FRASCARA, Giuseppe
Nacque ad Alessandria l'8 marzo 1858, dall'ingegnere Angelo e da Giuditta Pernigotti, in una famiglia di grandi proprietari fondiari.
Il padre era stato deputato della Destra per Novi Ligure nella IX legislatura (1865-67), nella X (1867-70), nella XI (1870-74) e, per Capriate di Orba, nella XII (1874-76).
Il F., dopo aver compiuto gli studi classici nella città natale; si laureò a Roma in giurisprudenza. Successivamente si dedicò all'agricoltura e introdusse importanti innovazioni specialmente nelle tenute di Predosa, presso Alessandria. Dopo vari viaggi all'estero e aver appreso l'inglese, il francese e il tedesco, alternò la residenza nella sua terra con quella a Roma, dove rimase sempre più a lungo e dove entrò nel consiglio d'amministrazione dell'Accademia di Santa Cecilia. Membro della commissione per l'Esposizione di Palermo, fu tra i principali promotori del progetto della ferrovia Alessandria-Ovada. La sua carriera politica cominciò nel 1889, con la vittoria nelle elezioni comunali e in quelle provinciali di Alessandria.
Fu eletto per la prima volta alla Camera nel 1890 nel collegio di Alessandria, sostenuto dal comitato liberale, impostando la sua campagna elettorale sull'adesione al ministero Crispi.
Rivendicava però una spesa pubblica più controllata, la diminuzione del carico tributario, provvedimenti per la previdenza, il patronato e la cooperazione, nuove riforme nell'istruzione, minori spese per gli armamenti. Prometteva di battersi per una minore pressione fiscale sull'agricoltura e un più efficiente sistema del credito per la piccola proprietà rurale; su questo programma ottenne anche l'appoggio di diverse società operaie. Alla Camera, il F., che non aveva facile oratoria, intervenne di rado, ma su questioni importanti, quali il bilancio dell'istruzione pubblica, la perequazione fondiaria, il catasto e le imposte dirette.
Nonostante fosse un "ministeriale" mantenne una certa autonomia e, dopo aver appoggiato F. Crispi, non esitò a votare con A. di Rudinì quando questi divenne presidente del Consiglio nel febbraio del 1891. Fu segretario di diversi uffici della Camera e relatore di un progetto di legge sull'affrancamento di censi, canoni e livelli. Sciolta la Camera nell'ottobre del 1892, il comitato elettorale alessandrino, espressione dell'ambiente imprenditoriale e finanziario, lo ripropose come candidato liberale vicino al ministero Giolitti. Il F. poté contare anche questa volta sull'appoggio di alcune società operaie e il 6 novembre gli elettori lo confermarono deputato. La XIX legislatura fu particolarmente agitata dagli scandali, dalla crisi bancaria e dal malessere sociale. Quando Crispi agì con grande fermezza contro i Fasci siciliani e i moti di Lunigiana, il F. gli dette il suo appoggio (1894). Ebbe, invece, posizione contraria al progetto finanziario del ministro del Tesoro S. Sonnino.
Il F., insieme con un centinaio di deputati liberali, rappresentanti degli interessi agrari, condivise l'aumento delle imposte sul grano e sul sale che aveva preceduto la manovra, ma contribuì al fronte d'opposizione contro il ripristino dei due decimi dell'imposta fondiaria e la riduzione della rendita. Prima che la forte resistenza di questi deputati conducesse alla crisi del governo, il F. intervenne sui bilanci degli Affari esteri e della Guerra, chiedendone la riduzione.
Alla riapertura della Camera, dopo le vacanze estive, si riavvicinò al governo, che aveva rinunciato a parte del programma finanziario, ma la vicenda della Banca romana determinò un nuovo allontanamento. Il comportamento di Crispi nella discussione aperta sul "plico Giolitti" in Parlamento e poi il prolungamento della chiusura della sessione oltre i limiti statutari allontanarono dal vecchio leader il F. e diversi altri deputati che facevano appello allo "spirito costituzionale". Si trovò allineato in quel periodo con gli intransigenti, la Destra lombarda, altri centristi, i nicoteriani e gli zanardelliani.
Continuava intanto a interessarsi del mondo agricolo, aderendo alla Società degli agricoltori italiani, fondata nel 1894, e ricoprendo la carica di presidente del Consorzio agrario di Alessandria, città in cui continuava a essere consigliere comunale e provinciale.
Rieletto ad Alessandria nelle elezioni del 26 maggio 1895, maturò presto il definitivo distacco da Crispi e, dopo la sconfitta dell'Amba Alagi del 7 dic. 1895, intervenne contro la politica coloniale e votò la sfiducia al governo. Il 6 maggio 1896, due mesi dopo Adua e le dimissioni di Crispi da presidente del Consiglio, il F. ribadì in Parlamento come l'Africa avesse per l'Italia scarsa importanza economica. Nelle elezioni generali del marzo 1897, osteggiato dagli ambienti democratico-repubblicani, che lo definivano emblema del feudalesimo bancario, e dal movimento socialista, batté di stretta misura il concorrente socialista.
