FINZI, Giuseppe
Patriota e uomo politico, nato a Rivarolo Fuori, in provincia di Mantova, il 27 febbraio 1815, morto a Mantova il 18 ottobre 1886. Non ancora ventenne s'iscrisse alla Giovine Italia; e poiché disponeva di cospicua fortuna, viaggiò a lungo in Francia e in Inghilterra, stringendo a Londra relazione col Mazzini (1844). Non appena ebbe notizia delle Cinque Giornate, accorse in Lombardia, dove il governo provvisorio gli affidò l'incarico di riorganizzare il battaglione Ceccopieri che aveva disertato le insegne austriache a Cremona. Combatté più tardi a Pastrengo e a Santa Lucia, quindi cooperò alla formazione di quella colonna mantovana comandata dal Longoni, che si coprì di gloria a Governolo; dupo l'armistizio Salasco, il F. fece parte della colonna garibaldina la quale continuò la guerra contro gli Austriaci, e, riparato a Lugano, dove convennero nell'ottobre 1848 tanti esuli italiani, si ridusse poi a Firenze, fino a quando (aprile 1849) tornò a Mantova. Colà s'adoperò a diffondere le cartelle del prestito mazziniano, per cui, insieme con Tullo Massarani, fece un viaggio a Londra per intendersi col Mazzini e aderì a quella vasta congiura antiaustriaca che aveva per maggiore esponente don Enrico Tazzoli. Quando la polizia austriaca fece i primi arresti, il F. non volle riparare in Piemonte; fu imprigionato il 17 giugno 1852, sostenendo tormentosi interrogatorî, durante i quali si mantenne sempre negativo, anche nei confronti con L. Castellazzo che, dopo essere stato suo compagno di cospirazione, anzi segretario del comitato mantovano, si abbandonò a gravi rivelazioni. Con sentenza del 28 febbraio 1853 il F. fu condannato a diciotto anni di carcere, da lui espiati in parte nelle prigioni di Theresienstadt e di Josephstadt. Liberato dall'amnistia del 2 dicembre 1856, tornò in patria; sopraggiunta la guerra del 1859, fuggi a Lugano, entrando poi nella Lombardia liberata dagli eserciti alleati. Fu nominato commissario per la provincia di Mantova; ma quando seppe che quella regione rimaneva all'Austria, si dimise, accettando subito dopo l'invito di Garibaldi, perché cooperasse con E. Besana alla sottoscrizione per il milione di fucili, accordandosi a questo fine col Cavour e col Farini. Eletto (1860) deputato alla VII legislatura per il collegio di Viadana, ebbe dal Cavour la missione di recarsi a Napoli in previsione del prossimo ingresso che vi avrebbe fatto il duce dei Mille. Tornato in Piemonte, prese attiva parte ai lavori parlamentari, dapprima schierandosi fra gli uomini di sinistra, poi volgendosi sempre più a destra. Quando l'11 dicembre 1884 la Camera convalidò l'elezione del Castellazzo, il F., che in eloquenti discorsi s'era tenacemente opposto a che entrasse in Parlamento chi aveva con le sue confessioni accresciuto le forche di Belfiore, diede le sue dimissioni da deputato, insistendovi anche quando a unanimità la Camera le respinse. Ritiratosi a vita privata, il 7 giugno 1886 fu eletto senatore del regno; ma non poté prestare giuramento, essendo già minato dal male che lo spense pochi mesi dopo.
Bibl.: A. Luzio, I mart. di Belfiore, Milano 1905, II, p. 349 segg.