GIRARDINI, Giuseppe
Nacque a Udine il 14 apr. 1856 da Felice, perito agrimensore, e da Luigia Perissini. Compiuti gli studi inferiori a Udine, il G. si laureò in giurisprudenza a Roma nel giugno 1880, completando il corso iniziato a Padova. Intraprese quindi la professione forense, che non avrebbe mai abbandonato, lasciando al fratello Emilio la procura delle Assicurazioni generali di Venezia, che, dopo la precoce morte del padre, era stata a lungo tenuta dalla madre.
Alla fine degli anni Ottanta il G. fece ingresso nella vita politica, fondando il Partito radicale friulano. Riuscì a coagulare attorno alla sua creatura (che dotò anche di un battagliero periodico, Il Paese) il consenso di un folto gruppo di giovani professionisti, impiegati, commercianti, artigiani e di consistenti nuclei della classe operaia, ancora privi di un partito organizzato. Il radicalismo del G., lontano sia dall'individualismo economico liberale, sia dal collettivismo socialista, indicava il progresso come fine e la legalità come mezzo; riteneva il processo di avanzamento delle classi popolari indispensabile corollario della raggiunta unità nazionale, e proponeva un programma in cui potevano riconoscersi uomini della più varia estrazione.
Eletto consigliere comunale della sua città natale nel 1889, il G. si candidò alle elezioni politiche del 1892, concorrendo in quel collegio di Udine ove si sarebbe sempre presentato in seguito. Sconfitto da F. Seismit Doda, alla morte di questo il G. poté, grazie alle elezioni suppletive subito indette, essere eletto alla Camera (giugno 1893). A Montecitorio sedette nel gruppo radicale, che aveva la personalità più eminente in F. Cavallotti, con il quale strinse fraterna amicizia. Sconfitto dal generale G. Di Lenna nelle elezioni del 1895, il G. rientrò alla Camera nella legislatura successiva, la XX, segnata dalla drammatica crisi di fine secolo.
In quel frangente, nel giugno 1898 e nel febbraio 1899, il G. condannò fermamente in aula i conati reazionari dei gabinetti Rudinì e Pelloux sostenendo che le sommosse popolari, lungi dall'esprimere tendenze sovversive, rappresentavano la lotta tragica contro un'unità sbagliata, compiuta senza educazione delle coscienze ed evoluzione economica. Conseguentemente egli indicava la via delle riforme (decentramento amministrativo, diminuzione della pressione fiscale, creazione di una scuola realmente popolare) come unica soluzione capace di ridurre lo iato fra istituzioni e paese reale.
La svolta liberale promossa dal gabinetto Zanardelli-Giolitti vide il G. su posizioni di attesa. Più volte infatti espresse l'auspicio che l'indirizzo liberale osservato in materia di ordine pubblico fosse sostanziato da una politica di realizzazioni concrete. La militanza parlamentare del G. ebbe però una battuta d'arresto nelle elezioni del novembre 1904, nelle quali fu sconfitto in ballottaggio, per un pugno di voti, dal liberale G. Solimbergo. L'inatteso risultato causò a Udine dimostrazioni popolari di protesta, sedate dall'intervento della cavalleria.
Tornato alla Camera nel 1909, il G. prese nettamente le distanze dalla vasta maggioranza che, a partire dalle elezioni del 1904, si era costituita attorno alla figura di G. Giolitti. Il deputato udinese denunciò allora il clientelismo, la corruzione e, soprattutto, la deleteria influenza di quello che considerava il neotrasformismo giolittiano sulla vita e l'azione dei partiti, in particolar modo di quello radicale. Accolse però favorevolmente nel 1911 la guerra di Libia, nella quale vide il compimento della fusione e dell'unità del popolo italiano. Ben minore fu l'entusiasmo che, preoccupato dalla repentina immissione sulla scena politica di masse immature, riservò invece all'introduzione del suffragio universale maschile. Nuovamente eletto deputato nell'ottobre 1913, il G. fu tra i protagonisti del dibattito che condusse i radicali, dopo un decennio di collaborazione, allo sganciamento dalla maggioranza giolittiana. In una serie di articoli apparsi sul quotidiano milanese Il Secolo nel gennaio 1914 il G. ribadì la sua fiducia in un partito radicale distante dal socialismo e sicuro approdo per la piccola borghesia e il proletariato più maturo.
