FABRETTI, Giuseppe
Nacque da povera famiglia a Casalina, frazione di Deruta (Perugia), l'11 marzo 1787, figlio di Angelo e di Scolastica Campi.
La data di nascita, finora dedotta (solo per l'anno) da alcuni passi dei suoi Diari a causa della perdita dei registri parrocchiali di Deruta di quegli anni, risulta da una annotazione in calce all'atto di morte (Comune di Perugia, Uff. di stato civile, I, 1869, parte 1, atto n. 767).
Orfano di entrambi i genitori in tenera età, il F. venne allevato nell'orfanotrofio maschile di Perugia, dove apprese il mestiere di sarto, ma anche una smisurata quanto disordinata passione per la storia locale, stimolato e guidato in questo dal suo padrino di cresima, il sacerdote F. Cacciavillani. Appena tredicenne cominciò a raccogliere, trascrivendole dovunque le trovasse, memorie prima di Deruta, di Magione e di altri luoghi, ed infine di Perugia. Dotato di uno straordinario equilibrio e buon senso popolare, e di una certa acutezza di giudizio, pervenne presto ad una visione critica del mondo politico che lo circondava.
Si trovava a Perugia il 4 febbr. 1798, quando vide abbattere dai Francesi gli stemmi pontifici ed innalzare in piazza S. Isidoro l'albero della libertà: "Questo fu il più bel giorno della mia vita", ne scriverà. Nel luglio dello stesso anno poi, trovandosi nel villaggio di Solomeo, assistette ad un altro episodio che lo segnò: le bande austro-aretine fecero scempio della casa e delle robe del parroco V. Ronca da Gubbio, accusato di aver pregato, durante la messa della domenica precedente, per la Repubblica. Il F., che serviva quella messa come chierichetto, sapeva che l'accusa era infondata, e fu profondamente impressionato dall'ingiustizia di quella violenza.
Il periodo napoleonico lo trascorse a Deruta, esercitando il mestiere di sarto finché dopo la Restaurazione, ebbe l'incarico di cursore (usciere giudiziario) presso la cancelleria del tribunale, ottenuto grazie all'intervento e alla protezione di mons. C. Nembrini Gonzaga, futuro cardinale, nel 1814 delegato apostolico di Perugia. Nel 1818 fu trasferito a Passignano e nel 1820 a Magione. Aveva sposato in quegli anni Assunta di Baldassarre Corsi, che gli darà numerosi figli, fra cui nel 1816 Ariodante, che diverrà illustre archeologo e senatore. Per l'educazione dei figli egli volle sempre avere una casa a Perugia, dove andava spesso e dove nel 1830 sistemò stabilmente la famiglia.
Aveva allora già dato inizio alla compilazione di quello straordinario documento che sono i suoi Diari, avendo fin da ragazzo stilato regolarmente memorie personali e di cronaca locale che partivano dal 1787, anno della sua nascita (le porterà avanti fino al 1868); aveva sognato di dar loro forma organica ed impianto "scientifico", riprendendo le Memorie di Perugia di Filippo Ansidei, che terminavano col 1729, e riempiendo l'intervallo, ma aveva dovuto rinunciare a questo progetto per mancanza di materiale. Caduto quell'impegno anche stilistico (forse fortunatamente, visti i limiti della sua preparazione), aveva potuto abbandonarsi liberamente a quell'estro popolaresco e a quell'impronta di arguta bonomia che fa del suo lavoro qualcosa di particolarissimo, forse proprio grazie alla sintassi traballante ed ai numerosi gustosi strafalcioni, tanto felici che nel 1908 il curatore della pubblicazione di alcuni passi, G. Degli Azzi, ritenne opportuno, contro l'uso del tempo, di non correggerne neanche i più vistosi, per conservare "l'ingenua schiettezza" del testo, che "riflette l'ambiente morale e sociale senza reticenze e senza partigiane esagerazioni".
Nel 1816 il F. rischiò di perdere il posto a causa dei suoi sentimenti liberali ("Fui accusato di Framassone e non lo era") e fu salvato solo dalla protezione del conte M. A. Oddi Baglioni; in quell'occasione il suo cruccio più grande fu la perdita di alcuni quinterni del suo lavoro (i più compromettenti), affidati per precauzione ad amici di Deruta, e da quelli perduti, o distrutti per timore.
