GAMBARINI, Giuseppe
- Nacque il 17 marzo 1680 a Bologna da una famiglia di modeste condizioni. Intorno al 1693 divenne allievo di Girolamo Negri, pittore attivo nella bottega di Lorenzo Pasinelli, e qui conobbe Giampietro Zanotti, il quale, oltreché compagno di studi, fu il suo primo biografo. In seguito alla chiusura della bottega del Pasinelli, il G. si trasferì presso Benedetto Gennari, nipote del Guercino; in tale bottega ebbe modo di recepire quel naturalismo che lo avrebbe condotto a raccogliere la lezione di G.M. Crespi e a dedicarsi in seguito prevalentemente alla pittura di genere.
La quasi totale mancanza di precisi riferimenti cronologici relativi alla produzione pittorica del G. rende assai problematica la ricostruzione del suo percorso artistico. Esordi con ogni probabilità come figurista per decorazioni prospettiche e in tale veste esegui, allo scadere del XVII secolo, alcune pitture, perdute, per casa Tassoni a Ferrara e, nel 1698, per casa Supini a Bergamo, queste ultime insieme con il quadraturista Marcantonio Chiarini. Intorno al 1705 il G. esegui due figure a monocromo di Santi per una cappella della chiesa di S. Giacomo Maggiore a Bologna divenuta l'anno precedente proprietà della famiglia Broglia. Si tratta forse della prima decorazione eseguita dal G. per un edificio pubblico nonché di una delle sue rare opere di carattere sacro: nel Nuovo fregio di gloria a Felsina ..., pubblicato nel 1703, lo Zanotti afferma infatti che l'artista non aveva ancora eseguito lavori di questo tipo. Dal punto di vista dello stile appare chiara l'adesione del G. al classicismo bolognese di primo Settecento.
Sempre con il Chiarini nel 1709 il G. andò a Vienna e con lui prosegui l'attività di decoratore in uno dei soffitti del palazzo di città del principe Eugenio di Savoia. L'opera del G. a Vienna non ebbe successo (Zanotti, 1739, p. 389); e l'artista tornò presto a Bologna, dove, nello stesso 1709, fu eletto accademico clementino. Al primo decennio del Settecento sono con ogni probabilità da riferire due quadri di soggetto mitologico a pendant raffiguranti La nascita di Adone e Giove a/Jattato dalJa capra Amaltea eseguiti per i conti Bonaccorsi di Macerata (Bologna, collezione privata: ripr. in Roli, 1977, nn. 210 a, b).
Le tele furono attribuite al G. dal Miller in base ad affinità stilistiche con altre opere unanimemente ritenute del pittore come la Scena familiare con filamce (Bologna, Pinacoteca nazionale) realizzata probabilmente negli stessi anni; non è da escludere inoltre che il G. abbia tratto diretta ispirazione dalle due opere, di soggetto analogo, dipinte da C. Cignani intorno al primo decennio del Settecento (L'arte del Settecento emiliano ..., p. 34 nn. 53 s.). Se nella Nascira di Adone sembra prevalere una pittura idealizzata di marca pasinelliana che conduce l'artista a trascurare il carattere popolaresco, nel Giove allattato dalla capra Amaltea brani di intenso naturalismo convivono con la poetica arcadica ispirata dall'arte del Cignani.
Intorno al primo decennio del Settecento si possono collocare anche l'Adorazione dei magi (Bologna, collezione privata: ripr. in Roli, 1977, nn. 21m, b), memore di analoghe realizzazioni di S. Cantarini e P.A. Torri, e la Scena famigliare (Bernay, Musée des beaux-arts), di un pacato classicismo che sembra caratteristico dello stile del G. nel momento del suo rientro da Vienna. Nelle opere di poco successive prevale l'impronta naturalistica che piega in senso guercinesco la prima formazione pasinelliana del G. come appare nel Battesimo del neofita (Milano, Museo d'arte antica del Castello Sforzesco) e nelle due tele della chiesa di S. Filippo Neri a Pistoia (S. Filippo in estasi e S. Filippo salva un viandante assalito), che preannunciano la produzione del pittore incentrata in prevalenza sulla pittura di genere.
