GIOVANNELLI, Giuseppe
Non si conoscono la data di nascita e di morte di questo intagliatore, scalpellino e restauratore di marmi colorati, attivo a Roma tra la fine del secolo XVIII e l'inizio del XIX. Specialista insieme con Alessandro Lippi e Nicola Valentini nella lavorazione e soprattutto nel restauro dei marmi colorati, contribuì alla formazione e all'allestimento del Museo Pio-Clementino, voluto dal papa Pio VI Braschi.
Nulla si sa della sua formazione; e le prime notizie risalgono all'ultimo ventennio del XVIII secolo. Nel luglio 1779 pose in opera uno dei mosaici acquistati dal pittore N. La Piccola, raffigurante animali, pesci e frutta, collocato nella sala degli Animali del Museo Pio-Clementino (Pietrangeli, 1958). Tra il 1780 e l'anno seguente scolpì due vasi di granito rosso con piedistalli, destinati a essere collocati sopra il cornicione del monumentale portale della sala a Croce Greca, che conduce alla sala Rotonda. Si tratta di due anfore, lavorate con particolare abilità e finezza esecutiva, che proseguono idealmente, con le loro forme slanciate e il colore purpureo, le due antiche statue egizie sottostanti, poste ai lati dell'ingresso (Id., 1987)
Come altri artisti operanti nel Museo, il G. era un fornitore, sia pure occasionale, di antichità e di marmi. Nel 1781 vendeva al Museo "una base e cimasa di marmo appartenente all'ara della Fortuna Gioveniana", oggi conservata nella sala delle Muse (Id., 1993), e un bassorilievo raffigurante "centauri in età giovanile e satirelli fanciulli", restaurato l'anno dopo da Giovanni Pierantoni e ancora visibile nel portico est (Id., 1988). All'inizio del 1782 veniva pagato, invece, per delle colonne di alabastro provenienti dal monte Circeo (Archivio storico dei Musei Vaticani, III b, fasc. 6, LXXXVII) e, nell'estate successiva, per un pezzo di porfido verde, di appena "un palmo e mezzo cubico", definito "bellissimo" (ibid.). Nei primi mesi dell'anno successivo fu pagato per un pezzo di rosso antico e quindi per altre forniture di marmi colorati (Archivio di Stato di Roma, Camerale II, Antichità e belle arti, Giustificazioni del Museo Clementino Piano al Vaticano dall'anno 1781, vol. 23, c. 17). Altri pagamenti, avvenuti in quell'anno, riguardavano la realizzazione di tre vasi di alabastro del monte Circeo con relativi piedistalli in marmo bianco e due teste, di cui non si precisa se antiche o moderne; mentre negli anni successivi riceveva numerosi acconti per l'esecuzione di arredi per il Museo (Archivio storico dei Musei Vaticani, III b, fasc. 6, LXXI). Nel solo 1783 riusciva a modellare quattro sgabelloni di porfido rosso, "scorniciati e alabastrati"; una grande tazza di serpentino, che doveva essere di grande impegno esecutivo poiché vi lavorò per più di un anno; "due piedistalli d'alabastro con base e cimasa scorniciata di marmo bianco e zoccoli di serpentino"; e poi ancora "due vasetti d'alabastro bianco orientale con zoccoletto di rosso antico" e "una colonna milliaria dello stesso alabastro con base e cimasa di rosso antico posta sopra d'un piano di giallo antico, ornato di quattro piccole colonnette d'alabastro di S. Felice, ed il tutto guarnito di metalli dorati" (Archivio di Stato di Roma, Camerale II, Antichità e belle arti, Giustificazioni del Museo Clementino Piano al Vaticano dall'anno 1781, vol. 23, cc. 17, 30v, 46, 52).
Colpisce la varietà dei materiali impiegati, molti dei quali erano marmi colorati di scavo, accostati per ricreare vasi e suppellettili secondo antichi esempi, di grande impatto visivo, in una sintesi integrativa di antico e moderno, che si intonava all'assetto decorativo delle sale del Museo, improntate al gusto settecentesco dell'esotico, del raro e prezioso anche nei marmi. La sua attività di intagliatore spaziava comunque dall'arredo funebre alle suppellettili, riuscendo così a soddisfare le esigenze di un mercato diversificato ed esigente, quale era quello romano di fine Settecento.
