GRADENIGO, Giuseppe
Nacque a Venezia il 3 marzo 1738 in un palazzo vicino al ponte Storto, nella parrocchia di S. Marcuola. Figlio di Marco, notaio "ordinario" della Cancelleria ducale e di Anna Maria Rumieri, apparteneva al ramo decaduto dei Gradenigo discendente dal nobile Vettor di Marco (1510-90), ammesso alla cittadinanza originaria nel 1662.
Proseguendo la tradizione familiare (anche il nonno, Iseppo, era stato notaio "ordinario"), nel gennaio 1754 il G. superò la prova per l'ingresso nella Cancelleria ducale e nel settembre 1758 divenne notaio "straordinario". Non sappiamo se avesse ricevuto un'educazione particolare, e si può solo presumere che avesse frequentato la scuola di cancelleria controllata dal Consiglio dei dieci e il "precettore d'umanità" della stessa. Nei vent'anni successivi svolse diverse mansioni, tra le quali quelle di notaio all'avogaria di Comun e di addetto alle materie segrete. Tra il febbraio 1761 e l'agosto 1765 compì un importante tirocinio all'estero come coadiutore del bailo a Costantinopoli, e in seguito redasse spesso le lettere della Serenissima ad ambasciatori e residenti. Nell'agosto-settembre 1773 sembra avesse un ruolo non secondario nelle relazioni sulle manifatture veneziane presentate al doge dalla Deputazione estraordinaria sopra le Regolazione delle arti della Dominante. Nel febbraio 1776 diventò segretario del Senato, e dagli anni Ottanta mirò a incarichi ancora più prestigiosi, evitando però di tornare all'estero come residente, per timore delle spese eccessive e la contrarietà della moglie (Onofria Bontempo, di famiglia cittadinesca, sposata nel novembre 1766); dichiarò pure che per le residenze "io non son nato". Cercò invece di avere una Segreteria dei dieci, dove si lavorava con "fermezza e assiduità" (Venezia, Bibl. del Civico Museo Correr, Misc. Correr, 2481, cc. 128r, 130r).
Dal giugno 1785 al settembre 1787 fu segretario dei Riformatori dello Studio di Padova, momento fondamentale della sua vita perché ebbe occasione di corrispondere con diversi scienziati, letterati e intellettuali, sia professori e "gerenti" dello Studio e del seminario patavini, sia membri a diverso titolo della neonata Accademia di scienze, lettere ed arti (P. Arduino, S. Assemani, L.M. Caldani, G. Marsili, B. Mariani, G. Toaldo, A. Comparetti, A.M. Borromeo, G.A. Letti, O. Pisoni, M. Cesarotti, A. Lavagnoli, G.B. Nicolai).
Alcuni, come Cesarotti, discussero con lui di temi importanti, quali l'Accademia. Altri divennero suoi confidenti; il Lavagnoli, professore di metafisica e logica, lo chiamò "carissimo e pregiatissimo amico" (Ibid., Codd. P.D., 167c, c. 46), e il botanico friulano Marsili si disse "suo schiavo" (Lettere inedite di illustri italiani, p. 20). Altri ancora lo considerarono un valido interlocutore: nel giugno 1786, per esempio, F.M. Colle lo ringraziò per la nomina a "istoriografo" dell'Università di Padova, chiedendogli d'incontrarlo a Venezia per "conferirvi alcune idee sul proposito della mia declinazione" (Venezia, Bibl. del Civico Museo Correr, Codd. P.D., 167c, c. 46). Il servizio con i Riformatori permise al G. di allacciare rapporti certo utili per il futuro ottenimento della nobiltà padovana (1802); ad alcuni, come A. Cagnoli, dispiacque quando lasciò la "direzione" dello Studio (Lettere inedite di illustri italiani, p. 4).
Già prima, però, il G. aveva cominciato a stabilire relazioni mercé lo scambio di libri rari. Almeno dal 1775, infatti, doveva possederne un'ottima collezione, perché in quell'anno J. Bravetti gli dedicò il suo Indice de' libri a stampa citati per testi di lingua nel Vocabolario de' signori accademici della Crusca (che aveva compilato anche usando la copia del Vocabolario posseduta dal Gradenigo).