Nel 1712-13 il G. si recò a Roma dove collaborò con Pompeo Aldrovandini e Stefano Orlandi alla realizzazione di alcune quadrature per la chiesa dei Bolognesi a Roma dedicata ai Ss. Giovanni Evangelista e Petronio. Tale notizia, riportata dallo Zanotti (1739, p. 389), è importante poiché con ogni probabilità a Roma l'artista ebbe modo di conoscere approfonditamente la pittura di genere che nella città, a partire dai bamboccianti, aveva ricevuto ampio consenso; in tale contesto culturale si inserisce la scelta da parte del G., dopo il rientro a Bologna, di trattare «soggetti umili e bassi, e che trattino cose del vulgo, come di donne che tessano, di altre che ricamino ... introducendovi talora frati mendicanti, che ricevono carità di pane, di vino, e di ciò che loro abbisogni ed altre cotali persone» (ibid., pp. 390 s.). A ciò va aggiunta l'influenza esercitata sul G. dalla pittura del Crespi rispetto al quale, tuttavia la sua arte sembra ridotta in chiave di disimpegno e di minore capacità espressiva. In questo periodo si possono collocare le tele con Prati addonnentati (Bologna, già collezione Sonnino Castelfranco: ripr. in Roli, 1977, n. 346 d), il vino nuovo (Mosca, Museo statale di belle arti Puskin), Monaci questuanti e Danza campestre (Stoccarda, Staatsgalerie). La diretta derivazione di queste ultime due opere dalle tele del Crespi raffiguranti un Concerto campestre e Contadini con asini (Londra, collezione Mahon, ripr. in Spike, p. 128 figg. 10 s.) databili tra il 1710 e il 1715, hanno fatto ipotizzare una possibile presenza del G. nella bottega del Crespi agli inizi del secondo decennio del Settecento. Anche la figura di donna seduta a sinistra dei questuanti ha un precedente in uno studio del Crespi con donna seduta contemporaneo alle tele Mahon (collezione privata, ripr. ibid., p. 174 n. 32.1).
Intorno al 1710-15 si può collocare l'Autoritratto (Bologna, Pinacoteca nazionale), da cui deriva il ritratto a stampa del G. posto all'inizio della biografia contenuta nella Storia dell'Accademia Clementina dello Zanotti. Il 21 dic. 1716 il pittore fu nominato «direttore di figura» dell'Accademia Clementina (Zanotti, 1739, p. 62). Datati e firmati 30 ag. 1719, secondo quanto riportato dal Voss (p. 514), sono due ovali, già nella collezione Khuenburg di Opava (Troppau), con Lavandaie e Vita familiare. Delle due grandi tele eseguite per il conte Vincenzo Ranuzzi, l'Incoronazione di Carlo V, e L'ambasceria al re di Danimarca, resta solo il bozzetto della prima (Bologna, Pinacoteca nazionale) databile intorno al 1720.
Agli ultimi anni della vita del G. si possono riferire le tele Monaci che leggono e Monaci che scherzano (Dresda, Staatliche Kunstsammlungen) in cui acuta risulta la capacità di indagine naturalistica della scena; L'Estate e L'Inverno (Bologna, Pinacoteca nazionale) caratterizzate da un recupero di impostazione monumentale temperato dagli interessi di carattere naturalistico e crespiano; Scena campestre e Ricamatrici (Berlino, già collezione Gurlitt: ripr. in Roli, 1977, nn. 347a, b); Ricamatrici e Concertino in cucina (Lisbona, Museu nacional de arte antiga), fra le opere di livello qualitativo più alto del pittore. Sono
state attribuite alla tarda attività del G. le tele con le Quattro stagioni degli Uffizi di Firenze (Caneva) e le Ricamatrici conservate a New York (collezione Salz, ripr. in Spike, p. 179).