Secondo il Chracas, il 28 ott. 1786 il G. aveva terminato il "deposito del cardinale Camazio" in S. Giovanni in Laterano. L'opera, di cui non si precisa se corredata da un busto ritratto o da altro, è andata dispersa in seguito alla ricostruzione, nel 1838, della cappella di S. Giovanni Nepomuceno, dov'era situata, secondo le disposizioni del nobile banchiere Alessandro Torlonia, che la destinò alla propria famiglia. Altri lavori virtuosistici e decorativi erano destinati ai ricchi visitatori stranieri di passaggio a Roma, come testimonia nel 1802 la vendita di tre tavolini, caratterizzati da "mostre di pietre di diverse specie" e piedini in legno dorato, e di una statuetta di verde di Carrara, resa più sfarzosa dal basamento in porfido e da un piccolo elefante, per un valore complessivo di 150 piastre. In quell'anno era ancora alle dipendenze della Camera apostolica che lo impiegava come scalpellino per il distacco di una pittura, raffigurante un uomo in età virile, dal muro di un edificio dissotterrato a Ostia durante una campagna di scavi, successivamente esposta in Vaticano al tempo di Pio VII insieme con le celebri Nozze Aldobrandine (Nogara).
Il G. era inoltre legato al mercato antiquario romano e praticava accordi commerciali per il restauro e la vendita di antichità, molte delle quali provenienti da scavo. Nel 1803 si trovavano in lavorazione presso la sua bottega in Campo Vaccino, dieci colonne, di cui due di porfido e le rimanenti in granatello, per lo più antiche e forse di diversa origine; quattro di esse furono anche oggetto di controversia con i padri di S. Bartolomeo all'Isola Tiberina, e vennero acquisite attraverso una società con il mercante di campagna, nonché collezionista, Carlo Giorgi, personaggio di rilievo della Roma settecentesca, impegnato in numerosi scavi nelle terre camerali, prese in affitto (Carloni).
Il repertorio espressivo del G. e la sua perizia nell'intaglio di ogni genere di materiale lapideo si collocano perfettamente nel clima antichizzante e raffinato della Roma della fine del secolo XVIII, caratterizzato da una ricca produzione di souvenirs da offrire ai viaggiatori europei, e confermano il giudizio che l'erudito Giuseppe Tambroni diede sulla situazione artistica romana del primo Ottocento, quando sottolineava come in questa città l'arte dello "scarpello" fosse più nobile che altrove, diventando così "una emanazione della scultura" (Rudolph).
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Roma, Camerale II, Antichità e belle arti, Giustificazioni del Museo Clementino Piano al Vaticano dall'anno 1781, voll. 21, 23, 24; B. Nogara, Le Nozze Aldobrandine. I paesaggi con scene dell'Odissea e le altre pitture murali antiche conservate nella Biblioteca Vaticana e nei Musei pontifici, Milano 1907, p. 66; C. Pietrangeli, Scavi e scoperte di antichità sotto il pontificato di Pio VI, Roma 1958, p. 95; S. Rudolph, Giuseppe Tambroni e lo stato delle belle arti nel 1814, Roma 1982, p. 27; C. Pietrangeli, I Musei Vaticani, Roma 1985, pp. 68, 102; Id., La provenienza delle sculture dei Musei Vaticani, in Boll. dei monumenti, musei e gallerie pontificie, VII (1987) p. 144; VIII (1988), p. 154; Id., La raccolta epigrafica Vaticana nel Settecento, ibid., XIII (1993), p. 65; R. Carloni, Giuseppe Franzoni tra restauri e perizie d'arte: dalla Pallade alla collezione Giorgi, in La Pallade di Velletri: il mito, la fortuna. Atti della Giornata internazionale di studi, Velletri… 1997, Roma 1999, p. 85.