BELMONTE, Giuseppe Emanuele Ventimiglia e Statella principe di
Nacque a Palermo, l'8 luglio 1716, da Vincenzo e da Maria Anna Ventimiglia Statella; poche le notizie di un qualche interesse che riguardino la sua prima giovinezza (nel 1725 ereditava i feudi dello zio paterno Gaetano, morto senza eredi) fino al 1736, data del suo precoce ingresso nella vita pubblica a cui non era estranea la tradizione e l'antica nobiltà della sua famiglia. La nomina a capitano di giustizia della città di Palermo (17 sett. 1736) doveva costituire il primo passo verso incarichi più impegnativi nelle magistrature siciliane. Nel maggio del 1744 era nominato "pretore" e messo così a capo dell'amministrazione palermitana.
Il giovane patrizio si rivelò alacre ed attivo: ancor prima di entrare in possesso del suo ufficio segnalava al viceré gli inconvenienti e disservizi notati nei diversi rami della pubblica amministrazione. Egli denunciava ritardi nell'organizzazione degli approvvigionamenti di carne, incuria nell'accantonamento delle scorte di grano, destinazione di entrate pubbliche a scopi diversi da quelli per cui erano state introitate, ritardi nella stesura dei contratti di concessione delle gabelle (il che faceva prevedere liti e perdita di vantaggi), imprevidenza nella organizzazione dei trasporti dei rifornimenti d'olio (col pericolo di perdita di qualche carico). In ultimo notava che una parte delle somme esistenti nel fondo di riserva, creato dal Senato per sopperire ad eventuali minori introiti, era stata prelevata e destinata, senza che sussistessero le condizioni di emergenza previste, ad altri scopi.
A questa chiara visione delle necessità della cosa pubblica rispondeva nel B. la capacità di assumere pronte iniziative. Lo dimostrano i provvedimenti di difesa militare da lui adottati, in seguito ad una pressante richiesta vicereale (26 luglio), per prevenire l'attacco d'una squadra navale inglese, che ebbero un positivo riscontro per il sollecito intervento del B. in Senato e il senso di responsabilità che lo mosse nel raccogliere consigli e nell'emanare disposizioni conseguenti.
La carica di "pretore" lo mise, tra l'altro, a capo della Suprema generale deputazione di Salute pubblica che aveva il compito di organizzare e coordinare tutti i servizi sanitari dell'isola. Il B. svolse le funzioni di quest'ufficio in un momento particolarmente delicato, mentre ancora imperversava in Messina e nella zona circostante l'epidemia colerica esplosa l'anno prima; sua prima preoccupazione fu, pertanto, riorganizzare i servizi della Deputazione e dare disposizioni perché un rigoroso isolamento venisse assicurato alla zona infetta col rafforzamento dei cordoni di truppa esistenti intorno ad essa.
Nel maggio del 1745 il B. concluse questa esperienza di pubblico amministratore e, possiamo dire, positivamente, tanto è vero che a distanza di pochi anni, nel maggio del 1748, venne di nuovo chiamato allo stesso incarico. Anche questa volta i risultati dovettero essere buoni se un diarista palermitano poté, allo scadere del mandato, scrivere: "Il pretore passato, principe di Belmonte, fece un ottimo, pacifico governo... e si guadagnò non poco plauso" (Villabianca, XVII, p. 162).
Nel 1750 e nel 1758 il B. fu deputato del Regno, nel 1751 venne chiamato dal viceré a far parte della Deputazione dei proietti, nominata per organizzare in tutta l'isola servizi idonei a proteggere l'infanzia abbandonata, e nel 1757 venne nominato, per la seconda volta, capitano di giustizia. La validità dell'opera da lui svolta trovò riconoscimento anche presso la corte napoletana: nel 1759 Carlo III di Borbone, nel lasciare il Regno, gli concedeva il cordone di S. Gennaro e lo nominava gentiluomo di camera del suo giovane successore, Ferdinando IV. Iniziava così il cursus honorum del B. presso la corte borbonica: l'anno seguente il consiglio di reggenza lo inviava a Venezia come ambasciatore straordinario per comunicare ufficialmente al governo della Repubblica l'avvento di Ferdinando IV al trono delle due Sicilie.
Del soggiorno veneziano ci è rimasta la corrispondenza del B. con la corte di Napoli, ricca di interessanti informazioni e acuti giudizi, in specie sul gioco delle fazioni operanti in seno al Senato veneziano, sui movimenti mercantili e sui problemi militari della Repubblica.
Il B., che era giunto a Venezia nel giugno del 1760, vi si trattenne fino al gennaio del 1761, data del suo ritorno a Napoli, ove prese a risiedere per svolgervi le sue mansioni di gentiluomo di camera del sovrano. Nel giugno 1767 veniva nominato maggiordomo maggiore della regina, due anni dopo maggiordomo maggiore del re e nel settembre 1771, da Carlo III, grande di Spagna di prima classe (il privilegio porta la data del 23 febbr. 1772).
La nomina a maggiordomo maggiore della regina dovette avvicinare il B. alle mene imperiali di quest'ultima, cosicché egli sarebbe entrato a far parte di quel gruppo austriacante che mosse le fila della "congiura" antitanucciana, portando al ministero il siciliano marchese di Sambuca; questa ipotesi sarebbe suffragata dal giudizio che su lui espresse il Tanucci, dopo la sua rimozione da primo ministro (25 ott. 1776): lo accusò di ingratitudine ("antesignano degli ingrati innumerabili fu il Ventimiglia Belmonte"), ponendolo proprio, insieme col principe di Aci e altri, tra coloro che fecero capo al Sambuca.
Il B. morì il 2 marzo 1777, a San Giorgio a Cremano, presso Napoli.
Fonti e Bibl.: Archivo General de Simancas, Estado, libros 242, 243, 244, 249, 298; Archivio di Stato di Palermo, Arch. Casa Belmonte, buste 369, 385, 386, 387; F. M. Emanuele e Gaetani di Villabianca, Diario palermitano, in G. Di Marzo, Bibl. stor. e lett. di Sicilia, XIV, Palermo 1871, p. 342; XVII, ibid. 1874, pp. 49, 138, 142, 162, 187, 193, 399, 411; XVIII, ibid. 1874, pp. 22, 24-25, 31, 192; XIX, ibid. 1875, pp. 5, 22, 89, 149, 190, 196, 309; XX, ibid. 1875, p. 26; XXI, ibid. 1875, p. 319; XXII, ibid. 1879. p. 69; F. San Martino de Spucches, La storia dei feudi e dei titoli nobiliari di Sicilia, Palermo 1924, I, pp. 257-258; E. Viviani della Robbia, B. Tanucci ed il suo più importante carteggio, Firenze 1942, I, pp. 196, 222; II, pp. 175, 421-422, 425, 427.