GRASSER, Giuseppe
, Nacque il 3 dic. 1782 a Glurns (Glorenza), in Val Venosta, da Joseph e Barbara Veihl. Dopo la cresima (26 ott. 1794) entrò in seminario a Merano, allora diocesi di Coira. Ordinato sacerdote il 14 dic. 1806, si impegnò nei primi anni nella cura delle anime come cooperatore, vicario e parroco. Completati gli studi teologici presso l'Università di Innsbruck, svolse per quindici anni attività didattica prima come insegnante, poi come rettore e successivamente come preside dei ginnasi di Bressanone e Innsbruck. Nel 1815 divenne direttore generale dei ginnasi della provincia del Tirolo.
Nel 1822 si candidò alla cattedra di teologia morale nell'Università tirolese. Tuttavia, per scelta dell'imperatore Francesco I (18 apr. 1822), ottenuto il gradimento della Sede apostolica, appena quarantenne fu preconizzato vescovo di Treviso nel concistoro del 2 dic. 1822. Consacrato a Venezia il 16 marzo 1823 dal patriarca G.L. Pyrker, assistito dai vescovi M. Farina di Padova e C.P. Ravasi di Adria, prese possesso della sede il 19 marzo. Pur conoscendo abbastanza bene la lingua italiana, mancava di pratica (nonostante l'impegno, il suo periodare italiano non fu sempre fluente né la grafia sicura); così, prima di entrare in diocesi, per rinfrescarsi nell'uso dell'idioma stette due mesi a Rovereto nella casa di Antonio Rosmini, suo ammiratore e amico, che gli dedicò il Saggio sopra la felicità, che stava allora dando alle stampe.
La fama delle doti intellettuali, della versatilità dell'ingegno nelle lettere e in teologia, della conoscenza dei problemi pastorali legati alla formazione della gioventù, infine il desiderio di avere il proprio vescovo dopo sei anni di attesa spinsero i Trevigiani ad accoglierlo con dimostrazioni di allegrezza ed entusiasmo mai viste.
La sua nomina, infatti, poneva fine alla vacanza determinatasi con la morte del predecessore B. Marini nell'ottobre 1817; una prima designazione imperiale del canonico F. Jappelli, oriundo bolognese, era stata ricusata dal papa. Il G. entrò in una città relativamente calma, fra una popolazione che aveva accettato il regime austriaco con un certo sollievo, se non con entusiasmo: il Regno Italico, ricco di idee e di promesse, aveva infatti suscitato lo scontento della popolazione agricola con contribuzioni e imposizioni fiscali intollerabili. Con l'Austria era tornato il tempo della regolare amministrazione e del rispetto della proprietà privata.
Nonostante il giuseppinismo a Vienna avesse radici profonde e continuasse a dettare soluzioni unilaterali e porre ostacoli, non pare che il G. trovasse difficoltà nell'azione pastorale. Evidentemente la sua qualità di cittadino austriaco facilitava le cose e alleggeriva i controlli. Era in ottimi rapporti non solo con Francesco I, che incontrò due volte a Vicenza e Treviso, ma anche con i governatori delle province venete (incontrò quattro volte il vicerè Ranieri d'Asburgo). Neppure ebbe difficoltà d'ordine politico per le opinioni serpeggianti tra il clero, non del tutto austriacante. Tra i parroci e i cappellani di campagna non mancavano tipi esuberanti e qualche testa calda, ma questi pochi casi non preoccupavano le autorità: invece di carbonari e di rivoluzionari, nel territorio trevigiano esse trovavano semmai sabotatori della regia privativa dei tabacchi e del regio servizio postale. Certamente il G. collaborò col governo paternalistico di sua maestà imperiale. Numerose