DURINI, Giuseppe
Figlio di Angelo, del ramo secondogenito dei conti di Moriza, e di Antonia Mauri, nacque a Milano il 2 nov. 1800. Laureato in legge all'università di Pavia, percorse in gioventù una lunga carriera d'impiegato nell'amministrazione austriaca in Lombardia: dal 13 sett. 1824 al 30 giugno 1828 come alunno di concetto, cioè praticante, presso l'i. r. governo di Milano, poi con la stessa qualifica, fino al 1831, presso la delegazione provinciale di Milano. Aspirando a un incarico retribuito, partecipò al concorso per un posto di segretario presso la Congregazione centrale di Lombardia (1829) e presso il governo (1830), e di relatore presso la Congregazione provinciale di Milano (1831) che vinse.
Primo, fra i numerosi concorrenti a quest'ultimo ufficio, nella terna proposta dalla Congregazione e dal delegato provinciale di Milano - il funzionario equivalente al prefetto napoleonico e al futuro prefetto italiano - fu nominato dal governo, con decreto firmato dal viceré Ranieri d'Asburgo, il 27 sett. 1831, relatore della Congregazione provinciale e, dopo aver prestato giuramento nelle mani del governatore De Hartig, assunse servizio il 14 ott. 1831 con lo stipendio annuo di 1.000 fiorini. La Congregazione provinciale, analogamente alla Congregazione generale, era un organo di rappresentanza degli interessi lombardi presso il governo, con compiti di vigilanza sulle amministrazioni locali; espressione per lo più della proprietà fondiaria, era presieduta però dal delegato, cioè dal rappresentante del governo, e il relatore - una sorta di segretario generale - era un impiegato governativo, ma generalmente in sintonia con l'organo di rappresentanza tanto che la scelta cadeva per lo più su candidati proposti dalla congregazione, come faceva notare il governo di Milano a Vienna il 10 giugno 1831 avallando la proposta di nomina del D., del quale si riferivano le eccellenti doti di funzionario, fornito di "una attività distintissima e di una percezione e facilità di esporre le proprie idee veramente non comune".
Il D., che già svolgeva interinalmente l'ufficio di relatore da quasi un anno, lo tenne poi per circa un decennio, fino al 1840, allorché si dimise dall'amministrazione. La mancanza degli atti della congregazione impedisce di conoscere l'attività svolta in questo decennio, e non essendosi rinvenuta la lettera di dimissioni, non si può che intuirne le ragioni: il desiderio di non servire ulteriormente il governo austriaco, che peraltro non aveva certo favorito la sua carriera.
In quello stesso anno assunse l'incarico di procuratore e amministratore del conte Emanuele di Kevenhüller, ricco proprietario, azionista di società industriali e commerciali, appartenente ad una famiglia residente in Lombardia dalla seconda metà del Settecento e imparentata con molte casate lombarde. Quando, sempre nel 1840, fu approvata la costituzione della Società per la strada ferrata Lombardo-veneta detta "Ferdinandea", il D. entrò, con Daniele Manin, nell'ufficio legale della Società.
Partecipò anch'egli al vivace dibattito, suscitato dal Cattaneo, sul percorso della nuova linea, sostenendo l'opportunità della direttissima Milano-Brescia-Venezia, contro i sostenitori della pedemontana per Bergamo che riusci allora vittoriosa; ebbe un ruolo di rilievo sia nell'assetto direttivo della Società, allorché nell'assemblea degli azionisti del 28 apr. 1842 vennero eletti il conte Vitaliano Borromeo e il duca Uberto Visconti di Modrone per la Lombardia, il conte Alvise Mocenigo e Lodovico Pasini per il Veneto, sia nella ripartizione del pacchetto azionario, che andò soggetto a non pochi passaggi in seguito alle speculazioni e alle variazioni di quotazione subite dalle azioni.
Negli stessi anni il D. entrò a far parte del Consiglio comunale di Milano, sicché per l'una e per l'altra ragione - collaborando cioè alla creazione di nuove infrastrutture per lo sviluppo della regione e partecipando alla gestione dei Comune, si apriva per lui la prospettiva di un'azione a favore degli interessi lombardi più incisiva e indipendente che non restando nell'amministrazione statale.
