MORIS, Giuseppe Giacinto
MORIS, Giuseppe Giacinto. – Nacque ad orbassano, vicino Torino, il 25 aprile 1796 dal notaio Giovanni Maria e da Paola Boglione, in una famiglia colta ma non agiatissima.
Terminati gli studi classici, in cui aveva riportato ogni anno il primo premio nella sua classe, seguì gli studi universitari dopo aver vinto per concorso un posto di convittore nello storico Collegio delle Province a Torino, dove si laureò a soli 18 anni in medicina. Fu nominato nello stesso anno ripetitore presso il collegio e poco dopo dottore aggregato in medicina. Si dedicò anche all’insegnamento privato, che gli garantì un buon reddito finché nel 1822 Carlo Felice, re di Sardegna, gli conferì il posto di professore di clinica medica nella R. Università di Cagliari. Durante gli studi universitari Moris aveva avuto come docente di botanica Giovanni Battista Balbis, personalità capace di coinvolgere gli studenti e di trasmettere loro la passione per gli studi naturalistici e floristici in particolare: anche egli ne subì il fascino e scelse di dedicarsi allo studio delle piante.
Dopo l’unione del Ducato di Savoia alla Sardegna e la fondazione del Regno nel 1720, la politica sabauda operò per migliorare l’utilizzazione delle risorse del territorio, che la gestione spagnola aveva lasciato in grave crisi economica. Per sfruttarle era necessario conoscerle, e su questa linea sono da interpretare gli incarichi di esplorazione che i sovrani affidarono a studiosi di chiara fama come il gesuita Francesco Cetti per la zoologia (Storia naturale di Sardegna, Sassari 1774-78), l’abate Francesco Gemelli (Rifiorimento della Sardegna proposto nel miglioramento di sua agricoltura, Torino1776), Spirito Benedetto Nicolis de Robilant per la geologia (ispettore generale delle miniere del Regno nella seconda metà del 1700) e Carlo Allioni per la botanica. Incaricato del censimento floristico dell’isola e impedito a effettuare personalmente le esplorazioni, quest’ultimo incaricò il medico piemontese Michele Antonio Plazza, che si era trasferito nell’isola al seguito di Giulio Cesare Gandolfo arcivescovo di Cagliari, di sostituirlo nelle erborizzazioni. Plazza inviò ad Allioni gli elenchi delle piante censite e i campioni essiccati per i necessari controlli e da questa collaborazione nacque il primo lavoro sulla flora della Sardegna, pubblicato nel 1759 a nome di Allioni, nel quale sono citate 130 entità vegetali tutte comuni e ampiamente diffuse. Il manoscritto completo di Plazza, che riunisce i dati dei successivi anni di erborizzazioni da lui condotte, è costituito da 7 fascicoli completi e da 5 con note sparse, per un totale di 283 pagine relative a 815 specie descritte secondo il sistema e la nomenclatura linneana. Questo documento, conservato presso la Biblioteca del dipartimento di biologia vegetale di Torino, a cui pervenne in dono dagli eredi di Plazza nel 1906, rappresentava al tempo di Moris, pur nella sua esiguità, il più completo repertorio floristico del territorio. Le risorse botaniche dell’isola non erano quindi né ben conosciute né sfruttate, se si eccettua il commercio di alcune specie licheniche da cui erano estratti pigmenti per la tintura dei tessuti, che furono esportate anche in Inghilterra e in Francia almeno fino alla metà del 1800.
