GHEZZI, Giuseppe
Nacque a Comunanza, presso Ascoli Piceno, il 6 nov. 1634 da Sebastiano, pittore, e da Maria Terrani, figlia di Dario, notaio. La data di nascita e altre notizie sulla sua formazione si ricavano da una lettera che egli scrisse nel 1701 a padre Pellegrino Orlandi, preziosa anche per le informazioni circa il padre Sebastiano e il figlio Pier Leone (Ricci, pp. 316 s.). Egli riferì che fu il padre a dargli i primi insegnamenti di disegno e che al contempo lo avviò agli studi di retorica e di grammatica. Alla sua morte, il G. si trasferì a Fermo per studiare filosofia e diritto. Ripresi gli studi di pittura tornò in patria per questioni legali della sua famiglia e nel 1651 si trasferì a Roma (Crescimbeni, p. 121) dove rimase fino alla morte. Ricerche documentarie recenti condotte sugli Stati delle anime, conservati nell'Archivio del Vicariato di Roma, hanno permesso di fare luce sui suoi primi anni romani, finora poco noti, e hanno reso possibile la conoscenza pressoché integrale dei diversi luoghi di residenza e delle principali vicende professionali e familiari del G. nei settant'anni di vita trascorsi nella città (De Marchi, 1999, pp. 33-44). Giunto a Roma proseguì gli studi di diritto, esercitando presso la Curia romana molto precocemente. Nel 1655 risiedeva ed esercitava presso il notaio Francesco Agostini, di cui divenne sostituto già l'anno seguente. Dal 1658 al 1670 lavorò alle dipendenze del notaio Melchiorre Vannucci. Nel 1671, anno in cui sposò Lucia Laraschi, divenne notaio della Camera apostolica nello stesso ufficio di cui erano stati titolari in precedenza l'Agostini e il Vannucci. Nel 1672 nacque il primogenito Placido Eustachio. Nello stesso anno il suo ufficio presso la Camera apostolica venne soppresso e, proprio nel 1672, quasi quarantenne, il G. realizzò la sua prima commissione pittorica ufficiale, la pala con la Madonna del Suffragio con le anime del purgatorio per l'altar maggiore della chiesa della Madonna del Suffragio a Roma, sicuramente preceduta da altre opere eseguite per il mercato privato, i "quadretti d'invenzione" di cui parla Pascoli (p. 652). In un passo importante della citata lettera all'Orlandi il G. sottolineò come solo molto tardi e dopo molte difficoltà si era potuto dedicare alla pittura.
Nella sua prima opera pubblica risulta già perfettamente inserito nell'ambiente artistico romano, ancora dominato dal cortonismo; e la costruzione mossa e drammatica, con forti accenti di patetismo, soprattutto nelle figure dei penitenti in primo piano, dimostra un'attenzione a G.B. Gaulli che proprio in quegli anni lavorava alla volta della chiesa del Gesù. Il gruppo della Madonna e degli angeli è un brano di pittura accademica, e la sua impostazione classicistica rimanda da vicino alle composizioni marattesche.
Del Gaulli e di C. Maratta, con i quali condivise l'appartenenza alle più prestigiose istituzioni culturali romane dell'epoca, fu amico e sodale, in particolare del Maratta, anch'egli marchigiano, che fu padrino di suo figlio Pier Leone. Nel 1674, poco dopo la nascita di quest'ultimo, il G. entrò a far parte dell'Accademia di S. Luca sotto il principato del Gaulli e, vista la sua competenza in campo sia legale sia artistico, fu nominato con procedura eccezionale accademico e segretario. Tra il 1675 e il 1676 nacquero le sue due figlie, Caterina e Teresa. La moglie morì pochi giorni dopo la nascita di quest'ultima. Nel 1676 venne accolto nella Compagnia dei Virtuosi al Pantheon, in cui ricoprì le maggiori cariche (Bonaccorso - Manfredi, pp. 66 s. e passim)
Firmata e datata 1676 è la tela con i Ss. Stefano e Lorenzo, in S. Cecilia in Trastevere; forse contemporanea è la tela con S. Benedetto, nella stessa chiesa, opere di impianto monumentale e di grande chiarezza compositiva, con uno spiccato interesse ritrattistico nei volti dei santi. Ancora entro il 1676 eseguì alcune tele originariamente nella chiesa della Ss. Annunziata delle Turchine: della S. Gertrude si è persa traccia, mentre la Partenza di s. Paola, firmata e datata, si trova nella Galleria nazionale d'arte antica (palazzo Barberini) di Roma e l'Annunciazione nella chiesa della Ss. Annunziata sulla via Portuense.
