DESSÌ, Giuseppe
Nacque a Villacidro (prov. di Cagliari) il 7 ag. 1909, da Francesco e da Maria Cristina Pinna.
Figlio di un ufficiale di carriera costretto a frequenti trasferimenti da una guarnigione all'altra della penisola, il D. non poté attendere a studi regolari. I lunghi e ripetuti soggiorni lontano da una isola così impressiva come la Sardegna bastano a spiegare quella sua difficile, laboriosa formazione di sardo "continentale" che lo accompagnerà, non senza dolorose contraddizioni, lungo tutta la sua esistenza.
Fin dalla prima infanzia, età fondamentale per gli sviluppi di tipo lirico evocativo che prenderà la narrativa dessiana, la Sardegna appare infatti alla sua coscienza in formazione soltanto a sprazzi lirici intensissimi durante i lunghi soggiorni estivi nella vasta casa dei nonni materni a Villacidro, i ricordi della quale costituiranno il fulcro di una vocazione nostalgica mai più abbandonata.
Alla fine della prima guerra mondiale, ritiratosi il padre definitivamente a Villacidro, il D. studiò sotto la guida di insegnanti privati, non riuscendo però a conseguire la licenza ginnasiale. Seguirono difficili anni adolescenziali segregati in campagna, durante i quali il giovane si gettò con disperata passione nella lettura troppo precoce di numerosi testi per lo più filosofici, facenti parte di una biblioteca murata nella casa del nonno e appartenuta a un avo morto in fama di ardente ateo e giacobino.
Sono tutte le opere di Voltaire e di Diderot ma anche testi di Comte, Darwin e Spencer, di Descartes, di Spinosa e di Leibniz. E tutta codesta "filosofia ritrovata" in un luogo sardo assumerà per il D. il carattere di una magica epifania dell'idea di spazialità universalistica della sua isola. Nell'introduzione al romanzo I passeri tanti anni più tardi così scriveva: "Perché in Sardegna? mi si chiederà ancora una volta. Perché, a parte le ragioni storiche e artistiche che richiederebbero un troppo lungo discorso, come ci insegnano Spinosa, Leibniz, Einstein e Merleau-Ponty, ogni punto dell'universo è anche il centro dell'universo".
Ma codeste precoci letture, affrontate con pericoloso slancio giovanile, furono causa di profondi turbamenti psichici, che lo condussero a un punto dall'essere considerato pazzo e rinchiuso in una casa di cura. Grazie al deciso comportamento del padre, però, poté riprendersi in seno alla sua famiglia, e poco tempo dopo lasciare l'isolamento rurale, rivelatosi tanto pericoloso, e approdare al liceo classico "Dettori" di Cagliari (1929-30). Qui ebbe come professore di storia e filosofia Delio Cantimori, che molto l'aiutò a superare la pesante crisi esistenziale che si trascinava in questo allievo giunto troppo tardi agli studi superiori con l'orientarlo verso altre letture che completeranno la sua formazione nel senso più propriamente letterario. Si trattò di conoscere Rilke, Mann, Hesse, e soprattutto la Recherche proustiana, prestatagli dal corregionale Claudio Varese conosciuto per il tramite di Cantimori.
Passato a Pisa per continuare gli studi alla Normale, in quell'ambiente fervido di cultura idealistica si legò d'amicizia con persone come Attilio Momigliano, Aldo Capitini, Carlo Cordié, Carlo L. Ragghianti, laureandosi con una tesi d'argomento manzoniano affidatagli da Luigi Russo. È in ambiente toscano, infatti, che si avranno le sue prime esperienze letterarie collaborando con importanti riviste come Solaria e Letteratura.
Attivo fra i partecipanti ai Littoriali del 1935, lo ritroviamo insegnante di scuola media a Bassano del Grappa e a Ferrara, dove aggiungerà alla sua vasta schiera d'amici studiosi anche l'allora giovanissimo Giorgio Bassani. A Modena, presso Guanda, il D. darà alle stampe il suo primo lavoro: quei racconti de La sposa in città (1939) dove in mezzo a modi ancora timidi ed impacciati di già s'intravede quella inclinazione lirica al tema della memoria un po' troppo schematicamente poi definita "proustiana", che meglio si chiarirà col primo romanzo San Silvano (1939).
Qui, se da una parte la definizione di Proust sardo che San Silvano gli procurò - trattandosi di una narrazione autobiografica a sfondo familiare - può servire a confermarci il suo attento interesse per le nuove tecniche del romanzo novecentesco da Proust a Mann (Joyce compreso), dall'altra risulta evidente che lo strumento della coscienza del tempo è anche uno scandaglio utile a indagare il mistero dell'atemporalità poetica della sua Sardegna. Non a caso critici come Contini e Pancrazi videro subito in esso, insieme al carattere di modernità, una vena di sperimentalismo.
Con Michele Boschino (1942) si assiste al tentativo di rifiutare la maniera schiettamente evocativa di San Silvano. Nella prima parte del romanzo il D. ha cercato un impianto più oggettivo, che solo apparentemente può dirsi naturalistico. Ma, nella seconda parte, le vicende della formazione etica del giovane intellettuale Michele Boschino tornano ad essere trattate soggettivamente, addirittura abbandonando la terza persona della prima parte e tornando a una prima fortemente introspettiva che, però, ben poco ha più a che vedere con i modi "proustiani" di San Silvano. Il gusto per una poetica fortemente legata al tema del ricordo ritorna ancora nella raccolta Racconti vecchi e nuovi (1945), pervenendo inoltre a una completa sistemazione teorica - che ricalca schemi bergsoniani - soprattutto in Introduzione alla vita di Giacomo Scarbo (pubblicato a puntate su Il Ponte nel 1948, e in seguito, con le illustrazioni di R. Guttuso, a Venezia per "Il Sodalizio del libro" nel 1959). Il classico tema proustiano del ritorno al luogo originario del tutto, alla matrice prima dell'esistenza fantastica viene qui rivissuto sotto il segno della propria Sardegna ritrovata nella atemporalità della casa paterna; la Combray della Recherche è assai vicina.