Dal suo arrivo a Cagliari nel 1822 e certamente nel 1823, Moris cominciò l’esplorazione della Sardegna, percorrendo i difficili itinerari a cavallo e mandando dettagliate relazioni a Carlo Matteo Capelli, direttore dell’orto botanico di Torino, accompagnate da informazioni sulle colture praticate così come sullo stato dei pascoli, il cui incremento avrebbe potuto migliorare l’allevamento del bestiame. Chiedeva anche finanziamenti, personale di supporto e testi scientifici per poter efficacemente lavorare alla realizzazione della Flora Sardoa, opera che intendeva realizzare e che ben si inseriva nel programma di conoscenza delle caratteristiche e delle possibilità di sfruttamento dell’isola. Le richieste, soprattutto di personale, furono bloccate da questioni burocratiche e fino al gennaio 1825 Moris, che dall’agosto del 1824 era in possesso della dispensa dall’insegnamento, continuò le ricerche esplorando l’isola da solo. In seguito fece alcuni viaggi con Alberto La Marmora, incaricato di compiere dal 1823 al 1825 indagini di tipo mineralogico nell’isola, il quale in molte occasioni fornì al botanico supporti cartografici e logistici. Dal loro carteggio si rilevano le grandi difficoltà nel percorrere le zone interne, sia per mancanza di strade e di locande, sia per la presenza dell’«intemperie» o malaria che da secoli infieriva sul territorio. Come cattedratico clinico, già nel 1823 Moris aveva scritto sull’argomento un opuscolo dal titolo De praecipuis morbis Sardiniae vel a locis vel ab aere effluentibus praelectio, stampata a Torino.
Nel gennaio del 1825 il governo piemontese diede a Carlo Bertero l’incarico di condurre le ricerche botaniche in Sardegna generando uno spiacevole equivoco: Bertero riteneva di essere il responsabile della missione, mentre Moris si aspettava il collaboratore a lungo richiesto per proseguire l’opera a cui già da anni lavorava. Questa situazione fece sì che Bertero, riconoscendo a Moris il diritto di priorità sul progetto di allestimento della Flora sardoa, rimanesse nell’isola solo pochi mesi, per riprendere i suoi viaggi di esplorazione nel continente americano.
Moris continuò le raccolte e le esplorazioni, ripetendole in varie stagioni, anche con il botanico svizzero Filippo Thomas, e nel 1827 pubblicò i primi risultati in un fascicolo stampato a Cagliari e a Torino dal titolo Stirpium sardoarum elenchus, considerato la prima pietra della sua opera fondamentale sulla flora sarda, seguito da altri due elenchi, pubblicati nei due anni successivi. Il primo Elenchus riscosse in Sardegna grande interesse e plauso per le notizie contenute, importanti anche per l’agricoltura e per la fitoterapia.
Nel 1829 Moris rientrò a Torino essendogli stato conferito titolo, grado ed anzianità di professore di medicina presso l’Ateneo torinese in sostituzione, prima temporanea e poi definitiva, di Capelli, morto nel 1831 di colera durante una missione scientifica per lo studio di quella epidemia nell’Europa dell’Est. In quegli anni sposò Luigia Bianchini, che morì in giovane età dopo avergli dato tre figli.
Dopo il ritorno a Torino Moris ricoprì importanti cariche che si aggiunsero alla didattica e alla direzione dell’orto; fra le più significative quelle di consigliere del Protomedicato (1831), vicepresidente dell’Accademia di agricoltura di Torino (1836-38), membro dell’Accademia delle scienze di Torino (dal 1829), della Societé botanique de France (1858), vicepresidente del Consiglio dell’istruzione pubblica, preside del Collegio e della Scuola di farmacia (1848); fu inoltre senatore del Regno e ricevette le insegne di grand’ufficiale dell’ordine mauriziano e di cavaliere dell’ordine del merito civile di Savoia.
A causa di tali carichi di lavoro e della salute malferma, la prosecuzione delle esplorazioni in Sardegna, che consentirono la realizzazione dei tre volumi della Flora sardoa seu historia plantarum in Sardinia et adjacentibus insulis vel sponte nascentium, vel ad utilitatem latius excultarum (il primo volume edito nel 1837, gli altri fra il 1840-43 e il 1858-59), fu possibile solo grazie alla collaborazione del giardiniere Domenico Lisa, che lo sostituì nelle ricerche in campo.