Queste tele, in particolare la seconda, nonostante l'impostazione classicista e l'adesione ai principî del decoro, prevedibili in un rappresentante di spicco dell'Accademia, mostrano una notevole autonomia rispetto all'iconografia tradizionale soprattutto riguardo allo studio e alla resa particolareggiata del costume: elementi che saranno dominanti nella pittura di suo figlio Pier Leone (M. Massa, in Pier Leone Ghezzi…, pp. 81 s.).
Sempre nel 1676 entrò ufficialmente nella Confraternita dei Marchigiani, oggi Pio Sodalizio dei Piceni, frequentata già dal 1651, anno del suo arrivo a Roma. In quell'ambito ebbe modo di conoscere uno dei personaggi chiave per l'ambiente culturale romano del tempo: il cardinale Decio Azzolini, originario di Fermo. Protettore della Confraternita dei Marchigiani, per la quale aveva acquistato nel 1669 la chiesa di S. Salvatore in Lauro, il cardinale venne eletto accademico d'onore di S. Luca su proposta del G. nel 1679. Fu sempre il G. che curò le solenni esequie dell'Azzolini nella chiesa di S. Salvatore in Lauro nel 1689. Tramite il cardinale il G. conobbe Cristina di Svezia, di cui divenne principale consigliere per l'acquisto dei quadri nonché restauratore prediletto di molti dipinti della sua collezione. Negli anni 1679, 1680, 1681, 1683 e 1685 si prodigò come "festarolo" per la festa della nazione marchigiana, il 10 dicembre, ricorrenza della traslazione della Santa Casa di Loreto. A partire dal 1687 venne nominato esplicitamente responsabile della mostra di quadri che si teneva ogni anno, in quella stessa occasione, nel chiostro della chiesa di S. Salvatore in Lauro: si trattava della più importante tra le mostre seicentesche.
Un volume conservato presso il Gabinetto dei disegni del Museo di Roma contiene una raccolta di suoi scritti (1682-1717) in gran parte relativi all'organizzazione di tali mostre. La trascrizione e la pubblicazione di questi scritti, in tempi recenti, ha permesso non solo uno studio più agevole delle modalità di svolgimento delle esposizioni ma soprattutto, visto che il G. includeva i nomi dei prestatori ed elencava scrupolosamente i quadri in mostra, ha permesso di approfondire lo studio dei caratteri del collezionismo romano, compreso il suo, dal momento che gli elenchi includono anche opere in suo possesso (De Marchi, 1987).
Entro il 1686 eseguì per l'odierna cappella di S. Michele in S. Maria in Aracoeli le cinque tele dell'Immacolata Concezione e Quattro santi. In quell'anno lavorò anche in S. Maria in via Lata alla tela con S. Nicola di Bari e s. Biagio davanti a s. Giuseppe, in cui si ritrova lo stesso interesse per il ritratto già mostrato nei dipinti per S. Cecilia; nella resa dei paramenti dei santi vescovi inginocchiati, si ritrova invece la notevole perizia di colorista del G., già riscontrata nella Partenza di s. Paola. Per la cappella della Pietà in S. Salvatore in Lauro dipinse entro il 1694, come indicato da una lapide in loco, una Pietà sull'altare, S. Nicola da Tolentino e S. Antonio da Padova ai lati e l'affresco sulla volta.