Più tardi le testimonianze sui contatti con bibliofili si moltiplicano. Nel luglio 1779 T.G. Farsetti promise d'inviargli i "sonetti del Varchi stampati dal Sorrentino", conoscendo il G. "dilettarsi di questa raccolta di libri di lingua" (Lettere inedite di illustri italiani, p. 16). Nel maggio 1782 il Cagnoli mandò da Parigi al G. e a G. Toaldo la descrizione di Venezia di J.-J. Lalande, che, volendone fare una seconda edizione, chiedeva aiuto per una revisione della prima. Nel 1787, alla morte di D.F. Farsetti - letterato e artista amico di Carlo e Gasparo Gozzi, uno dei fondatori dell'Accademia dei Granelleschi - è possibile che passassero al G. volumi di trascrizioni, di pugno del Farsetti, di rimatori quattrocenteschi e cose inedite del Poliziano. Nel 1788, quando J. Andres indicò la sua biblioteca come esempio di quelle della "classe" dei segretari, il G. era un personaggio di primo piano nella élite "filosofica" cittadina (Del Negro, 1998, p. 447).
Nell'estate 1787 fu eletto in rapida successione segretario del Consiglio dei dieci, alle Leggi e infine agli Inquisitori di Stato, dove rimase fino al settembre 1789 e poi dal marzo 1791 al settembre 1793, raggiungendo una posizione di preminenza e riconosciuto prestigio in Cancelleria. Nel dicembre 1790 iniziò il riordino dell'Archivio dei Dieci, per arrivare a un "ordinato, e ragionato catalogo" (lo interruppe nel marzo 1791 per riprendere l'incarico presso gli Inquisitori). Nello stesso periodo Z. Vallaresso, sovraintendente all'Archivio segreto del Senato, in una relazione sui libri senatoriali da donare alla Marciana lodò la "distinta capacità e molta diligenza del circospetto Giuseppe Gradenigo" (Zorzi, 1987, pp. 297 s.).
La sua influenza si estese però al di là dell'ambiente cancelleresco. Egli protesse il controverso "daziario" G.A. Spada, fervente filofrancese e futuro protagonista della gestione finanziaria della Municipalità provvisoria, arrestato negli ultimi mesi della Repubblica, condannato all'esilio per due anni a Corfù e salvato anche grazie all'intervento "dell'umano Secretario Giuseppe Gradenigo" (Spada, p. 73). Si può ipotizzare che aiutasse anche l'abate G.A. Pedrini, spia degli Inquisitori ma anche autore di interessanti scritti politici, condannato nel febbraio 1792 dallo stesso tribunale per il suo Della nobiltà. Diatriba filosofico-politica. Il Pedrini, chiesta clemenza in lettere al G., mantenne il ruolo di "confidente" fino al 1795 (Inquisitori di Stato, b. 622).
I rapporti epistolari con confidenti tenuti dal G. come segretario agli Inquisitori sono basilari per comprendere gli avvenimenti del periodo, ma in primo luogo meritano attenzione i numerosi e fondamentali argomenti che trattò nelle relazioni di fine d'anno. Nell'ottobre 1788 parlò delle "rovinose circostanze di economia, in cui sono fatalmente ridotte alcune delle più illustre, e benestanti Patrizie famiglie, e le gravissime abbastanza note conseguenze, che da ciò derivano allo Stato". Accennò a indagini su "persone, le quali […] si frammettono in figura di sensali, e di mezzani, procurando in tal modo grandiose utilità a se stessi, e l'eccidio irreparabile delle medesime famiglie", arenatesi per i legami di parentela fra uno degli inquisitori e una famiglia implicata.