Perdite similari lo afflissero ancora nel 1821, ma soprattutto nel 1848, quando l'attività politica del figlio Ariodante lo coinvolse in modo più grave, nonostante la sua prudenza. Il F. era assai franco nelle conversazioni di piazza e finì coll'attirarsi l'attenzione della polizia. Essendo noto che frequentava assiduamente la libreria Bambini al Corso, si suppose vi fossero nascoste carte di Ariodante, onde venne eseguita una minuziosa perquisizione: si trovò solo il diario del F., che fu consegnato al capo della polizia Costantini, e da lui passò nelle mani del delegato, il famigerato mons. M. Lo Schiavo, il quale lo trattenne per un accurato esame. Il F. restò in attesa angosciata, anche perché, riportatore minuzioso degli umori e delle conversazioni della città, temeva per le persone nominate, specie dopo che il nobile T. Ansidei, di cui raccontava aver dato dello "scimunito" a Pio IX, lo ebbe aspramente rimproverato. Fu in quel tempo che distrusse appunti e carte relativi alla Repubblica del. 1798, al governo francese ed ai moti del 1831, che in seguito cercherà di ricostruire attraverso frammenti e noterelle volanti. Siccome il delegato continuava a trattenere i manoscritti senza manifestare alcuna decisione, il F. si fece coraggio, anche per l'appoggio di I. Sgariglia, consultore e facente funzione di delegato di Foligno, e ne chiese la restituzione. Solo il 25 giugno 1854 il F. riuscì a riaverli, mutili però di molte pagine, che cercherà puntigliosamente di recuperare nel 1860, senza fortuna perché i nuovi reggitori avevano già mandato al macero gli archivi della polizia pontificia.
Comunque questi Diari restano una fonte unica e puntuale di tutti gli avvenimenti della città in quegli anni, anche dei più minuti, con riflessioni e considerazioni dell'autore a volte acute a volte ingenue, ma sempre vivaci e divertenti. In ogni caso il F., anche se privo di una vera formazione culturale, non era sprovveduto né privo di letture: nelle sue note si trova spesso a citare Le Moniteur, The Times o La Civiltà cattolica, e se certamente non era in grado di leggere personalmente i giornali esteri, tuttavia trovava modo di essere aggiornato su quanto venivano pubblicando intorno agli avvenimenti italiani. I suoi giudizi restano sempre equilibrati, anche se lo sdegno gli prende la mano tutte le volte che le sue funzioni al tribunale gli permettono di intravedere da vicino i tenebrosi retroscena di arbitrî e di venalità che si verificano nell'amministrazione della giustizia, specialmente nell'istruttoria dei processi politici: allora il suo linguaggio diventa (ma raramente) anche triviale. Comunque questa testimonianza "dall'interno" del malcostume giudiziario del tempo è elemento non secondario dell'interesse dei Diari.
A parte le sue vicende personali, nel periodo risorgimentale il F. dovette più volte preoccuparsi per la sorte dei figli: Ariodante, deputato alla Costituente romana, prese la via dell'esilio nel 1849; Rinaldo, coinvolto in una sanguinosa rissa fra soldati svizzeri e popolani, dovette rifugiarsi in Toscana, dopo essere stato condannato con A. Baduel per omicidio (finirà impiegato alla Biblioteca Riccardiana di Firenze), mentre le circolari che ponevano una taglia sulla sua testa passavano per le mani del padre nella cancelleria criminale; Valfrino combatté il 20 giugno 1859 nella cruenta giornata perugina e fu creduto morto.
Come sì è accennato, egli raccolse accanitamente per tutta la vita memorie e documenti perugini ed umbri di ogni epoca, ed altri ne ebbe in eredità dal citato don F. Cacciavillani; compilò così numerosi spogli di notizie storiche su Magione, Corciano, Bettona ed altre località, costituendo anche una piccola raccolta di ceramiche di Deruta e di antichità varie, che furono però tutte vendute per aiutare i figli esuli nei momenti più difficili. L'unica sua pubblicazione è Cenni storici delle maioliche di Deruta, edita unitamente all'opera di G. Raffaelli, Memorie storiche delle maioliche lavorate in Castel Durante, ossia Urbania (Fermo 1846).
Dopo il 1860 continuò ad occuparsi degli avvenimenti politici, sempre in posizione crìtica, ed i Diari rispecchiano le sue opinioni, talvolta originali, sulla questione romana, e il suo sdegnato sarcasmo sui nuovi arrampicatori politicì all'arrembaggio di cariche e compensi.
L'8 giugno 1866 perse la moglie, e da questa perdita non si riprese; continuò tenacemente a stendere le sue note fino al 25 sett. 1868. Morì a Perugia il 13 giugno 1869.
Fonti e Bibl.: Nella Biblioteca Augusta di Perugia esiste un Fondo Fabretti, costituito in seguito ad un lascito di Ariodante al Comune di Perugia. In particolare segnaliamo i nn. 2018-2030, contenenti i Diari; n. 1941, Memorie di Magione; n. 2012, carte sciolte e fascicoli riguardanti la famiglia Fabretti e il carteggio tra il F. e F. Vitalini; n.2064, contenente 131 lettere del F. al figlio Ariodante. Nella stessa biblioteca, al di fuori del Fondo Fabretti, si vedano anche: Sez. loc. B 23 (22): Seguito delle memorie del lago Trasimeno; Misc. A. 55, 71: una lettera dei F. a S. Calzolari (1847). Parte dei Diari, corredati da note biografiche sul F., è stata pubblicata da G. Degli Azzi, Ricordi di Perugia di G. F., in Arch. stor. del Risorg. umbro, IV (1908), pp. 53-90, 145-176, 217-235, 267-302; una breve biografia del F. dello stesso Degli Azzi è in Diz. del Risorg. naz., III, p. 22; v. anche G. Cottini Orsini, G. G. A. Fabretti e i suoitempi, Roma 1985, p. 9.