Queste opere sono considerate tra le più interessanti della fine del Seicento a Roma. La Pietà è interamente costruita sulle diagonali, il livido tono di fondo contrasta con la chiarezza abbagliante del corpo di Cristo in primo piano, che sembra quasi scivolare verso lo spettatore. I due santi laterali sono considerati "tra i pezzi più belli e patetici della pittura barocca a Roma di fine secolo" (Martinelli, p. 12).
L'influsso della pittura mossa e drammatica del Gaulli, molto forte in queste opere, diventa dominante nella coeva decorazione della cappella dello Spirito Santo in S. Silvestro in Capite, interamente di mano del G. e considerata anch'essa una delle sue prove migliori. La pala d'altare raffigura la Pentecoste, le laterali S. Giovanni battezza le folle e il Battesimo di Cristo. Nelle lunette, Paolo I riceve l'ispirazione di fondare la chiesa e S. Gregorio Magno e un angelo con il libro delle omelie; sulla volta è affrescato l'Eterno Padre e angeli.
Pur se operò principalmente a Roma, il legame profondo che ebbe con le Marche trova conferme nelle opere eseguite per il suo paese: per la chiesa di S. Caterina a Comunanza dipinse La Madonna di Loreto, forse in collaborazione con il figlio Pier Leone, i Ss. Giovanni Battista e Giuliana, il monumentale S. Liborio, databile agli anni Ottanta, e uno stendardo con S. Caterina, attualmente disperso. Databile alla fine del secolo, per analogie stilistiche con le opere in S. Salvatore in Lauro, è la tela con i Ss. Pietro e Paolo per la cattedrale di Ripatransone (Donnini, pp. 67 s.). Di qualità particolarmente alta è una Sacra Famiglia commissionatagli nel 1698 per la chiesa di S. Angelo Magno, ad Ascoli, quasi una summa della sua pittura (Carducci, pp. 205 s.; I Ghezzi nelle Marche, p. 23); dipinse inoltre opere per la provincia laziale e umbra, come ricorda Pascoli (p. 653).
Sullo scorcio del secolo giunse la commissione più importante, quattro tele affidategli nell'ultima fase della campagna decorativa in S. Maria in Vallicella per il giubileo del 1700, cui lavorò a partire dal 1697. Direttore artistico era l'oratoriano padre Sebastiano Resta, grande collezionista di disegni, conoscitore d'arte e amico del Ghezzi.
L'impresa fu condotta a termine dopo una serie di vicende travagliate e dopo innumerevoli cambiamenti nei progetti, documentati nel fitto carteggio intercorso tra il G. e il Resta (Dunn, 1982, pp. 601 s.). Il G. dipinse infine L'apparizione dell'Eterno ad Adamo ed Eva e la Resurrezione dei morti per il transetto, la Maddalena e Rebecca ed Eleazaro, per la navata centrale. In queste tele ripropose la tecnica compositiva, già impiegata in S. Salvatore in Lauro, basata su di un sapiente uso della luce radente che sottolinea i contrasti di colore, cui si aggiunge qui l'eccellente resa delle forme in movimento, elementi che dimostrano raggiunta, a questa data, la piena maturità pittorica (Martinelli, pp. 13-15).
La partecipazione alla decorazione di S. Maria in Vallicella si sommò agli impegni precedenti e le dimissioni, nel gennaio 1699, dalla carica di segretario dell'Accademia di S. Luca, peraltro poi ritirate, denunciano la sua difficoltà nel portare avanti tanti incarichi contemporaneamente.
