PALOMBINI, Giuseppe Federico
PALOMBINI, Giuseppe Federico. – Nacque a Roma il 3 dicembre 1774 da Pietro e da Teresa Spada.
Della sua vita anteriore all’arruolamento quale volontario nella quinta coorte dell’esercito della Confederazione cispadana (a seconda degli stati di servizio è datato 22 ottobre oppure 1º novembre 1796), si sa soltanto che studiava disegno. Rivelò innate doti militari, che furono premiate da una serie di promozioni: sergente maggiore il 7 novembre e luogotenente il 21 dicembre 1796, tenente il 10 maggio e capitano aiutante maggiore il 25 maggio 1798. Ebbe il battesimo del fuoco il 2 febbraio 1797 nella battaglia del Senio contro le truppe pontificie.
Il 9 settembre 1798 fu congedato su sua domanda dall’esercito cisalpino: due mesi prima la Repubblica romana l’aveva nominato colonnello della gendarmeria. In novembre, i gendarmi furono convertiti in dragoni. Il reggimento comandato da Palombini fu inviato nelle Marche, dove l’11 luglio 1799 prese parte alla conquista di Fano. Si distinse particolarmente nella difesa di Ancona: il 2 novembre 1799 fu ferito alla spalla, mentre respingeva un attacco nemico contro la posizione del Gardetto. Il suo valore fu riconosciuto dal generale Jean-Charles Monnier, che lo promosse generale di brigata; una nomina che non fu ratificata dal governo francese.
Dopo la resa di Ancona riparò in Francia. Nell’aprile 1800 fu incaricato dal generale Giuseppe Lechi, comandante della Legione italica, di organizzare a Bourg-en-Bresse un battaglione con gli ufficiali rimasti privi d’impiego. Dopo l’armistizio di Alessandria (15 giugno 1800), Lechi lo nominò presidente del consiglio di revisione della sua divisione. Nell’ottobre successivo un battaglione romano (170 uomini) comandato da Palombini fece parte della divisione di Domenico Pino incaricata di occupare la Toscana, un’impresa conclusa con la vittoria di Siena (14 gennaio 1801), dove Palombini comandò l’avanguardia della divisione.
Quando, finita la guerra, ritornò a Milano, apprese di non aver trovato un posto nella riorganizzazione dell’esercito cisalpino. La sua richiesta di vedersi riconosciuto il grado di generale di brigata, benché fosse appoggiata dai vertici militari della Repubblica (Lechi, Pino, il ministro della Guerra Giovanni Tordorò, lo stesso giurì dei reclami sull’organizzazione delle truppe cisalpine), non fu accolta dal governo.
Nel novembre 1801 Tordorò decise quindi di impiegare Palombini quale capo ufficio presso la prima divisione del ministero in attesa che si liberasse una posizione nell’organigramma militare; il che avvenne il 2 novembre 1802, quando fu nominato capo battaglione nel 1° reggimento di fanteria leggera. Il 23 febbraio 1804 divenne capo brigata di cavalleria e si recò al comando del 2° reggimento usseri (poi dragoni Napoleone) al campo di Boulogne, dove si concentravano le truppe destinate a invadere l’Inghilterra.
Il 28 agosto 1806 sposò la diciottenne Carolina Amalia Beatrice Dąbrowski, figlia del generale di divisione Jan Henryk, l’eroe nazionale polacco. Sempre in quell’anno divenne cavaliere (poi commendatore) dell’ordine della Corona ferrea, nel 1810 ufficiale della Legion d’onore e nel 1811 barone dell’Impero. Nel 1807 prese parte alla campagna di Germania e nel 1808 fu inviato in Spagna, dove rimase fino al 1813, con la divisione Pino.
Si distinse nel dicembre 1808 alla battaglia di Llinas e nel corso del 1809 nel lungo assedio di Gerona. Il 14 febbraio di quell’anno fu promosso generale di brigata e l’11 luglio 1811, dopo aver partecipato all’assedio di Tarragona, generale di divisione.
Dopo la presa di Castro (11 maggio 1813), ritornò in Italia, dove gli fu affidato il comando di una divisione dell’esercito italico, che cercava di opporsi all’avanzata degli austriaci. Nel 1814 la sconfitta di Caldiero lo costrinse a rinchiudersi nella fortezza di Peschiera.
Con la fine del Regno d’Italia, entrò al servizio degli austriaci: il 2 luglio 1814 gli fu conferito il grado di tenente maresciallo. Nel 1815 prese parte alla campagna sul Reno. Nel 1816 divenne cavaliere di seconda classe dell’ordine imperiale della Corona ferrea. Nel 1817 fu scelto quale colonnello proprietario del 36° reggimento di fanteria di linea. Si ritirò dal servizio nel 1824. Nel 1846 divenne cavaliere di prima classe dell’ordine prussiano dell’Aquila rossa.
Morì il 25 aprile 1850 nel castello di Grochwitz (Brandeburgo), che la moglie aveva acquistato nel 1821.
Suo erede fu il primogenito Giuseppe Camillo, un capitano dell’esercito austriaco, che, se portò nel nome un’eco del patriota ‘giacobino’ del triennio rivoluzionario, confermò anche un destino da professionista della guerra affatto estraneo al Risorgimento.
Opere: risulta a stampa unicamente una lettera indirizzata il 21 marzo 1850 a Camillo Vacani e da questi pubblicata nel Nachruf an F.M.L. Baron Palombini, in Oesterreichischer Soldatenfreund. Zeitschrift für militärische interessen, 15 giugno 1850.
Fonti e Bibl.: le carte inedite più importanti di Giuseppe Palombini sono conservate all’Arch. di Stato di Milano, Ministero della guerra, in particolare: Carteggio, filza 1717 (che conserva il suo fascicolo personale); necr., Oesterreichischer Soldatenfreund. Zeitschrift für militärische interessen, 2 maggio 1850, p. 241; ibid., 15 giugno 1850, p. 328. Inoltre: G. Lombroso, Vite dei primarj marescialli e generali francesi, italiani, polacchi, tedeschi, russi, inglesi, prussiani e spagnoli che ebbero parte nelle guerre napoleoniche dal 1796 al 1815, Milano 1841, ad ind.; Id., Vite dei primarj generali ed ufficiali italiani che si distinsero nelle guerre napoleoniche dal 1796 al 1815, ibid. 1843, pp. 321-358; P. Bosi, Il soldato italiano istrutto nei fasti militari della sua patria, Torino 1870, pp. 426 s.; C. von Würzbach, Biographisches Lexikon des Kaiserthums Oesterreich, XXI, Wien 1870, pp. 250-252; Gli italiani in Spagna nella guerra napoleonica (1807-1813). I fatti, i testimoni, l’eredità, a cura di V. Scotti Douglas, Alessandria 2006, ad indicem; Ancora sugli italiani in Spagna durante la Guerra de la Independencia, a cura di Id., numero speciale della rivista Il Risorgimento, LX (2008), 1-2.