DI GIOVANNI, Giuseppe
Nacque a Palermo nel 1817; scarse sono le notizie dei biografi sulla sua giovinezza e sulle fasi della sua formazione; studiò disegno da autodidatta, specializzandosi poi nell'arte dell'incisione, genere in cui raggiunse ben presto una discreta notorietà nell'ambiente artistico siciliano. Fra le sue prove migliori, eseguite fra il quarto e il quinto decennio dell'Ottocento e tirate in migliaia di copie, vanno ricordate in particolare le incisioni raffiguranti Caino perseguitato dall'ira divina (disegno di C. T. Dalbono), Una dimostrazione pacifica dei palermitani nella villa Giulia (disegno di G. Bagnasco) e Gelone concede la pace ai vinti cartaginesi (dal sipario del teatro S. Elisabetta di Messina; disegno di D. Querci).
Una svolta decisiva nella carriera artistica del D. è costituita dall'incontro con Lucio Tasca, conte d'Almerita, un nobile palermitano, raffinato collezionista e mecenate di giovani artisti locali. Fu infatti il conte Tasca a commissionargli nell'autunno del 1851 quattro dipinti a tempera per la volta della cosiddetta stanza gotico-normanna del suo palazzo (dell'od. via Lincoln; oggi distrutto). Negli spazi affidatigli l'artista raffigurò quattro episodi di storia siciliana: Guglielmo I il Malo riceve da Adriano IV l'investitura del Regno di Sicilia; Ruggero di Lauria vincitore al cospetto di Costanza d'Aragona; Il matrimonio di re Ruggero con Elvira, figlia di Alfonso VI re di Castiglia; L'incontro del conte Ruggero con il principe saraceno Camuto.
Lodate dai critici contemporanei "per l'armonia e la squisitezza di disegno e di colorito" (cfr. Lodi, 17 genn. 1852), le tempere di palazzo Tasca, che segnano l'esordio del D. nel campo della pittura, si inquadrano agevolmente nel filone del romanticismo storico dominante in quei decenni, mostrando da un lato un preciso orientamento verso la pittura accademica, sostenuta da una lunga esperienza disegnativa, e rivelando dall'altro le sue doti non comuni di decoratore.
Nella volta della galleria dello stesso palazzo Tasca, a distanza di pochi mesi, il D. eseguì un grande dipinto con Cerere che introduce l'agricoltura in Sicilia e quattro putti raffiguranti La Pittura, La Scultura, La Musica e L'Architettura. Pur trovandosi in condizioni economiche poco agiate - non tralasciò mai l'attività ben avviata di incisore -, negli anni successivi continuò a dipingere. I biografi, ad esempio, ricordano che nel maggio del 1855 portò a termine due tele (perdute), raffiguranti una Naiade e una Baccante su commissione di Federigo Gravina di Palermo.
Dal giugno al dicembre del 1855, per interessamento diretto del conte Tasca e grazie all'aiuto concreto offertogli dallo scultore napoletano Luigi Persico, si recò a Napoli e a Roma per un viaggio di studio; durante il soggiorno napoletano venne eletto "socio corrispondente" nella classe di pittura dell'Accademia di belle arti. Appena tornato a Palermo, ormai largamente apprezzato anche come pittore, gli vennero affidate alcune commissioni di dipinti a soggetto religioso: a Palermo, una serie di tele per il refettorio dei gesuiti (perdute), S. Basilio vescovo di Nissa - firmato e datato 1856 - per la chiesa greca, di Palazzo Adriano (Palermo), S. Eligio per la chiesa di S. Antonio abate di Mussomeli (Caltanissetta), S. Francesco e S. Antonio di Padova per la chiesa di S. Francesco di Campofranco (Caltanissetta).