L'inizio del nuovo secolo vide l'elezione a papa, con il nome di Clemente XI, del marchigiano Giovanni Francesco Albani. Già da cardinale e come socio d'onore dell'Accademia di S. Luca, aveva avuto occasione di partecipare in Campidoglio alle celebrazioni del centenario di quella istituzione, ideate dal G. nel 1695 e da lui stesso organizzate nel 1696, con una formula di grande successo. Fin dall'inizio del suo pontificato, Clemente XI prese a proteggere l'Accademia e, grande estimatore del G., si affidò a lui per le successive cerimonie di premiazione dei concorsi accademici che da allora in poi ebbero cadenza triennale e presero il nome di "clementini". Al concorso del 1702 collaborò anche il cardinale P. Ottoboni, mecenate e protettore delle arti, che aveva conosciuto il G. nell'ambito della Compagnia dei Virtuosi al Pantheon. A lui il G. dedicò diversi scritti encomiastici. Un'altra figura cui è legata l'ascesa professionale del G. fu l'architetto Carlo Fontana, anch'egli destinatario di un elogio in versi in latino. Non è un caso che proprio durante il principato di quest'ultimo all'Accademia di S. Luca, tra la fine del Sei e l'inizio del Settecento, il G. vide riconosciuto, attraverso la stima e il consenso unanimi, l'impegno ventennale e a tutto campo per il rilancio dell'istituzione (De Marchi, 1999, pp. 44-51). In questo periodo, comprensibilmente, la sua produzione pittorica subì un rallentamento. Nel 1706 dipinse la pala con S. Crescentino per la chiesa di S. Teodoro, spesso attribuita erroneamente, sulla scorta di Pascoli (p. 654), al figlio Pier Leone (Valesio, p. 673). Nel 1710 eseguì la pala d'altare con la Discesa dello Spirito Santo per la chiesa dello Spirito Santo dei Napoletani, molto lodata dai contemporanei, oggi nella chiesa di S. Pietro a Londra (Pansecchi, 1984, p. 729 n. 27). Verso il 1718 dipinse la lunetta con Angeli e lo Spirito Santo per la chiesa della Maddalena, sua ultima opera nota.
Pascoli (p. 652) ricorda un grandissimo impegno del G. nel disegno durante gli anni della sua formazione, ma tale produzione grafica è andata completamente dispersa alla morte senza eredi del figlio Pier Leone. La sua ingente collezione, di cui facevano parte anche disegni di altri artisti, è riportata nel dettagliato inventario di Caterina Peroni, vedova di Pier Leone. L'elenco tuttavia comprende anche i disegni di quest'ultimo, perciò non si conoscono con certezza quelli già appartenuti al G. (Corradini, pp. 129-131). Recentemente si è riusciti a identificare rari disegni sicuramente di sua mano e a tentare alcune attribuzioni. Tra le più interessanti, un Disegnatore seduto conservato a Berlino (Staatliche Museen, Kupferstichkabinett), la cui data 1657 conferma il precoce interesse per il disegno mentre il G. era ancora notaio praticante (Prosperi Valenti Rodinò, p. 52). Due disegni a penna e acquerello sono invece da mettere in relazione a opere pittoriche: il primo, Dio Padre che appare ad Adamo ed Eva (Los Angeles County Museum of art), è da ricollegare alla omonima tela per S. Maria in Vallicella, il secondo, Volo d'angeli con lo Spirito Santo (Parigi, Louvre, Département des arts graphiques), alla lunetta per S. Maria Maddalena (Loisel Legrand, p. 45). Sappiamo per certo che il G. era in possesso del celebre codice di Leonardo Della natura, peso e moto delle acque, che vendette egli stesso intorno al 1717 all'inglese T. Coke, conte di Leicester. Ce ne dà notizia, oltre a informazioni relative ad altri fogli della sua collezione, il padre Resta, con il quale condivideva la passione per il disegno (Prosperi Valenti Rodinò, pp. 107-115).