In seguito il G. lamentò spesso la drastica diminuzione di numero e qualità degli "esploratori" stipendiati dal governo, seguendo con apprensione le "vertiggini, e gl'interni turbamenti della Francia per un mal inteso spirito di libertà, e di miglior forma di governo". Riferì su Z. Pisani rinchiuso nel castello di S. Felice a Verona, delle conseguenze degli avvenimenti francesi a Venezia, delle precauzioni prese nella Terraferma (nella quale, fra l'altro, segnalò la pericolosa presenza di "Loggie di Liberi Muratori"). Fu accolto il suo suggerimento di far ispezionare il Dominio, in particolare "al di là del Mincio", dove gli sembrava si fosse diffuso "più che altrove il veleno del giacobinismo". Espresse apprensione anche per l'economia, soprattutto dopo lo scoppio della guerra continentale: "L'arenamento dei commerci delle nostre manifatture, e dei generi propri dello Stato derivante dalle correnti emergenze d'Europa ha cagionato una fatal conseguenza alle arti della Dominante e dello Stato". Erano diminuite "a due terzi le manifatture dei sedifizi della Terraferma, e specialmente di Vicenza, quelle dei Perleri, e altre arti vetrarie della Dominante"; sulle stesse arti vetrarie si doveva vigilare poiché soggette a "emigrazioni, e diserzioni delle maestranze" (Arch. di Stato di Venezia, Inquisitori di Stato, b. 209).
Il sacerdote, letterato e poligrafo G. Compagnoni lo incontrò nella primavera 1793, attribuendogli fama di "uomo duro e severissimo". Il G. gli comunicò la scontentezza del tribunale per il suo Saggio sugli Ebrei e sui Greci (in Lettere piacevoli…, Venezia 1782) - capace di scatenare la furia della comunità greca di Venezia -, ma il Compagnoni scoprì in lui un "amabilissimo uomo, assai colto ed amante delle lettere e delle arti", con "una sceltissima libreria"; il Compagnoni finì per frequentarlo, fino a donargli "un esemplare della novella di Giulietta e Romeo scritta nel 500 da Luigi da Porto e da me fatta stampare pei torchi del Palese" (Compagnoni, pp. 128-131). In questi anni il G. concretizzò anche l'amicizia con A.M. Borromeo, studioso padovano della lingua italiana e grande collezionista di novellieri, al quale prestò tre novelle inedite del Pecorone di ser Giovanni Fiorentino, citate dal Borromeo nel suo Notizia de' novellieri italiani (1794).
Soprattutto fu vicino a J. Morelli, celebre bibliotecario della Marciana. Nel 1793 il Morelli stampò il suo Delle solennità e pompe nuziali già usate presso i Veneziani per festeggiare le nozze della figlia del G., Marianna, col patrizio Giovanni Almorò Tiepolo (per la stessa occasione anche un figlio del G., Andrea, pubblicò il poemetto Il trionfo di Imeneo, presso l'editore veneziano Antonio Zatta). Ai primi dell'Ottocento il Morelli avrebbe citato la copia del G. del manoscritto del viaggio di A. Bembo in Cina e Persia (1671-74), lodando l'amico: "bene io ho potuto farne studio a mio talento, sì per la facilità con la quale il possessore compitissimo si presta a favorire gli studii delle lettere, ne' quali egli è versato, sì ancora per la giusta e vera amicizia, con cui da lungo tempo seco lui congiunto mi trovo" (Morelli, p. 50).
Nel 1796 il G. svolgeva ancora compiti per gli Inquisitori. Nell'aprile fu mandato a Verona per prendere contatti col rettore Marino Priuli e preparare l'espulsione, decretata dai Dieci e delegata agli Inquisitori, del conte di Lilla, che vi si trovava dal 1795 proclamandosi erede al trono francese, creando un problema diplomatico al governo veneziano, attirando a sé molti lealisti e provocando le rimostranze della Francia. Dopo la caduta della Serenissima il G. si ritirò a vita privata. Fra aprile e settembre 1798 sotto il dominio austriaco riprese il lavoro come segretario del presidente della Regia Commissione camerale, Francesco Donà. Il G. redasse atti degli uffici più diversi, firmando anche pratiche riguardanti l'Università di Padova. Il suo percorso fu quindi del tutto simile a quello di altri ex segretari cittadini, garantendo il passaggio dall'assetto burocratico della vecchia Repubblica a quello dei nuovi regimi.
