GALLARATI, Giuseppe
Nacque a Milano il 19 marzo 1696, ultimo dei dodici figli di Giantommaso, marchese di Cerano, nella Bassa novarese ove i Gallarati avevano cospicui feudi, e di Maria Lucrezia Archinto, sorella dell'arcivescovo di Milano Giuseppe. Compì gli studi giuridici a Pavia, ove si laureò in utroque iure. Avviato alla carriera ecclesiastica, fu nominato canonico di S. Maria alla Scala il 6 ag. 1725 e arcidiacono dello stesso capitolo il 2 maggio 1737. Il 14 dic. 1729 era stato nominato vicario generale, cioè cappellano maggiore, dell'esercito dello Stato di Milano. Svolse questi uffici, e specialmente il delicato ministero dell'assistenza ai condannati a morte, con apprezzato spirito pastorale, che gli procurò la nomina, il 18 apr. 1742, a vescovo di Lodi.
Consacrato a Roma da Benedetto XIV il 24 apr. 1742 e nominato assistente al soglio pontificio il 26 aprile, fece l'ingresso a Lodi il 14 agosto. Una settimana dopo indiceva una spettacolare missione popolare diretta da un padre gesuita, alla quale il G. partecipò compiendo rigorose pratiche penitenziali. Ai gesuiti il G. restò sempre piuttosto legato sollevando anche critiche e perplessità nel clero. Secondo i cronisti locali del tempo il G. prendeva parte alle preghiere del coro con i canonici e agli esercizi spirituali per il popolo; teneva il catechismo ai fanciulli, ascoltava le confessioni, portava personalmente il viatico agli infermi: dunque un pastore secondo il modello tridentino, sebbene non brillasse per capacità oratorie e cultura. Con alcuni editti emanati nel 1742 e nel 1744 egli richiamò il clero a una rigorosa disciplina ecclesiastica, ricordando ai parroci l'obbligo della residenza, della predicazione, del catechismo, della visita agli ammalati; invitandoli a partecipare alle congregazioni foranee e a "impegnarsi con ogni carità e fervore di spirito proprio de' sagri pastori d'anime nell'estirpare le corruttele, abusi, vizi", stigmatizzando l'ozio e il disordine esistente nelle case religiose.
Attuando un progetto manifestato sin dalla visita ad limina fatta a Roma nel 1750 in occasione dell'anno santo, e terminata nel 1755 la visita pastorale alla diocesi, il G. indisse nello stesso anno il sinodo diocesano, il settimo dal concilio di Trento (il precedente s'era svolto nel 1689). Come per tutta l'attività pastorale, il G. sembrava ispirarsi al modello di s. Carlo Borromeo, ma anche ai dettami contenuti nel De synodo diocesana di papa Lambertini, riedito proprio nel 1755. Lo svolgimento del sinodo, per il quale una commissione preparatoria riunitasi sin dal gennaio 1754 aveva approntato i testi da approvare, fu piuttosto difficile e tormentato, soprattutto per la volontà del vescovo e dei membri di questa commissione che i decreti fossero approvati senza variazioni e per le conseguenti proteste dei canonici.
Preparato e accompagnato da preghiere e solenni liturgie, il sinodo ebbe luogo dal 9 all'11 giugno 1755, anche con qualche preoccupazione del Senato milanese - che ammoniva il vescovo a non toccare "cose pregiudizievoli ai diritti e alle regalie regie" (Zambarbieri, p. 200) - e degli ambienti governativi: istanze regaliste di cui si fecero portavoce esponenti del patriziato cittadino, che anche in altre circostanze sarebbe entrato in conflitto con il vescovo, come nel 1757 per la scelta del predicatore delle "quarantore" indette per implorare la vittoria dell'Austria: il pretore di Lodi dovette rassicurare il governo che il sinodo aveva soprattutto lo scopo di ridurre a una più rigorosa disciplina il clero. Il discorso programmatico del G. si rivolse infatti soprattutto al clero, che aveva richiamato all'esercizio del ministero pastorale anche con un Editto sopra la disciplina ecclesiastica, invitandolo a unire una vita di devozione e di pietà a un irreprensibile comportamento esteriore. In occasione del sinodo aveva fatto raccogliere in un volumetto - distribuito al clero - gli avvertimenti e i consigli di Carlo Borromeo al clero milanese: Monitiones divi Caroli… (Milano 1755). Il rigore dei decreti recanti le pene pecuniarie previste per gli inadempienti, l'obbligo fatto al clero di presentare ogni mese la cedola dell'avvenuta confessione, le norme rigorose sull'abito e il divieto di frequentare luoghi pubblici sollevarono nell'assemblea vivaci proteste e una specie di tumulto, che il G. sedò parte mitigando i decreti, parte con minacce. Sta di fatto che Beltrame Cristiani, ministro plenipotenziario austriaco in Lombardia, ne trasse occasione per scrivere a Vienna che in uno Stato ben regolato "il corpo degli ecclesiastici" non dovrebbe "adunarsi insieme senza la permissione del principe secolare" (Zambarbieri, p. 209).
