della cospirazione ancora prima dello scoppio rivoluzionario del 1848; e, quando la Lombardia insorse, si arruolò come volontario agli ordini di N. Mambrini nel corpo dei bersaglieri mantovani "Carlo Alberto". Ristabilita la dominazione austriaca, insieme con Mambrini raggiunse a Genova la legione di Garibaldi e con lui prese parte nel 1849 alla difesa della Repubblica Romana, riportando una ferita alla spalla durante il combattimento del 3 giugno. Ottenne così il grado di sottotenente e, a distanza di molti anni, la medaglia commemorativa per la difesa di Roma.
Rimpatriato, mentre iniziava un'attività di piccolo fittavolo di campagna, il G. entrò nel comitato mazziniano di Mantova e, d'intesa con altri congiurati del posto (L. Castellazzo, G. Acerbi, A. Mori) e dietro le indicazioni del capo-circolo, don G. Tazzoli, viaggiava frequentemente per collegare tra di loro i comitati di Brescia, Pavia, Cremona. La prospettiva della futura insurrezione in cui si inseriva questa pericolosa attività settaria fu però temporaneamente bloccata dall'improvviso arresto, il 28 ott. 1851, del fratello Giovanni e dalla pena capitale inflittagli, e subito eseguita nonostante il G., dal Piemonte dove aveva fatto in tempo a rifugiarsi, avesse scritto alle autorità austriache per addossarsi tutte le responsabilità dei reati di subornazione di militari e di cospirazione che ne avevano originato la condanna.
Anziché convincerlo a desistere, la morte del fratello e la condanna a morte in contumacia che lo raggiunse mentre era in esilio a Zurigo costituirono per il G. un motivo di più per impegnarsi nella militanza rivoluzionaria sulla base delle direttive che Mazzini faceva pervenire a lui e agli altri congiurati in prossimità di quello che sarebbe stato il moto milanese del 6 febbr. 1853 e anche dopo il fallimento dello stesso.
Represso, infatti, quest'ultimo tentativo, il G. riprese i suoi spostamenti da un posto all'altro allo scopo di rinfocolare in Lombardia il sentimento antiaustriaco; nell'aprile 1854 fu però arrestato a Lodrino, presso Brescia: trovato in possesso di lettere di Mazzini e dell'ungherese L. Kossuth, fu condotto in carcere a Mantova, dove attese per più di un anno il processo (nel corso del quale tenne un comportamento non collaborativo) e la sentenza che il 4 sett. 1855 gli comminava la pena di morte per alto tradimento, poi commutata dall'imperatore Francesco Giuseppe in 18 anni di carcere duro. Fu quindi trasferito a Padova e liberato con sovrana risoluzione del 2 dic. 1856 in forza dell'amnistia concessa dall'Austria per tentare di migliorare i rapporti con la popolazione lombarda. Poté così tornare in Piemonte e compiere, come altri elementi della Sinistra, il passaggio a un'ideologia meno esclusiva di quella repubblicana pura.
Combattente nella guerra del 1859 con il corpo dei Cacciatori delle Alpi, nel 1860 il G. partecipò con la spedizione Medici alla liberazione del Mezzogiorno, meritando una medaglia d'argento e il grado di capitano, con il quale fu ammesso successivamente nell'esercito regolare. La progressione di carriera, che lo vide prender parte come maggiore alla campagna del 1866 per il Veneto ottenendovi la croce militare di Savoia per il comportamento suo e del reggimento di cui aveva assunto il comando a Custoza il 24 giugno, si interruppe bruscamente, e per volontà dello stesso G., nel 1875: infatti, subito dopo aver dovuto assistere col suo reggimento alla parata che rendeva gli onori militari a Francesco Giuseppe in visita a Padova, il G., allora tenente colonnello, presentò le proprie dimissioni e restituì l'onorificenza che l'Austria gli aveva concesso per l'occasione. Fu collocato in riserva il 10 febbr. 1878 e promosso 15 anni dopo colonnello di fanteria.
Tornò allora a Mantova e, dalla condizione di privato cittadino in cui si era sdegnosamente chiuso, uscì solo negli ultimi anni di vita, partecipando (1885 e 1894) a due commissioni che si batterono, la prima, per l'apertura di una sezione risorgimentale nel museo cittadino, la seconda per l'allestimento di un vero e proprio museo del Risorgimento (che fu aperto nel 1902). Successivamente, il G. accettò di candidarsi alla rappresentanza comunale con un programma fortemente orientato in senso anticlericale e antisocialista: una volta eletto, si segnalò per le prese di posizione a favore della bonifica dei laghi del Mantovano e contro le servitù militari; ma ciò che lo impegnò particolarmente fu il tentativo di restituire - proprio in quanto testimone diretto - l'onorabilità a L. Castellazzo, l'antico compagno di cospirazione che era stato accusato da un altro congiurato, G. Finzi, e dallo storico A. Luzio di avere con le proprie delazioni aperto la via ai processi mantovani del 1852-53 e alle forche di Belfiore. E mentre a Mantova scoppiavano le polemiche per la lapide che, su iniziativa del Comune, nel 1903 aveva associato il nome di Castellazzo a quello degli altri martiri, il G. interveniva a difenderlo con una intervista all'Italia del popolo del 18-19 nov. 1903 in cui sosteneva che, pur essendo stato effettivamente bastonato durante la carcerazione, non aveva in realtà rivelato nulla che la giustizia austriaca non avesse già scoperto decifrando il registro di E. Tazzoli su cui erano annotati i nomi dei congiurati. Non tutti furono convinti dalla testimonianza del G. e qualcuno sospettò che all'origine del suo gesto potessero esserci stati i riguardi della comune militanza massonica e una "naturale e rispettabile ripugnanza di sfrondare gli allori dei Martiri" (Simonetta, p. 101).
Il G. morì a Mantova il 20 sett. 1905 e, in ossequio alle disposizioni testamentarie, i suoi resti furono cremati; il Consiglio comunale decise in seguito di intitolargli il nuovo ricovero civile.
Fonti e Bibl.: Necr. in Il Secolo, 22 sett. 1905; L. Molinari, Alla memoria di L. Castellazzo (intervista col colonnello G. G.), in L'Italia del popolo, 18-19 nov. 1903; Edizione naz. degli scritti di G. Mazzini (per la consultaz. si vedano gli Indici, a cura di G. Macchia, II, ad nomen); A. Luzio, I martiri di Belfiore e il loro processo, Mantova 1905, I, pp. 162, 189; II, pp. 22, 37; A. Rezzaghi, Quarantotto mantovano, Mantova 1933, pp. 23, 98, 226; B. Simonetta, L. Castellazzo e i processi di Mantova del 1852-53 alla luce di alcuni documenti inediti, in Rass. stor. del Risorgimento, XLIII (1956), pp. 90, 92, 99, 101-104; Mantova nel Risorgimento. Compromessi politici nel Mantovano (1848-1866), a cura di R. Giusti, Mantova 1966, ad ind.; Id., Il Risorgimento a Mantova, 1849-1866, Mantova 1978, ad ind.; R. Salvadori, Studi sulla città di Mantova, 1814-1860, Milano 1997, pp. 106-108; A. De Gubernatis, Piccolo diz. dei contemporanei italiani, Roma 1895, p. 480; Diz. del Risorgimento nazionale, III, sub voce.