Verso la fine del 1856 il Municipio di Palermo assegnò al D. un pensionato artistico - da fruire a Napoli, Roma e Firenze - della durata di quattro anni, che si rivelò fondamentale per la definizione dei suoi caratteri stilistici. In questo periodo di studio. che in assenza di opere e di altre testimonianze documentarie possiamo solo ipotizzare ricco di incontri e di ulteriori esperienze, il D. ebbe modo di arricchire il suo linguaggio, già decisamente orientato in chiave accademica, con gli apporti più stimolanti del "realismo romantico" di derivazione romana e napoletana. Nel 1861 presentò tre dipinti, oggi dispersi, all'Esposizione nazionale di Firenze: S. Eligio in atto di ricevere le insegne vescovili (bozzetto per la pala d'altare di Mussomeli), Ritratto di donna e S. Rosalia protettrice della città di Palermo che implora da Dio grazie e benedizioni sullo stemma sabaudo.
Stabilitosi poi definitivamente a Palermo, si dedicò soprattutto alle decorazioni ad affresco in palazzi.
Fra i tanti lavori eseguiti in questi anni vanno almeno menzionati gli affreschi delle volte di palazzo Maniscalco, distrutto dai bombardamenti del 1943 (di essi è rimasto solo un medaglione raffigurante un Putto, ora in raccolta privata). Ad Alcamo, nella cappella dell'Istituto opera pia Pastore, si conservano due pale d'altare tarde del D., oleografiche e di modesta qualità, raffiguranti S. Francesco di Sales (1889) e S. Vincenzo de' Paoli (1890). Già molto avanti negli anni, intorno al 1890, partecipò - vincendolo - al concorso per la decorazione dei saloni interni del teatro Politeama di Palermo: gli affreschi, frutto della collaborazione con il figlio Luigi e con Michele Cortegiani, in stile pompeiano con contaminazioni di gusto romantico, vennero portati a termine nel 1891, in occasione dell'Esposizione nazionale che si tenne a Palermo.
Morì a Palermo nel 1894.
Sue opere sono conservate presso la Civica Galleria d'arte moderna di Palermo: un bozzetto a olio (Enea e Didone) e un gruppo di cinque disegni a penna su carta.
Personalità artistica minore nell'ambito della pittura siciliana del secondo Ottocento, discreto disegnatore e incisore, il D. mostrò invece nei dipinti uno stile eclettico - diligente e misurato nelle decorazioni di tono borghese, più freddo e convenzionale nei soggetti religiosi - caratterizzato spesso da felici accordi cromatici ma sostanzialmente privo di accenti originali.
Fonti e Bibl.: G. Lodi, G. D., in La Lira, I, n. 6, novembre 1851, p. 22; X, n. 17, 17 genn. 1852, pp. 65 s.; I, n. 19, 31 genn. 1852, pp. 73 s.; Cenni sul pittore G. D. da Palermo, in Giorn. dell'armonia, 14 ott. 1852, p. 3; Albo artistico napoletano, Napoli 1853, pp. 141-144; G. Piaggia, La Najade la Baccante dell'artista G. D., in Rigoletto, 9 giugno 1855, p. 38; G. Sanfilippo, S. Basilio. Quadro di G. D., in Il Poligrafo (Palermo), I-II (1856), pp. 415-418; Due parole per il pittore G. D., in Segesta, 11ott. 1856, n. 2, pp. 5 s.; S. Lanza di Trabia, Guida del viaggiatore in Sicilia, Palermo 1859, pp. 30, 167, 171; L'Esposizione italiana del 1861 (catal.), Firenze 1862, pp. 338 s.; G. B. Santangelo, Il sogno di Dante. Quadro del prof. G. D., Palermo 1892; P. M. Rocca, Documenti relativi a sei oscuri pittori siciliani de' secc. XVII e XVIII, in Arch. stor. sicil., n. s., XXXII (1907), p. 278; S. Marino Mazzara, Pittori dell'Ottocento in Palermo, Palermo 1936, p. 12; M. Accascina, Ottocento siciliano. Pittura, Roma 1939, p. 123; V. Regina, Ottocento alcamese. Arte e storia, Alcamo 1977, pp. 226 ss.; I Di Giovanni (catal., galleria La Persiana), Palermo 1981; G. Barbera, Il primato dell'Accademia, in Teatro S. Elisabetta-Vittorio Emanuele [di Messina] 1852-1908 (catal.), Messina 1984, pp. 68 s.; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, XIV, p. 122 (sub voce Giovanni, Giuseppe di).