Il testo a stampa degli atti sinodali (Synodus Laudensis septima… celebrata… anno 1755, Mediolani 1756) mostra tuttavia che il G. aveva attenuato la linea di rigore iniziale (per es. riducendo le pene, e il numero dei casi riservati: come l'adulterio, che cadeva sotto la riserva solo dopo la quarta iterazione), ma restava in piedi tutta la precettistica tridentina sulla formazione del clero, l'ammissione agli ordini, la collazione dei benefici, la condotta del clero, i compiti pastorali dei parroci. L'insistenza sul ruolo e gli obblighi dei parroci, soprattutto delle parrocchie rurali, rivela che il G. avvertiva i problemi (quali la cattiva distribuzione delle parrocchie e dei benefici: l'eccessivo numero in città e l'assenza di servizi religiosi nelle campagne della Bassa), che sarebbero stati uno dei campi d'intervento del governo viennese, che mirava a fare del parroco uno strumento di educazione popolare e di controllo sociale. Le norme emanate dal G. insistevano sull'obbligo di svolgere la catechesi e di far rispettare le feste. Sin dal maggio 1754 egli aveva però presentato un piano (approvato con breve apostolico del 3 dic. 1754) per la riduzione delle festività a venti, adducendo a motivo l'esigenza di venir incontro alla povertà della popolazione locale e di procurare il "bene della repubblica". Difficile dire se nella visione pastorale del G. vi fosse il riflesso degli indirizzi muratoriani verso una "regolata devozione" oppure un riflesso dello spirito tridentino, di cui è prova anche la visita pastorale compiuta alla diocesi.
L'episcopato del G. era iniziato mentre era in atto la guerra di successione austriaca, che aveva avuto spiacevoli riflessi nel Lodigiano. Per il rincaro del costo della vita il vescovo fece aumentare da 16 a 20 soldi l'elemosina per le messe, venendo incontro al clero più povero. Anche durante la guerra dei Sette anni continuarono a fare stanza nel Lodigiano truppe imperiali, alle quali il vescovo prestava assistenza spirituale con la cura e la liberalità derivate dalla sua esperienza milanese.
Uno dei meriti maggiori del G. fu l'attenzione rivolta al patrimonio culturale e all'edilizia sacra della diocesi; chiamò artisti di prima qualità e, determinato a portare a termine i programmi del predecessore, fece attuare il progetto dell'architetto F. Croce per il rifacimento dell'interno del duomo in stile tardobarocco (i lavori terminarono nel 1764), e completò la riedificazione del palazzo vescovile. Durante il suo episcopato venne compiuta la decorazione della sacrestia dell'Incoronata; venne consacrata la chiesa della Maddalena, dove venne traslato il crocifisso venerato dai Lodigiani, ed effettuata la decorazione della cappella della Concezione; nel 1753 venne anche consacrata la chiesa di S. Filippo, decorata e affrescata fra il 1750 e il 1752 da C.I. Calori (Agostoni, pp. 75-85), cui si deve anche la decorazione della sala gialla del palazzo vescovile con il Trionfo della religione.
Il G. dotò di nuove rendite la cattedrale di S. Bassiano e compì la ricognizione del corpo del santo patrono della città; consacrò la ricostruita chiesa di Maiorano, effettuò la dedicazione della chiesa di S. Pietro a Lodi Vecchio e pose la prima pietra della chiesa di S. Antonio Abate dei terziari francescani; fece introdurre nella ufficiatura e nella messa anche la commemorazione dei santi milanesi.
Il 1° maggio 1765 il G. rinunciava al vescovato di Lodi, conservandone alcune rendite, per ritirarsi a Milano, dove morì il 1° luglio 1767.
Fonti e Bibl.: Milano, Arch. stor. diocesano, Libro dei battesimi di S. Stefano in Brolio, X, c. 105; Lodi, Arch. della Curia vescovile, cart. Editti Gallarati, Andreani, Della Beretta; Arch. segr. Vaticano, Congr. del Concilio, Visita ad limina, Relationes, Laudensis, cart. 435 A; Lodi, Bibl. comunale, ms. XXIV.A.23: A. Robba, Memorie di mons. G. G. vescovo della nostra città e diocesi di Lodi; Milano, Arch. Gallarati Scotti, fondo Gallarati; F. Ughelli, Laudensium episcoporum series…, Mediolani 1763, pp. 233 s.; A. Timolati, Mons. G. G. 73° vescovo di Lodi, in Arch. stor. per la città e i comuni del circondario e della diocesi di Lodi, X (1891), pp. 2-8; G. Agnelli, Lodi… nel '700, ibid., XVI (1897), pp. 322-324; G. Manzoni Trivulzio, Memorie intorno alle famiglie Gallarati e Scotti, Milano 1897, tav. XVII (con alcune inesattezze); G. Agnelli, Lodi e il suo territorio nella storia, nella geografia e nell'arte, Lodi 1917 (ed. anast. 1990), pp. 38, 232, 442, 505, 653, 656, 736; L. Samarati, I vescovi di Lodi, Milano 1964, pp. 264-269; F.G. Agostoni, Su un notevole affresco inedito di Carlo Innocenzo Carloni a Lodi, in Arch. stor. lodigiano, XIV (1966), 2, pp. 75-85; A. Barigozzi Brini, Carloni, Carlo Innocenzo, in Diz. biogr. degli Italiani, XX, Roma 1977, p. 123; A. Zambarbieri, Terra, uomini, religione nella pianura lombarda. Il Lodigiano nell'età delle riforme asburgiche, Roma 1983, pp. 193-209, 253-255 e passim; G. Vigotti, Papi, cardinali, arcivescovi e vescovi milanesi, Milano 1987, p. 106; Storia religiosa della Lombardia, Diocesi di Lodi, Brescia 1989, pp. 75 s., 184 s., 189 s., 214 s. e passim; Lodi. La storia. Dalle origini al 1945, Bergamo 1990, II, pp. 237, 240 s.; III, pp. 269, 289; A. Bianchi, L'istruz. second. tra Barocco ed età dei Lumi. Il collegio di S. Giovanni alle Vigne di Lodi e l'esperienza pedagogica dei barnabiti, Milano 1993, p. 156; R. Ritzler - P. Sefrin, Hierarchia catholica…, VI, p. 254.