Lo scoppio del primo conflitto mondiale non colse impreparato il G. che nell'articolo Che cosa facciamo?, apparso su Il Secolo del 9 ott. 1914, propugnò l'assoluta necessità dell'intervento a fianco dell'Intesa, in quella che a suo dire non era una guerra, ma "una grande rivoluzione in forma di guerra, e che deve decidere non solo dei territori, ma delle forme e delle direzioni della civiltà, non solo del predominio politico, ma dei diritti di nazionalità, non solo delle ragioni economiche, ma delle ragioni ideali, delle speranze, delle ambizioni, delle sorti dei popoli d'Europa" (Scritti e discorsi scelti, pp. 78 s.). Nel corso del conflitto questi profondi convincimenti non abbandonarono mai il G., il quale, dopo la rotta di Caporetto che coinvolse tragicamente il suo Friuli, fondò e presiedette il Fascio parlamentare di difesa nazionale, che raccolse personalità di varia estrazione decise a far blocco attorno al ministero Orlando. L'azione del Fascio fu estesa al territorio nazionale dal G. e da O. Raimondo, i quali tennero grandi manifestazioni popolari a Milano, Roma e Napoli.
Dall'agosto 1918 al giugno 1919 il G. fu, nel gabinetto Orlando, alto commissario per l'Assistenza ai profughi di guerra, carica che, dal gennaio 1919, cumulò con quella di ministro dell'Assistenza militare e delle Pensioni di guerra. La maggiore testimonianza dell'opera da lui prestata in quel frangente rimane l'istituzione dell'orfanotrofio di Rubignacco, presso Cividale del Friuli.
Nel tormentato clima politico del dopoguerra il G. assistette con crescente preoccupazione all'ascesa dei partiti popolare e socialista. Era suo convincimento che i nuovi movimenti di massa avessero creato, con la complice connivenza di deboli esecutivi, un'esiziale antitesi fra aspirazioni popolari e sentimento nazionale. Il G. si volse per contro con simpatia al nascente fascismo, che considerò, piuttosto che un partito, una sorta di forma spirituale chiamata alla storica funzione di colmare in maniera definitiva il divario fra le istituzioni e il popolo italiano.
Rieletto deputato nel novembre 1919 dopo una difficile contesa nel nuovo collegio plurinominale di Udine-Belluno, il G. si mostrò acerrimo detrattore delle combinazioni ministeriali presiedute da F.S. Nitti, troppo arrendevoli verso popolari e socialisti. Accolse invece con un certo favore il ritorno al potere di G. Giolitti e, nelle elezioni del maggio 1921, si candidò nel Blocco nazionale voluto dal vecchio statista piemontese, ottenendo la riconferma del seggio parlamentare. Dal luglio 1921 al febbraio 1922 resse il dicastero delle Colonie nel governo Bonomi. Colonialista convinto, fu l'artefice, insieme con il governatore della Tripolitania G. Volpi, dell'occupazione del porto di Misurata Marina, primo passo di quella riconquista della Libia completata poi durante il fascismo.
Il 17 nov. 1922 il G., che aveva nel frattempo aderito al gruppo della Democrazia sociale, nato sulle ceneri del vecchio Partito radicale, accordò la fiducia al primo ministero Mussolini. Nel luglio 1923 appoggiò poi la legge elettorale maggioritaria presentata dall'on. G. Acerbo: pur criticabile, il progetto parve al G. garantire un assetto stabile al sistema politico italiano e consentire il ritorno alla normalità democratica. Il discorso sulla legge Acerbo, l'ultimo da lui pronunciato alla Camera, valse al G. la tessera ad honorem del Partito nazionale fascista, consegnatagli, per ordine di B. Mussolini, dai fascisti udinesi.