Nella seduta del Consiglio comunale dell'11 ag. 1843, nella quale si dovevano votare i nomi da proporre al governo per la nomina a podestà nel triennio 1844-46, venne incluso in terna insieme con Antonio Durini, che aveva già più volte ricoperto la carica, e Gabrio Casati. Ambedue i Durini però rinunciarono e cosi si addivenne ad una nuova terna che vide al primo posto il Casati. Tre anni dopo, nella seduta, del 24 ag. 1846, il D. risultò al secondo posto, dopo il Casati, che venne infatti riconfermato podestà.
Dopo il lungo periodo di preminenza di Antonio Durini nel Comune di Milano si stava affermando ora - a quello legato peraltro da strettissima parentela - Gabrio Casati, al quale si deve probabilmente anche l'ascesa del più giovane D., che con lui formerà il gruppo di notabili lombardi più attivi politicamente alla vigilia del '48, vicini alle posizioni più nettamente filopiemontesi e al liberalismo moderato. Nell'insurrezione milanese del marzo 1848 il D "fu infatti stretto collaboratore del Casati: membro del Consiglio di guerra cittadino, membro del governo provvisorio come rappresentante di Milano e ministro dell'Interno, "l'unica testa buona", come scriveva Costanza Trotti Bentivoglio Arconati in una lettera a G. Capponi riferendosi evidentemente alle sue posizioni politiche (cfr. Moscati, p. 162).
Il D. si oppose infatti decisamente alla linea di Mazzini e di Cattaneo, proponendo e sostenendo l'unione immediata della Lombardia al Piemonte. Fu prevalentemente opera sua la legge 12 maggio 1848 sulla fusione, per la quale tentò di ottenere anche l'adesione di Mazzini. Riferendosi all'azione svolta dal D. in questa occasione, il Casati scriveva a C. G. Trabucco conte di Castagnetto il 14 maggio: "… vi dirò che la persona alla quale il paese deve di più d'ogni altra è il signor Giuseppe Durini, uomo di talenti superiori e d'una onestà veramente spartana, un vero amante della Patria e non utopista; esso è l'anima del governo, uomo senza ambizioni, senza amore all'interesse" (Carteggio Casati-Castagnetto, p. 161).
Incaricato, con G. Strigelli e A. Lissoni, di trattare a Torino i modi della fusione, si era inizialmente rifiutato di far parte della commissione, non volendo assumersi la responsabilità d'un eventuale insuccesso, ma aveva finito poi con l'accettare.
Il Casati, accompagnando la missione dei tre commissari con una lettera, scriveva ancora al Castagnetto: "… partono per Torino tre commissari, uomini di merito, animati da un sentimento rettissimo, amici dell'ordine di cose qual noi lo ravvisiamo, ma prudenti e buoni conoscitori dello stato di fatto, non gente ad utopia, ma positivi. Questi sono Durini, Strigelli e Lissoni. Del primo ve ne scrissi già: egli e la vera anima del nuovo ordine di cose, per lui l'opinione retta trionfò; insomma vi dico in una parola è il primo movente e quello a cui più d'ogni altro deve la nostra Italia in questo momento, se escludiamo il Re…. Durini è l'uomo assolutamente benemerito; se io ho fatto qualche cosa datene gran parte di merito a lui d'aver saputo condurre gli affari. un'immensa fiducia di tutti i partiti, è vero buon cittadino …" (ibid., p. 166). Sebbene Casati calcasse un po' la mano per facilitare l'accoglimento a Torino delle proposte lombarde, il ruolo che il D. ebbe nell'indirizzare la politica del governo provvisorio di Lombardia in senso filopiemontese e sabaudo è fuori discussione; egli fu anche risolutamente contrario alla proclamazione della Repubblica a Venezia: Manin, egli affermava, "per un malinteso amore di Venezia vuol rifare l'antica storia d'Italia"; per lo stesso motivo si oppose all'idea di una lega degli Stati italiani.