Nelle lettere di quell'estate alla propria famiglia, recatasi nella casa di campagna di Carbonera, presso Treviso, il G. previde venti di guerra. Parlò di trattati contro una "potenza", la Francia, "che cerca di distrugger tutto e derubar a tutti", aggiungendo: "veggo per esperienza che questi francesi hanno il diavolo addosso, e sono proprio da Dio mandati per nostro castigo sin che sarà volontà sua di perdonarci". Lamentò poi che "non si può in oggi dir cosa vera, poiché gli uomini odierni sono piantati sulla falsità e sulla bugia". Ebbe però una parola affettuosa per C. Tentori, il "nostro degno abate storico giudizioso e ingenuo" (Venezia, Biblioteca del Civico Museo Correr, Codd. P.D., 594c/VII, cc. 407-410). L'abate, storico di Venezia e altro suo buon amico era tra l'altro vicino al ramo dei Tiepolo legato ai Gradenigo nel 1793. Nel 1785 il Tentori dedicò infatti il suo Saggio sulla storia civile, politica…della Repubblica di Venezia ad A. Almorò Tiepolo, padre di Giovanni Almorò, sposo di Marianna Gradenigo. Fu poi curatore degli interessi di Giovanni nel Trevigiano e a Venezia, risiedendo anche presso una "Ca' Tiepolo" a S. Polo.
Dall'ottobre 1798, quando le competenze della Commissione furono divise tra magistrato camerale e governo generale, il G. fu segretario al ministero dei "Juspadronati Regj, Feudi, Armi, Manifatture della Terra Ferma", del quale era "consultore" A. Barbarigo. Lavorò però anche direttamente per il commissario governativo G. Pellegrini nella riorganizzazione finanziaria del territorio. Nel giugno 1801, dopo il nuovo riassetto del governo veneto affidato all'inviato di Vienna, l'ungherese J. Mailath, era segretario assessore a Commercio, Consoli, Arti meccaniche, Fiere e mercati, Banco giro, Pensionati, Estrazioni di denaro e Lotto.
Nel gennaio-febbraio 1802 il G. e il fratello Vittore chiesero e ottennero la nobiltà padovana, facilitati dal fatto che "molte Famiglie di originaria Veneta Cittadinanza per antico privilegio sono aggregate". Fatto fondamentale fu però che "il Signor Giuseppe […] ha palesata verso questa nostra Città in ogni circostanza" la sua "indole […] inclinata al ben essere di tutti". La nobiltà fu confermata alla famiglia del G. dalla Commissione araldica nel 1820.
Il 31 marzo 1803 il Mailath nominò il "segretario governativo" G. consigliere del regio governo generale, con paga di 2500 fiorini l'anno. Venne anche preposto alla Deputazione straordinaria al magistrato degli affari turchi e alle fabbriche camerali, corrieri e poste. È difficile però giudicare se in quel periodo egli svolse un'azione concreta: per esempio, quando nel marzo 1804 la polizia gli chiese - in quanto ex segretario degli Inquisitori - il nome di confidenti fidati, egli affermò che l'antica Repubblica aveva poche e scarse spie e fornì nomi di persone "tutte dell'ultima feccia, screditate, da nulla" (Arch. di Stato di Venezia, Direzione generale di Polizia, 1803-1804, b. 40, 7 marzo 1804). Nel 1805 fu definito "brava persona, ma di poco spirito e conoscenze" (Meriggi, p. 25). Nel 1806 il governo del Regno d'Italia gli propose la direzione della polizia, che il G. rifiutò perché "sommamente avvilito per la perdita del Governo Austriaco" (Venezia, Bibl. del Civico Museo Correr, Cod. Cicogna, 3149, voce Giuseppe Gradenigo), e probabilmente sospinto dai suoi sentimenti antifrancesi. Lavorò comunque fino al settembre 1807 nella Commissione delegata per gli affari dei sudditi ottomani, come uno dei tre "agenti del governo" assieme a P. Busenello e G.A. Gabriel, per poi venir posto in pensione.
