GALEANO, Giuseppe
Nacque a Palermo nel 1605 da una famiglia che l'Oldoini dice originaria di Ventimiglia.
Dei suoi studi, culminati nel conseguimento della laurea in teologia, filosofia e medicina, parla il Mongitore (p. 381), che in un profilo fortemente encomiastico esalta l'ingegno versatile del G. e le sue alte qualità professionali, grazie alle quali acquistò larga fama anche fuori dalla Sicilia (cfr., del G., Hippocrates redivivus paraphrasibus illustratus.Aphorismorum Hippocratis sectiones [Panormi 1650, 1663, 1701]). Impossibile è comunque tracciare una plausibile biografia del G., perché i dati forniti dal Mongitore - fonte quasi esclusiva anche degli eruditi posteriori - sono largamente incompleti e non disposti in un'ordinata successione cronologica.
Il G. è indicato come uno scienziato di grande acume e serietà, ma anche di soccorrevole abnegazione verso i meno abbienti. Presidente dell'Accademia palermitana di medicina e consultore del pretore per i problemi sanitari, si distinse durante l'epidemia del 1647 per la sollecitudine con cui cercò di predisporre efficaci rimedi e terapie, illustrati anche in un'Epistula medica (Panormi 1648), che fu apprezzata da G.A. Borelli. Chirurgo, esperto di piante officinali, viene anche celebrato per il suo magistero didattico, che esercitò per molti decenni nei pubblici ospedali e nelle case di cittadini ragguardevoli. Si occupò di lebbra e di mal francese e dissertò sui luoghi di ricovero degli infettati (La lepra unita col mal francese o altro contagioso male, in quale degli spedali debba curarsi, Palermo 1665); propose il caffè per il "conservamento della salute de' corpi humani", nonché la "perfetta acquavita", le cui virtù illustrò in saggi del 1662 e del 1667 con lo pseudonimo di Bruno Cibaldi.
Il G. si segnalò anche in campo letterario e fu membro dell'Accademia dei Riaccesi. L'ampiezza della sua produzione presuppone un impegno costante, che appare evidente dalla sua conoscenza di indirizzi e scuole poetiche contemporanei. Dapprima fu autore di testi sacri, come il panegirico La s. Rosalia (Palermo 1626), in lode della patrona della città, a cui in seguito dedicò altri componimenti (La Rosalia trionfante, Venezia 1632, e La s. Rosalia Vergine romita palermitana, Palermo 1653). Il G. fu poi anche poeta encomiastico, come appare nell'ode pindarica L'iride colomba (ibid. 1648) e nel panegirico L'aquila del sole austriaco (ibid. 1653). Le sue diverse tendenze appaiono nel volume Diporti giovanili (ibid. 1661), dedicato a Giuseppe Caccamo, principe di Castelforte, di cui era medico. Malgrado il titolo alluda a un semplice sforzo di piacevole dilettantismo, il G. non mancò di difendere, in un discorso al "palermitano lettore", il suo duplice impegno scientifico e artistico, rivendicando per la sua opera la serietà di una studiosa applicazione. Abbastanza articolata è infatti la sua conoscenza della letteratura moderna e disposta alle più varie sperimentazioni la sua musa. Ben curiosa è, ad esempio, la sua riduzione della Gerusalemme liberata in 65 sonetti; e un prodotto tipico dell'ingegnosità secentesca è la Gara delle tre lingue, in cui un testo dello stesso G. o di altro autore viene tradotto in ognuna delle tre lingue (siciliano, toscano, latino), allora usate dai letterati isolani. In questa transcodificazione veniva assunto anche il metro della lingua "rivale", come nel caso del sonetto di G.B. Marino, Apre l'uomo infelice allor che nasce, che dal G. fu reso con un'ottava siciliana e un epigramma latino. La sezione più significativa della raccolta - quella dei Sonetti varii, in italiano - è costituita da un gruppo di liriche amorose molto manierate, che presenta le consuete innovazioni tematiche del barocco, accanto a motivi topici come quello della fuga del tempo e della bellezza; ma non mancano i versi d'occasione o le rime sacre o realistiche. Ma più alte ambizioni nutriva l'autore, che nella raccolta dà anche un saggio di tre canti di un poema epico (la Spagna racquistata), che aveva momentaneamente interrotto per la morte del committente e impegni di lavoro.
Il poema fu poi ripreso e completato in 15 canti con il titolo Il Pelagio overo Spagna racquistata (Palermo 1670). La dedica a Carlo II re di Spagna, con l'auspicio che la sua grandezza potesse raggiungere quella dell'avo Carlo V, lascia ben intendere il carattere encomiastico dell'opera, che ha un'intenzione seria e celebrativa. Al di là delle opinabili corrispondenze tra le situazioni narrative e il sistema etico cristiano - come la presunta rappresentazione dell'"uomo sotto la tirannide del senso" nella condizione della "Spagna soggiogata da i nemici Mori" -, il poema è un'attardata imitazione dell'epos del Tasso: da esso riprende infatti sia la nozione del "giovar dilettando", sia il motivo celebrativo delle "armi pietose", oltre al concetto di riconquista della patria dagli infedeli. Ambientata nella Spagna delle guerre tra Goti e Mori, l'azione del Pelagio ruota attorno alle imprese dell'eroe eponimo che, assistito dalle forze celesti, viene alla fine proclamato signore di León.