sue circolari ai vicari foranei, ai parroci, al popolo della diocesi furono in omaggio ai dispacci provenienti da Vienna: si trattava spesso di organizzare e ispezionare le scuole elementari e medie, reprimere abusi di ordine morale, proibire stampe religiosamente e politicamente pericolose. Tuttavia egli non fu esecutore servile: laddove furono in gioco la sua competenza di maestro e la sua posizione di vescovo seppe distinguere, rimandare, rifiutare o proporre soluzioni diverse da quelle delle auliche commissioni di Stato. Non v'è traccia di suoi viaggi a Roma durante la permanenza a Treviso, ma è fuor di dubbio la sua sincera e devota adesione a Pio VII e a Leone XII, e palese la sua gioia e la venerazione per il papa in occasione del giubileo del 1825; fu pronto e comprensivo quando il pontefice, il 18 gennaio dello stesso anno, lanciò un appello per la riedificazione della basilica di S. Paolo, distrutta da un incendio. Scrisse e parlò poco, con moderazione e saggezza, conciliando qualità separate: serietà e piacevolezza, cortesia di tratto e gravità di maniere, zelo pastorale e amore alla quiete. Fu particolarmente sollecito con bisognosi, incolti, sinistrati e bambini abbandonati e orfani, emergendo come uomo di azione: attento alla scuola e alla cultura, incoraggiò ripetutamente gli sforzi dei maestri, le produzioni accademiche, le ricerche e l'opera educativa nei collegi maschili e femminili. Caldeggiò l'istituzione di biblioteche vicariali e parrocchiali, suggerite dall'imperatore nel 1825 a vantaggio di popolo e clero. Naturalmente, però, la sua maggiore attenzione riguardò le strutture della vita religiosa, la frequenza ai sacramenti, lo svolgimento decoroso del culto, le forme di pietà. Si adoperò per stroncare abusi locali, comporre dissidi campanilistici, togliere usanze come le sagre, ritenute nocive alla moralità pubblica e alla pietà dei fedeli. Così non permise la traslazione delle feste dei santi patroni alle domeniche successive, motivo di clamori, intemperanze, risse e rovina economica per tante famiglie, e che finiva col portare dissesti alla vita religiosa delle parrocchie limitrofe.
Il G. curò particolarmente il seminario diocesano, che volle efficiente sotto ogni aspetto e animò con una presenza assidua, spronando all'impegno superiori e alunni, incontrati il giorno dell'ingresso a Treviso. Le sue visite furono frequenti, regolari e prolungate: intervenne a corsi di esercizi spirituali e presiedette alle sessioni di esame, dal primo corso di grammatica al quarto di teologia. Volle promuovere la cultura nel massimo istituto della diocesi e s'interessò della biblioteca, che gli sembrava povera, chiedendo al governo di tener conto del seminario nel distribuire i volumi provenienti dai monasteri soppressi di Padova e dalla biblioteca di Apostolo Zeno. Ottenne la parificazione delle classi ginnasiali e del biennio filosofico per i convittori, chierici e laici; volle un corpo insegnante qualificato, incoraggiò diversi sacerdoti a sostenere l'esame di abilitazione all'insegnamento per entrambi i livelli e mandò i chierici più brillanti al seminario centrale di Padova per seguirvi la facoltà teologica, scegliendo fra loro i più atti all'insegnamento. Rese l'istituto diocesano così efficiente che il ginnasio pubblico della città, sempre più immiserito, gli fu unito; esso fu così l'unica scuola pubblica cittadina di istruzione classica fino al 1859.