Pur assorbito dalla grande politica, il G. si volse sempre con grande interesse ai problemi della sua terra: in particolare, nel dopoguerra si batté perché fosse riconosciuta e preservata l'unità etnica, linguistica, storica e geografica del Friuli, in forte polemica con quanti vagheggiavano la creazione di un'entità indistinta, comprendente anche la Venezia Giulia e l'Istria.
Il G. morì a Tricesimo, presso Udine, il 21 ott. 1923, stroncato dall'emofilia che lo aveva afflitto per tutta la vita. Fu commemorato alla Camera dal presidente E. De Nicola. Nel 1926 apparvero a Milano, con la prefazione di E. Ciccotti, i suoi Scritti e discorsi scelti.
Fonti e Bibl.: Presso lo studio legale Zanfagnini di Udine è conservato un Archivio Girardini, ove sono raccolti appunti personali e un consistente carteggio del G. con esponenti del mondo politico ed economico (tra i quali B. Mussolini, L. Facta, B. Stringher): cfr. A.M. Preziosi, Borghesia e fascismo in Friuli negli anni 1920-22, Roma 1980, p. 144. Alla Fondazione Feltrinelli di Milano sono conservate 29 lettere del periodo 1891-97 indirizzate dal G. a F. Cavallotti (cfr. Carteggi di F. Cavallotti (1867-1898), a cura di L. Dalle Nogare - S. Merli, Milano 1959, p. 385). V. inoltre: Dalle carte di Giovanni Giolitti. Quarant'anni di politica italiana, II, Dieci anni al potere (1901-1909), a cura di G. Carocci, Milano 1962, pp. 330 s., 362; F. Martini, Diario 1914-18, a cura di G. De Rosa, Milano 1966, ad indicem. Riferimenti al G. in: G. Buggelli, La riconquista di Misurata e l'azione di G. G., Udine 1939; B. Vigezzi, Il suffragio universale e la crisi del liberalismo in Italia, in Nuova Rivista storica, XLVIII (1964), pp. 538, 542 s., 560; U. Zanfagnini, L'azione interventista di G. G., in Il Friuli, XII (1968), 5, pp. 11-15; T. Tessitori, Storia del Partito popolare in Friuli, Udine 1972, ad indicem; A. Galante Garrone, I radicali in Italia (1853-1925), Milano 1973, p. 399; M. Fabbro, Fascismo e lotta politica in Friuli (1920-26), Venezia 1974, ad indicem; H. Ullrich, La classe politica nella crisi di partecipazione dell'Italia giolittiana, 1909-1913, I-III, Roma 1979, ad indicem; C. Rinaldi, I deputati friulani a Montecitorio nell'età liberale (1866-1919), Udine 1979, pp. 265-270; A.M. Preziosi, Borghesia e fascismo, cit., ad indicem; G.A. Cisotto, Aspetti del radicalismo veneto nel secondo Ottocento, in Movimenti politici e sociali nel Veneto dal 1876 al 1903. Atti del IV Convegno di studi risorgimentali, Vicenza… 1983, a cura di G.A. Cisotto, Vicenza 1986, pp. 47-73 passim; A. Del Boca, Gli Italiani in Libia. Tripoli bel suol d'amore, 1860-1922, I, Roma-Bari 1986, ad indicem; T. Tessitori, Storia del movimento cattolico in Friuli, 1858-1917, Udine 1989, ad indicem; E. Capuzzo, Dal nesso asburgico alla sovranità italiana. Legislazione e amministrazione a Trento e a Trieste (1918-1928), Milano 1992, p. 126; Diz. biogr. friulano, a cura di G. Nazzi, Udine 1997, pp. 317 s.