Sposatosi con Clarice dei principi Orsini e presa residenza nel palazzo romano della Pilotta, perse progressivamente il controllo del partito liberale di Alessandria, anche se restò, temporaneamente, il maggior punto di riferimento dei moderati costituzionali.
Cominciò, intanto, in Parlamento, ad avvicinarsi al Centrodestra costituzionale di Sonnino. Il F. appoggiò egualmente la conferma del dazio sui grani e, dopo i fatti di Milano del maggio 1898, si pronunciò per la discussione delle leggi eccezionali proposte dal governo Rudinì. Poi, giunto Pelloux al potere, ebbe un atteggiamento di "benevola aspettativa", sebbene fosse perplesso sulla politica economica. Quando Sonnino, nel maggio 1899, entrò nella compagine ministeriale, le sue riserve caddero, anche perché convinto dai nuovi indirizzi di politica fiscale. Appoggiò con forza contro l'ostruzionismo i decreti limitativi della libertà di stampa e il 2 marzo 1900 propose un ordine del giorno per il passaggio alla discussione degli articoli di legge e per limitare a dieci minuti il tempo degli interventi di ciascun oratore; sottoscrisse la mozione Cambray-Digny per soddisfare al regolamento parlamentare.
Le elezioni straordinarie del 1900 lo videro ancora candidato nel collegio di Alessandria, ma in crescente difficoltà. Fu battuto, infatti, al primo scrutinio, da A. Zerboglio, su cui confluirono i voti dei socialisti e dei repubblicani, ma appellatosi alla giunta per le elezioni denunciando errori di conteggio, ottenne il ballottaggio che, svoltosi in dicembre, vinse con il velato appoggio dei clericali.
Dal 1903 ebbe problemi di salute e la sua frequenza ai lavori parlamentari, normalmente assidua, ne risentì. Una malattia della vista fu il motivo che addusse per esimersi dal partecipare alle elezioni del 6 nov. 1904. Prevalsero poi le insistenze e le rassicurazioni di chi temeva la forte pressione socialista e il F. si ripresentò per l'Associazione costituzionale. Il suo programma puntò sulla difesa della libertà contro chi seminava "l'odio e il disordine".
La schiacciante vittoria socialista pose fine alla sua vita di deputato. Rientrò in Parlamento sei anni più tardi, il 26 genn. 1910, come senatore per la terza categoria (deputato per tre legislature).
Nella XXIII legislatura (1909-13) intervenne su diverse materie, dalle opere idrauliche all'istruzione elementare e popolare, all'amministrazione del Catasto, alle comunicazioni ferroviarie e fu relatore su diversi argomenti. Nella XXIV (1913-19) fu in diverse commissioni e relatore ancora di numerosi disegni di legge in materia sociale, finanziaria e agricola.
Divenne vicepresidente della Croce rossa italiana nel 1913 e, nell'ambito di questa carica, dopo l'intervento italiano fu presidente della commissione per i prigionieri di guerra. Il 30 apr. 1917 Vittorio Emanuele III lo nominò conte. Il 2 ag. 1918 il F. divenne presidente della Croce rossa e, in tale veste, fece parte della delegazione italiana alle trattative di pace. Il 4 ag. 1919 si dimise e ricevette poco dopo la croce al merito e la nomina a cavaliere di gran croce del gran cordone dell'Ordine della Corona d'Italia.
Segretario dell'ufficio di presidenza del Senato dalla XXIV alla XXVI legislatura (1913-19, 1919-21, 1921-24), partecipò con la consueta regolarità ai lavori parlamentari. Nel dicembre del 1919 intervenne sulla proroga dell'esercizio provvisorio, il 25 sett. 1920 sulla politica interna e il 26 febbr. 1921 sulla gestione statale dei cereali.
Intanto il F. era entrato, come azionista ed esponente del "centro sonniniano" con 25.000 lire, nella società del Giornale d'Italia, quotidiano della destra liberale, che Sonnino aveva voluto nel 1901. Nel 1923 fu inserito nel consiglio d'amministrazione del quotidiano che, ormai portavoce del Centrodestra liberale, puntava a un rapporto equilibrato con il fascismo. Presidente del consiglio d'amministrazione della società termale Fiuggi e consigliere d'amministrazione del Credito fondiario, imparentato con le maggiori famiglie dell'aristocrazia romana, il F. era un punto di riferimento autorevole dell'ambiente imprenditoriale e finanziario. Fu così l'intermediario adatto tra Mussolini e la proprietà del Giornale d'Italia per il passaggio del quotidiano ad altro gruppo.
Il F. morì a Sezzadio, presso Alessandria, il 13 ott. 1925.
Tra i suoi più importanti interventi parlamentari: Interpellanza sulla politica interna. Discorso pronunziato nella tornata del 25 settembre 1920, Roma 1920; Sulla proroga dell'esercizio provvisorio per l'esercizio 1919-1920. Discorso pronunciato nella tornata del 28 dic. 1919, ibid. 1920; Su la gestione statale dei cereali: discorso pronunciato nella tornata del 26 febbraio 1921, ibid. 1921.
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