Nel frattempo non interruppe i propri contatti con letterati e bibliofili. Con l'aiuto di un celebre bibliografo, il conte G.B. Tomitano, A. Cesari, letterato e linguista dedito al rilancio dell'italiano trecentesco, ottenne dal G. fra 1805 e 1809 il prestito di vari volumi di "voci e osservazioni del Padre Lombardo" (Ibid., Codd. P.D., 167c, c. 55), cioè di tomi del Vocabolario della Crusca già del gesuita veronese G. Lombardi e nel 1792 lasciati in eredità al G., utili al Cesari per la sua edizione della Crusca, uscita a Verona fra 1806 e 1811. Lo stesso Tomitano, però, nell'ottobre 1808 scrisse al G. d'aver saputo "ch'Ella s'è privata d'una gran parte de' suoi libri", e il mese dopo parlò di "quattro gravi disgrazie quasi contemporanee" avvenute al G. (Lettere inedite di illustri italiani, pp. 37-39). Si trattava della perdita di due figli, Marianna (di 26 anni) e Andrea (di 32; il G. ne ebbe due altri, Elena e Vittore, il quale fece carriera nella polizia austriaca), e di un duplice smembramento della biblioteca. Questa infatti fu messa in vendita nell'estate del 1808 (quando, a detta di N. Tommaseo, comprendeva circa ventimila volumi), con un ricavo minore di 40.000 lire.
Oltre ai volumi della Crusca, a un buon numero di laudi spirituali, di rappresentazioni sacre e di "Opere di Belle Arti" segnalate da vari testimoni, E.A. Cicogna mise in luce la buona presenza di poemi e libri italiani del Cinquecento, come le due "librarie del Doni" del 1550 e 1551, che compensava il fatto che molti libri erano "o non legati o mal conservati e talora imperfetti", e i testi latini e francesi erano scarsi "e di poco pregio" (Venezia, Bibl. del Civico Museo Correr, Cod. Cicogna, 2844, cc. 41 s., 141). V'era poi un fondo di circa 80 operette in ottava rima, su tema sia laico, sia religioso, alcune anche degli anni Ottanta del Quattrocento. Questo si può desumere da uno dei due elenchi sopravvissuti della biblioteca, posseduti da Vittore Gradenigo e copiati dallo stesso Cicogna.
L'altro segnala 160 manoscritti, fra cui alcuni di rilievo dei secoli XV e XVI: la Fiammetta e il De mulieribus claris di G. Boccaccio; opere di Cicerone, Sallustio, Terenzio, Virgilio, Tito Livio; e ancora del Burchiello, Brunetto Latini, Alberto Magno; un planisfero nautico "in più fogli"; una Divina Commedia con commento di fra Stefano di S. Francesco di Firenze, del 1408. In questa sezione, come in quella dei manoscritti dei secoli XVI-XVII, la parte del leone spettava però alle cronache di Venezia e Padova, delle "casade" nobili, e alle raccolte di documenti veneziani, il che dava alla collezione una marcata tratteggiatura cancelleresca. V'erano, per esempio, due Opinioni di P. Sarpi, varie raccolte di leggi, la promissione miniata del doge Cristoforo Moro, la Storia di Fedele Fedeli della guerra dei Turchi contro i Veneziani…, il citato manoscritto del Bembo. Fra i codici settecenteschi spiccavano alcune minute di poesie di G. Gozzi e poemi degli accademici granelleschi. Importanti pure le opere copiate dal Farsetti, fra cui il Pecorone di ser Giovanni Fiorentino, con le "tre novelle diverse che non si trovano nello stampato" ricordate dal Borromeo nella sua Notizia de' novellieri italiani; le "rime burlesche di Agnolo Pittore fiorentino detto il Bronzino" (richieste nel 1808 da Tomitano); rime di Lorenzo de' Medici e Cene del Lasca; canzoni da ballo di A. Poliziano e sonetti di C. Angiolieri (Venezia, Bibl. del Civico Museo Correr, Cod. Cicogna, 3018/16-17).