Il nome del G. è soprattutto legato a una grande iniziativa editoriale: la pubblicazione, sotto lo pseudonimo di Pier Giuseppe Sanclemente, delle Muse siciliane, un'imponente antologia della poesia dialettale isolana, divisa in quattro parti, di cui la seconda è distinta a sua volta in due tomi. Nella dedica a don Ugo Notarbartolo, indicato come promotore di un'impresa analoga alla sua, il G. rivendica l'importanza della sua raccolta, che liberava dalla dimenticanza e dalla distruzione le canzuni siciliane, vale a dire tutta quella produzione lirica in dialetto per la quale era tradizionalmente adottata una forma metrica - l'ottava a rima baciata -, che era una particolarità esclusiva della poesia siciliana tra Quattrocento e Seicento.
Come precisò meglio nella dedica Ai siciliani lettori il G. fece passare dall'oralità o da un'incerta tradizione manoscritta alla scrittura un gran numero di componimenti, che circolavano ormai corrotti e privi di sicura attribuzione. Enorme è perciò, nel suo ambito, l'importanza storica di questa antologia, che ci ha conservato le rime della cosiddetta "seconda scuola poetica siciliana". Il G. divise la sua raccolta per materia: nella prima parte (Palermo 1645, 1662) riunì le canzoni di argomento amoroso "de' più famosi autori antichi"; nella seconda (ibid. 1647, 1662) quelle degli autori moderni; nella terza (ibid. 1651) le rime in stile burlesco; nella quarta (ibid. 1653) le rime sacre. Alla base del progetto del G. c'è la rivalutazione della poesia siciliana in dialetto, che è sentita come il risultato moderno di una tradizione letteraria inaugurata da Teocrito e non come una produzione rozza e popolaresca. In effetti le ottave amorose di alcuni poeti - segnatamente di Antonio Veneziano - presuppongono una consapevole elaborazione artistica e seguono i moduli di F. Petrarca e del petrarchismo, anche se sono presenti le tendenze della lirica manierista e barocca.
Pur convinto della dignità del suo lavoro, il G. - vuoi per gioco letterario, vuoi per qualche riserva mentale - scelse di apparire nella raccolta sotto un nom de plume. Come afferma il Mongitore (p. 382), che dice di averlo appreso da V. Auria, pubblicò i suoi versi amorosi e satirici con il nome di Vincenzo Valguarnera (rispettivamente in Muse siciliane, II, 2, pp. 311-364; III, pp. 239-249), mentre dichiarò la paternità solo delle "rime sacre" (IV, pp. 185-194), che evidentemente riteneva più consone alla sua serietà. Modeste sono le qualità di verseggiatore del G., incolore è il tono della sua poesia amorosa, dominata dal motivo della costanza dell'amante, che, ossessionato dai mostri della gelosia, approda a uno stato di doloroso disincanto; le rime burlesche vivono attorno al topos della fame vorace che spinge il poeta - nei panni del cliente - a invocare donativi e omaggi alimentari; le rime sacre, infine, svolgono per lo più i temi del peccato e del pentimento e solo in piccola parte sono dedicate alle celebrazioni liturgiche e agiografiche.
Il G. morì, presumibilmente a Palermo, il 28 giugno 1675. Gli sopravvissero due figli, Ignazio e Rosalia, che avevano entrambi abbracciato la vita monastica.
Un catalogo delle opere edite e inedite del G. si trova in Mongitore. Una scelta di liriche è contenuta nel volume di Rime degli accademici Accesi di Palermo, a cura di G.B. Caruso, I, Palermo-Venezia 1726, pp. 484-492. Il volume delle Muse siciliane dedicato ai rimatori in "stile burlesco" è stato ripubblicato da V. Di Maria con il titolo I poeti burleschi dal 1500 al 1650, Catania 1978.
Fonti e Bibl.: A. Oldoini, Athenaeum Ligusticum, Perusiae 1680, p. 374; A. Mongitore, Bibliotheca Sicula, Panormi 1708, I, pp. 381-383; P. Panvini, G. G., in G.E. Ortolani, Biografia degli uomini illustri della Sicilia, Napoli 1817, t. 1, pp. n.n.; G.M. Mira, Bibliografia sicil., Palermo 1875, I, pp. 382-384; R. Anastasi Campagna, Di un sonetto di G.B. Marini e un'ottava sicil. di G. G., in Arch. stor. sicil., n.s., XXXV (1910), pp. 169-172; L. Piazza, Abbozzo stor. sulla medicina in Sicilia dalle origini al sec. XIX, in Le celebrazioni dei grandi medici siciliani, Palermo 1940, p. 9; G. Pitrè, Medici, chirurgi, barbieri e speziali, Roma 1942, ad indicem; S. Correnti, La Sicilia del Seicento, Milano 1976, ad indicem; S. Grasso, Le muse siciliane, in Ritmica, 1991, n. 6, pp. 51-76; R. Contarino, I "picciuli camei" del manierismo siciliano, in Campi immaginabili, 1992, pp. 53-71.