Gli ultimi anni del G. furono fra i più burrascosi nella storia dell'Accademia di S. Luca a causa della pubblicazione, nel 1716, di nuovi statuti che penalizzavano i pittori che non ne facevano parte e che restringevano molto i poteri del segretario, prevedendo che dovesse essere affiancato da un notaio esterno. Nonostante su questo punto gli accademici avessero votato una deroga in favore del G., egli diradò la sua presenza fino alle dimissioni, accettate il 22 genn. 1719. Il 17 ott. 1721, poco meno di un mese prima di morire, redasse il suo testamento in cui dichiarò eredi universali i figli Placido Eustachio e Pier Leone. Morì il 10 nov. 1721 e fu sepolto in S. Salvatore in Lauro.
In ottemperanza alle sue disposizioni testamentarie venne concessa ai Ghezzi la cappella della Madonna delle Grazie, in suo onore ridedicata a S. Giuseppe. Nel 1731 Pier Leone dipinse e donò per la cappella la tela con i Ss. Giuseppe, Gioacchino ed Anna, dove è stata di recente ricollocata.
Le fonti sottolineano la poliedricità di interessi, la vivacità intellettuale e la passione per le buone letture del G., alla base del suo costante impegno nell'espressione scritta, intesa soprattutto come condivisione di conoscenza (Orlandi, p. 186; Lanzi, p. 406). È significativo che lasciasse in eredità all'Accademia di S. Luca scritti e libri invece di opere pittoriche e che nell'epitaffio sulla sua lapide, voluto dai figli, le parole orator e vates fossero anteposte a pictor. La maggior parte dei suoi scritti è in relazione ai molti incarichi per l'Accademia di S. Luca e comprende sia i discorsi "instruttori" agli studenti, che egli stesso declamava e che sono andati perduti, sia le orazioni per i concorsi in Campidoglio. L'unica di queste orazioni giunta fino a noi è quella per il concorso abbinato al centenario dell'Accademia, di cui egli curò la pubblicazione insieme con la relazione dell'avvenimento. Vi si trova espressa la sua impostazione teorica, sostenuta da una convinta adesione al classicismo, basata sul primato dell'"invenzione", ma con aperture significative ai pittori moderni che, a suo giudizio, proprio sul terreno dell'invenzione hanno superato i maestri. Un volume a stampa del 1706 rimanda già nel titolo alla comune finalità educativa delle varie arti, pittura, poesia e musica (De Marchi, 1999, p. 71). In esso egli si fregiò per la prima volta del nome arcadico di Afideno Badio, assunto nel 1705, anno in cui era divenuto membro dell'accademia letteraria dell'Arcadia. Uno dei fondatori dell'accademia, G.M. Crescimbeni, fu legato al G. da un rapporto di amicizia e di reciproco interesse: nello stesso anno in cui il G. entrò nell'Arcadia egli venne eletto nella Compagnia dei Virtuosi al Pantheon in cui il G. era uno tra i soci più in vista.