Ratificata l'unione dal Parlamento subalpino, dimessosi il ministero Balbo e chiamato Casati a formare il nuovo ministero, questi propose al D., che sembrava irremovibile nel non accettare, di entrare nel governo come ministro senza portafoglio residente a Milano e incaricato dell'amministrazione della Lombardia; costituito il nuovo ministero il 27 luglio, il D. fu nominato invece ministro dell'Agricoltura e Commercio; sostituito il 4 agosto dal Rattazzi, rimase come ministro senza portafoglio; ma il 7 agosto, mentre Carlo Alberto abbandonava Milano e vi rientravano gli Austriaci, si dimetteva con tutto il ministero Casati.
Membro attivo della Consulta straordinaria di Lombardia a Torino, nelle elezioni suppletive del 1° dic. 1848 per la elezione dei rappresentanti delle province che avevano votato l'annessione al Piemonte e non erano state rioccupate, fu eletto deputato al Parlamento subalpino per il collegio di Pianello (Piacenza), ma si dimise subito dopo la convalida dell'elezione, a causa della incompatibilità con l'appartenenza alla Consulta lombarda.
Colpito dalla contribuzione straordinaria imposta da Radetzki ai lombardi che avevano fatto parte del governo provvisorio, fu autore del Memorandum del 22 nov. 1848 alle potenze europee contro i soprusi dell'Austria. Escluso, a causa della parte avuta nei fatti del '48 e per la propaganda politica svolta in Piemonte dal provvedimento di grazia, condannato e costretto all'esilio, fu per qualche tempo a Parigi e poi in Belgio, dove aveva accompagnato come consigliere il rappresentante sardo alla progettata conferenza di Bruxelles, intrattenendo per tutti questi mesi una interessante corrispondenza con il segretario della Consulta lombarda A. Mauri. Tornato dal Belgio, dimorò successivamente a Torino e a Genova e di qui si trasferi infine, in compagnia ancora del Mauri, a Novara, nell'intento di rientrare segretamente in Lombardia. Colto quivi da febbri tifoidee, vi mori il 22 ott. 1850; il 3 novembre la salma fu trasferita e sepolta a Gorla Minore, in provincia di Milano (ora di Varese).
Fonti e Bibl.: Documentazione ined. in Arch. di Stato di Milano, Ufficiregi, p.m., cart. 519; e Milano, Arch. stor. civico. Consiglio comunale, Deliberazioni, cartt. 39 e 42. Documenti editi in Carteggio Casati-Castagnetto (19 marzo-14 ott. 1848), a cura di V. Ferrari, Milano 1909, pp. 113, 161, 166, 201 ss.; L. Marchetti, 1848. Il governo provvisorio della Lombardia attraverso i processi verbali delle sedute del Consiglio, Verona 1948, passim; F. Curato, 1848-1849. La Consulta straordinaria della Lombardia (2 ag. 1848-2 maggio 1849), Milano 1950, passim; cfr. anche Guida di Milano dell'ed. Bernardoni, Milano 1831 ss.; O. Ottolini, La rivoluzione lombarda del 1848-49, Milano 1887; C. Pagani, Uomini e cose in Lombardia dal 1848-49, Milano 1906; L. Marchetti, Il regime transitorio in Lombardia dalla fusione alla Costituente …; in Arch. stor. lomb., n. s., IX (1944), pp. 67-105; A. Moscati, I ministri del '48, Salerno 1948, pp. 161-165; F. Curato. L'insurrezione e la guerra del 1848, in Storia di Milano, XIV, Milano 1960, ad Indicem; L. Marchetti, Ildecennio di resistenza, ibid., ad Indicem; C. Mariani, Trasporti, ibid., XVI, Milano 1962, p. 1048; Storia del Parlam. italiano, I, Le Assemblee elettive del '48, a cura di G. Sardo, Palermo 1963, p. 358; N. Raponi, La scelta piemontese, in Il tramonto di un regno. Il Lombardo Veneto dalla Restaurazione al Risorgimento (1814-1859), Milano 1988, pp. 100, 104, 107, 110; F. Calvi, Il patriziato milanese, Milano 1875, tav. IV; Diz. del Risorg. naz., II, pp. 969 s.