Nelle lettere di Lisa a Moris sono descritti i luoghi e, in parte, gli itinerari da lui seguiti, che chiariscono molte delle notazioni sulle etichette degli esemplari dell’erbario di Moris, oggi conservato a Torino. Il botanico curò il controllo delle determinazioni e le descrizioni delle specie, consultando anche importanti erbari a Parigi e Ginevra. L’iconografia che accompagna l’opera è composta da 111 tavole di grande bellezza e precisione, ricche di particolari di fiori, foglie e frutti, eseguite sotto la guida diretta di Moris, come testimoniano numerosi bozzetti preparatori a matita, conservati presso il dipartimento di biologia vegetale di Torino, su cui sono evidenti correzioni e note di sua mano. La maggior parte dei disegni delle tavole fu eseguita da Maria Maddalena Lisa Mussino, disegnatrice presso l’orto torinese per la prosecuzione dell’Iconographia taurinensis e moglie di Domenico. A partire dalla tavola 75 si alternano a quelle di Lisa Mussino 30 tavole firmate da John C. Heyland, noto disegnatore botanico, che illustrò le opere di studiosi come Augustin-Pyrame de Candolle, Benjamin Delessert, Philip Barker Webb e che collaborava all’epoca anche per le tavole dell’Iconographia. Gli incisori furono A. Nizza, L. Fea, H. Mil e S. Botta.
La Flora sardoa, limitata com’è alla trattazione delle fanerogame, nonostante la sua mole e il grande dettaglio è un’opera incompiuta. Malgrado ciò, essa fu elogiata anche da critici severi come Vincenzo Cesati. Moris, divenuto uno dei più importanti botanici dell’epoca, non cessò mai di coltivare rapporti con altri studiosi, fra cui Filippo Parlatore, fondatore dell’erbario centrale di Firenze, Gaetano e Pietro Savi, prefetti dell’orto di Pisa e altre autorevoli personalità accademiche europee. A Torino ebbe validi collaboratori fra cui, per cinque anni, Giuseppe De Notaris, con cui studiò la flora dell’isola di Capraia (poi descritta in Memorie della R. Accademia delle scienze di Torino, cl. di scienze mat. fis. e nat., s. 2, I [1839], pp. 3-244), e per più di trent’anni Giovanni Battista Delponte, che gli succedette nella direzione dell’orto.
Uno dei grandi meriti di Moris fu, oltre all’incremento delle collezioni vive, l’acquisizione dell’erbario di Balbis, messo in vendita dagli eredi nel 1831, di quello di Carlo Antonio Ludovico Bellardi. ottenne anche il deposito presso l’orto dell’erbario Allioni, precedentemente custodito presso l’orto della Crocetta dell’Accademia di agricoltura. Egli stesso legò la propria ricca collezione di exsiccata alla sede torinese. Nella gestione dell’orto sostenne e favorì l’operato di Delponte: dal sodalizio con questo fedelissimo collaboratore derivano le maggiori innovazioni nell’orto, dalla costruzione di serre al riassetto delle aiuole del giardino, all’impianto del boschetto, all’arricchimento delle collezioni in terra e in vaso, che arrivarono a contare 12.000 specie. Il lavoro dei due botanici segnò uno dei migliori periodi per l’istituzione torinese.
Morì a Torino il 18 aprile 1879.
Fonti e Bibl. - Torino, Biblioteca del Dipartimento di biologia vegetale, Manoscritti di G. M.; Ibidem, Herbarium: Erbario di G. G. M.; Torino, Biblioteca civica, Fondo Capelli; F. Chiappero, Necrologia al Professore G.G. M., in Giornale di farmacia chimica e scienze affini, XVIII (1869), pp. 187-191; F. Parlatore, Cenni necrologici di Antonio Bertoloni e G. M., in Nuovo giornale botanico italiano, I (1869), pp. 149-156; V. Cesati, Cenni biografici sopra Antonio Bertoloni e G.G. M., in Memorie di matematica e fisica della Società italiana delle scienze, IV (1881), pp. 10-12; F.A. Stafleu, R.S. Cowan, Taxonomic Literature, III, Utrecht 1981, pp. 585-587; G. Forneris, G.G. M., in La facoltà di Scienze matematiche fisiche naturali di Torino 1848-1998, a cura di C.S. Roero, t.II, I Docenti, Torino 1999, pp. 103-107.