Il G. mori l'11 sett. 1725 nel palazzo Samperi a Casalecchio di Reno, presso Bologna.
Dei disegni del G. si conservano due studi, firmati, per le due figure di sinistra di una composizione più ampia, nota attraverso una replica di S. Ghirardini (ripr. in Roli, 1977, n. 352e), allievo del G., rappresentanti un Banditore con la lanterna magica e Una vecchia nell'atto di scrutare attraverso il foro di una lanterna (Monaco di Baviera, Staatliche graphische Sammlung) e due disegni, firmati, con Donne che ricamano e Donne che lavano panni (Londra, Windsor Castle: Kurz), vicini a opere del G. quali le due scene di genere di lisbona e le Lavoratrici di tombolo già in collezione Fiocco (ripr. in Fiocco, p. 7 fig. 3).
Fonti e Bibl.: Bologna, Bibl. comunale dell'Archiginnasio, ms. B 130: M. Gretti, Notizie de' professori del disegno, cc. 180-183; G.P. Zanotti, Nuovo fregio di gloria a Felsina sempre pittrice ..., Bologna 1703, p. 118; C. Malvasia, Pitture, scolture ed architetture... della città di Bologna (1732), Bologna 1776, pp. 50, 171, 408; G.P. Zanotti, Storia dell'Accademia Clementina, I, Bologna 1739, pp. 387-392; L. Lanzi, Storia pittorica della Italia, 111, Bassano 1808, pp. 117 s.; H. Voss, G. G. Ein vergessener bolognesischer Genremaler des 18. Jahrhunderts, in Pantheon, II (1928), pp. 512-515; G. Zucchini, Quadri di G. G. e di Antonio Gionima, in il Comune di Bologna, novembre 1934, pp. 41-46; R. Longhi - G. Zucchini, Mostra del Settecento bolognese (catal.), Bologna 1935, p. 43; F. Thone, G. G. Zwei bislang unbekannte Werke des Meisters, in Pantheon, IX (1935), pp. 397-399; G. Fiocco, Pitture del Settecento italiano in Portogallo, Roma 1940, pp. 5-7; O. Kurz, Bolognese drawings at Windsor Castie, London 1955, figg. 50 s.; D.C. Miller, Per G. G., in Arte antica e moderna, I (1958), pp. 390-393; G. Heinz, Die italienische Maler im Dienste des Prinzen Eugen, in Mitteilungen der Osterreichischen Galerie in Wien, VII (1963), p. 117; R. Roli, I quadri e i dipinti murali degli altari dal Cinquecento all'Ottocento, in Il tempio di S Giacomo Maggiore in Bologna, Bologna 1967, p. 175; Estate e Inverno di G. G., in The Burlington Magazine, CVI (1964), Suppl., tavv. 16 s.; A. Gitani Cavilla - R. Roli, Commentario a G. Zanotti, in Atti e memorie dell'Accademia Clementina, XII (1977), p. 79; R. Roli, Pittura bolognese 1650-1800. Dal Cignani al Gandolfi, Bologna 1977, ad indicem; L'arte del Settecento emiliano. La pittura. L'Accademia Clementina (catal.), Bologna 1979, pp. 32-35; R. Roli - G. Sestieri, I disegni italiani del Settecento, Treviso 1981, pp. XXXVI, 47; J.T. Spike, G.M. Crespi and the emergence of genre painting in ltaly (catal.), Fort Worth 1986, ad indicem; G. Sestieri, La pittura del Settecento, Torino 1988, pp. 271 s., 278; La pittura in Italia. Il Settecento, II, Milano 1990, p. 727; G. Caneva, in G.M. Crespi nei musei fiorentini (catal.), Firenze 1993, pp. 98 s.; A. Mazza, in Palazzo Ranuzzi Baciocchi, Bologna 1994, pp. 100-103; G. Finaldi, in Alla scoperta del barocco romano. La collezione D. Mahon (catal.), Roma 1998, pp. 52 s.; U. Thieme - F. Becker, Kiinstlerlexikon, XIll, p.