L'impegno apostolico del G. si esplicò particolarmente nella visita pastorale alle parrocchie della diocesi, preparata con la precisione che gli era tipica e con la diligenza che caratterizzava anche il vicario generale, S. Soldati, poi suo immediato successore. La iniziò nel 1826, tre anni dopo l'ingresso, quando la diocesi era spiritualmente mobilitata dall'indizione del giubileo, giustificando il ritardo con l'iniziale scarsa conoscenza dei costumi e della lingua del popolo. Anzitutto attirò l'attenzione del clero e dei fedeli sul significato dell'evento, esponendone i motivi ed esortando i parroci a illuminare i parrocchiani. Si preparò con opportune letture e ne suggerì ai convisitatori; indirizzò poi varie circolari al capitolo, ai parroci e ai vicari foranei, annunciando l'incontro, fissando il tempo e convocando gli interessati. Sostò nelle parrocchie a seconda della loro consistenza; la visita alla cattedrale durò un mese. Vide ed esaminò personalmente ogni cosa e l'operato di ogni persona; esigette proprietà e diligenza per ogni ambiente e su ogni registro canonico, insistette sulla regolarità dell'istruzione catechistica e richiamò all'osservanza delle leggi sinodali. In particolare chiese ordine e chiarezza nell'amministrazione, come esigeva la situazione caotica creatasi durante il periodo napoleonico, con la manomissione e l'incameramento dei beni ecclesiastici, la relativa soppressione di prebende, legati e fondazioni pie. Inoltre erano passati più di trent'anni dall'ultima ispezione canonica, quella del predecessore B. Marin, assai diversa a causa delle innovazioni e radicali trasformazioni imposte e più o meno accettate durante il Regno Italico. Era dunque necessario ristabilire l'ordine, riassettare le fondazioni, recuperare il recuperabile in un momento in cui il governo austriaco si mostrava sensibile ai problemi della Chiesa.
Tuttavia il G. riuscì a condurre la visita pastorale solo su un terzo della diocesi perché, in seguito alla morte di I.M. Liruti (11 ag. 1827), Francesco I lo propose (15 febbr. 1828) come vescovo di Verona. La designazione ebbe l'assenso della S. Sede, che il successivo 15 dicembre decise il suo trasferimento; entrò in diocesi il 25 marzo 1829. Accolto all'inizio con una certa indifferenza, seppe guadagnarsi le simpatie dei Veronesi per la sensibilità religiosa, la carità e soprattutto la decisione di continuare nella linea pastorale del suo predecessore.
La diocesi di Verona non era infatti allo sbando. Gli scopi perseguiti dal Liruti in un'azione pastorale ventennale (cura del seminario, riforma del clero, disciplina sacerdotale, visita canonica, assetto amministrativo delle parrocchie, ristrutturazione dei vicariati foranei, catechesi) erano stati in gran parte raggiunti. Lo si constatava nella fioritura di nuove istituzioni religiose, congregazioni maschili e femminili, molte fondazioni laicali in funzione parrocchiale e diocesana, facenti tutte perno attorno alla centralità del vescovo. Ne è conferma la testimonianza di Aloys Schloer, un prete secolare della diocesi di Vienna già confessore dell'imperatore, che fu a Verona dalla fine di settembre 1837 all'agosto 1838 e, ritornato in patria, condensò in un opuscolo di 71 pagine (Die Philantropie des Glaubens, Vienna 1839) la propria esperienza nella città dell'Adige, convinto di avere scoperto un esempio spiritualmente stimolante e degno di essere imitato da altre chiese locali. Egli enumerò i titoli che rendevano la città modello del perfetto vivere civile e spirituale e testimoniavano la potenza della fede e non della semplice filantropia: a Verona non si faceva mostra del bene, ma lo si compiva per amor di Dio, maggior gloria del Signore e della Chiesa. Per valutare la situazione religiosa lo Schloer si servì abbondantemente del materiale bibliografico allora a disposizione (guide, diari, almanacchi, strenne). Del clero lodò in particolare la formazione teologica, il disinteresse, i vincoli di obbedienza e amore col proprio vescovo, il vestiario sempre modesto e sempre clericale, la cura del culto. Il servizio della parola era prestato con zelo encomiabile. Descritta minutamente l'opera della Dottrina cristiana (organizzazione, lezioni, dispute), lo Schloer descrisse gli oratori per la formazione cristiana della gioventù, fiorenti in molte parrocchie. Mise in risalto gli ordini e gli istituti religiosi, privilegiando quelli di nuova fondazione, fedeli alle istanze dello spirito e aperti alle nuove esigenze dei tempi. Enumerandoli, ne sottolineò le caratteristiche principali, costituendo così una fonte di primo piano per la storia dei loro inizi. Da dove veniva - si chiese nelle conclusioni - tanta segnalata bontà? La sua risposta fu: dalla fede, istillata nell'animo giovanile attraverso le scuole e gli oratori e alimentata da un clero ben formato nel seminario e seguito da un vescovo dallo zelo instancabile.