Una piccola parte della biblioteca finì al libraio G. Molini di Firenze, mentre la maggiore passò al ben noto libraio di Venezia A. Cesare. Nel gennaio 1810, però, a parte i volumi della Crusca, essa era ancora in gran parte invenduta. Il rimanente fu catalogato dal Cicogna e da G.B. Licini, e nel giugno lo stesso Cicogna portò via gli ultimi seimila volumi rimasti in alcune stanze in affitto dalle monache di S. Caterina. Il figlio del G., Vittore, conservò alcuni cataloghi paterni e, cosa non trascurabile, i sette volumi della Crusca appartenuti al Lombardi.
Si può immaginare che la vendita fosse dovuta, come nel caso di molte altre biblioteche in quel periodo, alle difficoltà finanziarie del G. e altri ex nobili o ex cittadini negli anni del Regno Italico. Da molti decenni egli non viveva più nella casa di famiglia; dopo aver cambiato luogo d'affitto almeno due volte, risiedeva nella parrocchia di S. Sofia, con una semplice pensione, anche se i suoi beni immobiliari non erano del tutto trascurabili. Nel 1805 risulta intestatario di una piccola casa alla Giudecca; soprattutto nel catasto napoleonico (1810) di Carbonera e Salgaredo, nel Trevigiano, appare come proprietario, da solo o col fratello Vittore, di due case di villeggiatura e numerosi "orti", prati, campi arativi, cartiere, pascoli e case fittate (a S. Maria Assunta di Carbonera venne infatti posta l'iscrizione latina dettata dal Cicogna in suo onore, dopo la morte). Comunque, negli anni 1815-16 si adoperò per far avere al figlio Vittore un modesto posto di "concepista" presso il governo generale.
Al ritorno degli Austriaci il G. era ultrasettantenne, ma allorché (luglio 1814) si costituì a Vienna la Commissione aulica centrale per integrare le province italiane nell'Impero austriaco, riuscì a partecipare, con A. Garzoni, come rappresentante del Dipartimento adriatico. Negli anni successivi, ancora ritenuto da alcuni consigliere imperiale, svolse incarichi comunali minori; ebbe però crescenti problemi di salute, per i quali morì a Venezia il 25 marzo 1820.
Il necrologio nella Gazzetta privilegiata di Venezia (del 1° aprile successivo) chiuse affermando: "Nestore può dirsi dei Veneti Segretari".
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Misc. codd., I, St. veneta, 12: G. Tassini, Cittadini veneziani, c. 1055r; Dieci savi alle Decime, reg. 436, Redecima 1740, c. 374r; Avogaria di Comun, bb. 449, 18 genn. 1754; 450, 26 luglio 1792; 452, N, 18 genn. 1754; Consiglio dei dieci, Misc. codd., regg. 66, 12 sett. 1758, 15 sett. 1760, 20 febbr. 1761, 29 febbr. 1768; 68, 11 dic. 1772, 3 ag. 1787, 5 sett. 1787, 1° ott. 1789, 23 maggio 1791, 3 ott. 1791; Cancellier grande, reg. 3, Elezioni alla Cancelleria ducale, 12 sett. 1758; Segretario alle Voci, Elezioni in Pregadi, regg. 25, c. 110r; 26, c. 181v; Inquisitori di Stato, bb. 209, 622; Prima dominazione austriaca, Commissione camerale, 1798, bb. 33-34; Governo generale, bb. 253 passim; 262, f. XXVI.7; 456, prot. 6121/4011; 1233, f. I.46; 1628, f. III.12; 1953, f. XV.7; 2075, f. XLVIII.56; Direzione generale di Polizia, 1803-1804, b. 40, 7 marzo 1804; Deputazione del commercio, bb. 29 e 32; Seconda dominazione austriaca, I.R. Governo, Registri, Protocollo, regg. 9, prott. 21279 e 24722; 11, prot. 33320; 17, prot. 297; Commissione araldica, b. 130; Padova, Arch. dell'Università, bb. 508, cc. 289r-292r; 737, c. 51v; Arch. di Stato di Padova, Archivio civico antico, Prove di nobiltà, 51, c. 111; Venezia, Bibl. del Civico Museo Correr, Codd. Cicogna, 750, 2783, 2844, 3018, 3149, 3429/V; Codd. P.D., 167c, 168c, 176c, 594c/VII; Misc. Correr, 2481; Ibid., Bibl. naz. Marciana, Mss. it., cl. VII, 1494 (= 9385): G. Rossi, Memorie, Documenti, vol. LXXI passim; 2148 (= 9116): F. Fapanni, Biblioteche pubbliche e private…, c. 254; cl. IX, 689 (= 12100).