Fonti e Bibl.: P.A. Orlandi, Abcedario pittorico, Bologna 1704, pp. 185 s.; F. Valesio, Diario di Roma (1704-07), a cura di G. Scano, III, Milano, 1978, p. 673; N. Pio, Le vite de' pittori scultori et architetti (1724), a cura di C. Enggass - R. Enggass, Roma 1977, pp. 107 s., 245; L. Pascoli, Vite de' pittori, scultori, ed architetti moderni (1736), ed. crit. dedicata a V. Martinelli, Perugia 1992, pp. 651-663; L. Lanzi, Storia pittorica della Italia (1795-96), a cura di M. Capucci, I, Firenze 1968, pp. 406 s.; G. Cantalamessa Carboni, Memorie intorno i letterati e gli artisti della città di Ascoli nel Piceno, Ascoli 1830, pp. 210-215; A. Ricci, Memorie storiche delle arti e degli artisti della marca di Ancona, II, Macerata 1834, pp. 303-321; G. Carducci, Su le memorie e i monumenti di Ascoli nel Piceno, Fermo 1853, pp. 57, 205 s.; L. Serra, Elenco delle opere d'arte mobili delle Marche, Pesaro 1925, pp. 44, 73, 75; C. Astolfi, Storia del convento e chiesa di S. Salvatore in Lauro…, in Rassegna marchigiana, XI (1933), pp. 173-188, 210-231; E.K. Waterhouse, Baroque painting in Rome, London 1937, pp. 69 s.; F. Haskell, Art exhibitions in XVII century Rome, in Studi secenteschi, I (1960), pp. 116-118; F. Pansecchi, in La pittura del '600 e '700. Ricerche in Umbria, I, Spoleto-Treviso 1976, p. 70 n. 73; G. Donnini, Schede per Ripatrasone, in Notizie da Palazzo Albani, VII (1979), 2, pp. 67 s.; F. Pansecchi, in La pittura del '600 e '700. Ricerche in Umbria, II, Spoleto-Treviso 1980, p. 468; M. Dunn, Father Sebastiano Resta and the final phase of the decoration of S. Maria in Vallicella, in The Art Bulletin, LXIV (1982), pp. 601 s.; S. Rudolph, La pittura del '700 a Roma, Milano 1983, p. 769; F. Pansecchi, G. G.: tre quadri fuori sede, in Scritti di storia dell'arte in onore di Federico Zeri, II, Milano 1984, pp. 724-729; C. Strinati, G. G. L'imbarco di s. Paola romana, in L'arte degli anni santi 1330-1875 (catal.), a cura di M. Fagiolo - M.L. Madonna, Roma 1985, p. 430; G. De Marchi, Mostre di quadri in S. Salvatore in Lauro (1682-1725). Note e appunti di G. G., in Miscellanea della Società romana di storia patria, XXVI (1987), pp. I-XXXV, 1-349; C. Pizzorusso, La pittura del Seicento nelle Marche, in La pittura in Italia. Il Seicento, I, Milano 1989, pp. 382-398; G. e Pier Leone Ghezzi, a cura di V. Martinelli, Roma 1990 (si vedano in partic. i contributi di V. Martinelli, pp. 9-18; V. Casale, pp. 21-43; S. Corradini, pp. 45-56, 111-131); C. Loisel Legrand, Deux artistes romains des XVII et XVIII siècles, G. et Pier Leone Ghezzi: de nouvelles propositions, in La Revue du Louvre et des musées de France, XLI (1991), 3, pp. 44-60; P. Zampetti, Pittura nelle Marche, IV, Firenze 1991, ad indicem; M.T. Caracciolo, Disegni romani fra Seicento e Settecento, nelle collezioni pubbliche francesi…, in Bollettino d'arte, 1992, n. 71, pp. 103-120; G. Bonaccorso - T. Manfredi, I Virtuosi al Pantheon, 1700/1758, Roma 1998, pp. 4, 6, 66 s. e passim; Pier Leone Ghezzi. Settecento alla moda (catal., Ascoli Piceno), a cura di A. Lo Bianco, Venezia 1999, ad indicem (si vedano in partic. i contributi di C. Strinati, pp. 1-4); A. Lo Bianco, pp. 5 s.; M. Massa, pp. 81-84; C. Costanzi, pp. 84-89); Sebastiano e G. Ghezzi protagonisti del barocco (catal., Comunanza), a cura di G. De Marchi, Venezia 1999 (si vedano in partic. i contributi di G. De Marchi, pp. 21-105; S. Prosperi Valenti Rodinò, pp. 107-115); I Ghezzi nelle Marche, guida alle opere, a cura di C. Costanzi - M. Massa - B. Montevecchi, Venezia 1999, pp. 19, 23 s., 27 s., 30, 34-38, 40, 45; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XIII, pp. 537-539.