Toni più laudativi ed entusiastici non potevano essere usati da un testimone de visu della vita religiosa di Verona al tempo del Grasser. Riconoscimenti non gli mancarono neppure a livelli più alti: il 18 ag. 1835 fu nominato assistente al soglio pontificio; nel settembre 1838, durante una visita alla città e ai suoi istituti di beneficenza, Francesco I lo insignì della Corona di ferro. Al giudizio positivo sul suo episcopato contribuì anche il ritrovamento (marzo 1838) del corpo di s. Zeno, patrono di Verona. Le imponenti celebrazioni nell'agosto dell'anno successivo illuminarono però il tramonto del vescovo.
Contratta la febbre miliare, il G. si spense a Verona il 22 nov. 1839, oggetto di elogi e compianto. G. Venturi non esitò a equipararlo a grandi vescovi del passato come G.M. Giberti e A. Valier; l'accostamento risente certo del calore esagerato di un elogio funebre, ma non è comunque privo di fondatezza storica.
Tra le fonti vanno ricordate le lettere pastorali e i discorsi a stampa del G.: Prima lettera pastorale, Treviso 1823; Discorso nel giorno dell'ingresso a Treviso, ibid. 1823; Lettera pastorale in occasione del giubileo, ibid. 1826; Omelia in occasione del suo ingresso ad Asolo il 24 sett. 1826, a cura di M. Pellegrini Trieste per il solenne ingresso del reverendissimo don A. Renier alla chiesa arcipretale di Vedelago, Padova 1840; Lettera di commiato ai Trevigiani, Venezia 1829; Omelia per l'ingresso alla sede vescovile di Verona, Verona 1829; Regole per la Congregazione della Dottrina cristiana nella città e diocesi di Verona, ibid. 1831; Allocuzione recitata nel giorno della solenne erezione dell'Istituto delle sorelle della Sacra Famiglia, 2 febbraio 1835, in B. Morelli, Del novello Ordine religioso delle sorelle della Sacra Famiglia. Cenni, Milano 1836; Explicatio casuum reservatorum et censurarum in Ecclesia Veronensi ex mente legislatoris, Veronae 1837.
Fonti e Bibl.: Treviso, Arch. della Curia vescovile, Cattedrale, 4; Governo diocesi, 24 e 25; Protocollo, 1823-27; Visite pastorali antiche, documenti vari; Regolamento clero; Predicatorum, 1823-56; Seminario, studi; Treviso, Arch. del Seminario vescovile: Fondo Capanni, ms. Clero trivigiano, Dritto e Rovescio; Atti, 1775-1849; Storia del Ginnasio, 1823-1844; Studio filosofico, 1827-1830; Ordinamento esami, 1826-1827; Accademie del '700-'800; Protocollo del Ginnasio, 1823-1843; Protocollo dello Studio filosofico, 1819-1851; Protocollo dello Studio teologico, 1824-1844; Studio teologico, 1826-1827; Verona, Arch. storico della Curia diocesana, Atti della Cancelleria vescovile, 1800-1900, 1-2; Corrispondenze epistolari, Mons. Grasser; Diversorum, 1-9; Lettere e circolari, Mons. Grasser, 1829-1839; Protocolli, 1829-1839; Relazioni ad limina, Mons. Grasser, 1834; Visita pastorale di mons. G., 1832-1839; Verona, Biblioteca civica, b. 114: G. Sommacampagna, Storia ecclesiastica veronese, e ms. 164: L. Stegagnini, I miei tempi; Verona, Biblioteca del Seminario vescovile, G. Grasser, Omelie e allocuzioni, 4; Liruti-Grasser, 17-21; Catalogo dei libri dell'illustrissimo reverendissimo fu mons. vescovo G. Grasser. Dati biografici e fonti dell'Archivio segreto Vaticano sono indicati in R. Ritzler - P. Sefrin, Hierarchia catholica medii et recentioris aevi, VII, Patavii 1968, pp. 360, 394.