Indice de' libri a stampa citati per testi di lingua nel Vocabolario de' signori accademici della Crusca…, Venezia 1775; C. Tentori, Raccolta cronologica ragionata di documenti inediti…, I, Augusta 1799, pp. 120 s.; G.A. Spada, Memorie apologetiche… scritte da lui medesimo, I, Brescia 1801, pp. 18 s., 69, 73; J. Morelli, Dissertazione intorno ad alcuni viaggiatori veneziani poco noti, Venezia 1803, p. 50; G. Moschini, Della letteratura veneziana del secolo XVIII fino a' nostri giorni, II, Venezia 1806, p. 75; Gazzetta privilegiata di Venezia, 1° apr. 1820; F. Schröder, Repertorio genealogico delle famiglie venete… nobili, I, Venezia 1830, p. 384; E. De Tipaldo, Biografia degli italiani illustri…, VII, Venezia 1840, pp. 488 s.; N. Tommaseo, Studi critici, II, Venezia 1843, pp. 170 s.; G.B. Contarini, Menzioni onorifiche de' defunti scritte nel nostro secolo, I, Venezia 1843, p. 623; E.A. Cicogna, Saggio di bibliografia veneziana, Venezia 1847, pp. 435, 576; Lettere inedite di illustri italiani dei secoli XVIII e XIX al nob. G. G., a cura di A. Tessier, Venezia 1856; E. Vecchiato, Giorgio Pisani procuratore di S. Marco, Padova 1890, p. 5; G. Compagnoni, Memorie autobiografiche, Milano 1927, pp. 128-131; S. Romanin, Storia documentata di Venezia, XI, Venezia 1975, p. 188; M. Kovalevsky, La fin d'une aristocratie, Turin 1901, passim; M. Meriggi, Amministrazione e classi sociali nel Lombardo-Veneto (1814-1848), Bologna 1983, pp. 11 s., 24 s.; P. Del Negro, Il mito americano nella Venezia del '700, Padova 1986, p. 263; M. Zorzi, Le biblioteche a Venezia nel secondo Settecento, in Miscellanea Marciana, I (1986), p. 318 n.; Id., La Libreria di S. Marco, Milano 1987, pp. 297 s., 347, 525 s. n.; M. Gottardi, L'Austria a Venezia. Società e istituzioni nella prima dominazione austriaca, 1798-1806, Milano 1993, pp. 43 s., 46, 53, 227 n.; P. Preto, I servizi segreti di Venezia, Milano 1994, pp. 458, 465; P. Del Negro, Tra Versailles, Rousseau e gli Inquisitori di Stato…, in Parigi/Venezia…, a cura di C. Ossola, Firenze 1998, p. 447; M. Gottardi, Gli Asburgo e Venezia, in Venezia suddita: 1798-1866, Venezia 1999, p. 19; Al servizio dell'"amatissima patria". Le Memorie di Ludovico Manin e la gestione del potere nel Settecento veneziano, a cura di D. Raines, Venezia 1997, pp. 77, 98-100; M. Zorzi, I Gradenigo e i libri, in Grado, Venezia, i Gradenigo (catal.) a cura di M. Zorzi - S. Marcon, [Venezia] 2001, p. 239.