Il diario dell'oste. La raccolta storica cronologica di Valentino Alberti (Verona 1796-1834), a cura di M. Zangarini, Vicenza 1997, pp. 357-360; A. Schloer, Die Philantropie des Glaubens oder das kirchliche Leben zu Verona in der neuesten Zeit, Wien 1839 (trad. La filantropia della fede, a cura di G. Bonaldi, Verona 1992); G.B. Santi - B. Morelli, Descrizione della solennità celebrata in Verona per lo faustissimo ritrovamento del corpo del suo ottavo vescovo e patrono principale santo Zenone con panegirici del santo, Verona 1839; C. Bresciani, Collezione delle orazioni funebri, I, Verona 1866, pp. 50-101 (contiene In morte di mons. G. G. vescovo di Verona, del 1839, e Elogio del cuore di mons. G. G. vescovo di Verona, del 1840); S. Soldati, Orazione funebre in lode dell'illustrissimo e reverendissimo mons. G. G. vescovo che fu di Verona, Treviso 1840; G. Venturi, Orazione funebre in lode di mons. vescovo di Verona G. G. il 16 nov. 1840, Verona 1841; C.C. Bresciani, Vita di don Pietro Leonardi fondatore della Congregazione delle figlie di Gesù, Verona 1855, pp. 198 s.; G. Cappelletti, Le Chiese d'Italia dalla loro origine sino ai nostri giorni, X, Venezia 1854, pp. 694 s., 808; A. Rosmini, Epistolario completo, Casale Monferrato 1887-94, ad ind.; G. Biadego, La dominazione austriaca e il sentimento pubblico a Verona, Roma 1899, passim; G. Stofella, Epistolario del venerabile servo di Dio don Gaspare Bertoni fondatore dei preti delle Ss. Stimate di Nostro Signore Gesù Cristo, Verona 1955, passim; G. Ederle, Diz. cronologico bio-bibliografico dei vescovi di Verona. Cenni sulla Chiesa veronese, Verona 1965, pp. 99 s.; R. Bessero Belti, Rosmini a Verona nelle vicende storiche del periodo 1835-1855, in Rivista rosminiana, LXII (1968), pp. 143-169; L. Pesce, La visita pastorale di G. G. nella diocesi di Treviso (1826-1827), Roma 1969 (con ricchissima bibliografia per il periodo dell'episcopato trevigiano; ne dipende S. Tramontin, La Chiesa trevigiana dalla caduta della Repubblica al concilio Vaticano II, in Diocesi di Treviso, a cura di L. Pesce, Padova 1994, pp. 189-303); Maddalena di Canossa, Epistolario, a cura di E. Dossi, I-VIII, Isola del Liri 1976-83, ad ind.; N. Dalle Vedove, Il beato Gaspare Bertoni e l'istituto delle "Stimmate" nella prima metà dell'800 veronese (1816-1853), II, Roma 1984, pp. 129-136, 661-666; F. Segala, I ritratti dei vescovi di Verona nelle sale del palazzo vescovile. Repertorio iconografico, Verona 1993; D. Cervato, Diocesi di Verona, Padova 1999, pp. 410-436, 544-553, 584-590, 659-663; Treviso cristiana 2000 anni di fede. Percorso storico, iconografico, artistico della diocesi, a cura di L. Bonora - E. Manzato - I. Sartor, Treviso 2000; G. Moroni, Diz. di erudizione storico-ecclesiastica, XCV, p. 37.
Data l'assenza d'una completa monografia sul G., restano utili alcune tesi di laurea: F. Motto, "La vita religiosa nella diocesi veronese durante l'episcopato di mons. G. G. (1829-39)", Univ. degli studi di Milano, a.a. 1972-73; P. Bogoni, "Cultura e religione nell'episcopato di mons. G. G., vescovo di Verona (1829-39)", Univ. di Verona, a.a. 1977-78; G. Merzi, "Il vescovo di Verona G. G. e i suoi interventi e le sue iniziative nel campo assistenziale ed educativo", Univ. di Verona, a.a. 1985-86.