Questo cozzare irrisolto di accese tendenze, ora alla soggettività spinta sino a un lirismo tutto evocativo, ora alla sofferta ricerca di una realtà narrativa oggettiva, che non si traducesse però in puro realismo, ottenne esiti quasi surrealistici nella favola morale Storia del Principe Lui (1949). Ma già con il racconto Isola dell'Angelo (1949) e più decisamente con Frana (1950), poi entrambi raccolti in volume col titolo Isola dell'Angelo (1957), premio Puccini-Senigallia, il D. andò orientandosi verso un modo di narrare più concreto, quasi drammatico, finché la vera e propria svolta si avrà con il romanzo I passeri (1955), premio Salento, giustamente considerato il terzo tempo della trilogia composta da San Silvano e dalla Introduzione alla vita di Giacomo Scarbo.
Ricompaiono ne I passeri personaggi, luoghi, situazioni già descritti altrove, ma qui rivisitati servendosi di una scrittura che a tratti s'è fatta quasi neorealistica, consentendo al D. una dilatazione anche drammatica della sua materia poetica, fino a quel momento appena intravista. La robusta figura del conte Scarbo che nella casa deserta, immerso nella follia del rifiuto della realtà, aspetta tenacemente il ritorno del figlio Giacomo pur sapendone la morte, la disperata e limpida vicenda della popolana Rita, l'emblematica figura di Susanna, "che più di ogni altra realizza le nuove istanze della narrativa di Dessì" (Leone De Castris), e l'afflato di storia recente che invade l'immemorialità del paesaggio sardo fanno di quest'opera la più riuscita prima di Paese d'ombre.
Il D. rimase piuttosto estraneo, per spontanea vocazione all'isolamento, alle questioni che hanno travagliato convulsamente la nostra letteratura del dopoguerra: quelle del realismo e dell'impegno, anche se bisogna riconoscere che è proprio a partire dagli anni '50 che il suo narrare comincia a farsi più realistico e contrastato. Uomo di cultura troppo raffinata e profonda per abboccare alla tentazione dell'oggettività neorealistica, sentì però proprio con I passeri l'esigenza di dire cose che fossero anche storia del suo tempo. Il lungo sonno del fascismo aveva consentito la fuga in una poetica "proustiana" della durata del tempo nella memoria; il dopoguerra, riaprendo piaghe storiche del Mezzogiorno, riportò alla luce realtà sociali troppo a lungo sopite, a cui il D. - uomo di Sardegna - non poteva rimanere indifferente.
Dopo i brevi racconti de La ballerina di carta (1957), che per certi versi rimandano alla sua prima maniera, il D., già trasferitosi definitivamente a Roma dal 1954, comandato provveditore agli Studi presso l'Accademia dei Lincei, proseguì la stagione apertasi con I passeri all'insegna di quella personale scoperta dell'impegno che si è detto, pubblicando la raccolta dei Racconti drammatici (1959) e due anni dopo il romanzo Il disertore (1961), premio Bagutta 1962, che narra una drammatica vicenda incentrata su di un conflitto giuridico-morale: un altro importante risultato della narrativa dessiana. Seguirà un periodo di interesse per il teatro con il dramma storico Eleonora d'Arborea (1964), la patriottica vicenda della giudichessa sarda che fu in lotta contro gli invasori aragonesi, nella quale è dato cogliere una vena del malinconico pessimismo dell'autore per le sorti della storia, e il vigoroso dramma La trincea (che inaugurò l'apertura del secondo canale televisivo il 4 nov. 1964), ambientato nella prima guerra mondiale.
Nel 1972, dopo undici anni da Il disertore, interrotti soltanto dalla pubblicazione dei racconti di Lei era l'acqua (1966), apparirà l'ultimo suo romanzo: quel Paese d'ombre (1972) considerato unanimamente il suo capolavoro.
Potente affresco di vita contadina, narrativamente impiantato in modo tutto sommato tradizionale, Paese d'ombre "risolve quello che è stato sempre il nodo problematico della narrativa dessiana con una totale dialettizzazione dei due momenti" (Tondo): memoria lirica e realtà d'un paese nel farsi della storia trovano ideale saldatura nella figura del protagonista Angelo Uras, povero figlio di contadini, che fortunosamente ascende la piramide sociale sino a diventare imprenditore e sindaco, e s'intrecciano con la storia familiare di questo ultimo eroe "veristico", simbolo della collettività sarda oppressa dallo sfruttamento antico e nuovo.
Con Paese d'ombre il D. ricevette il premio Strega con una larga quanto insolita messe di consensi. Ad esso lo scrittore sardo doveva affidare il suo ultimo e più profondo messaggio morale e d'arte.
Colpito da una grave malattia fin dal dicembre 1964, il D. morì a Roma il 6 luglio 1977, concludendo un'esistenza povera di avvenimenti esteriori quanto straricca di vera, intensa passione poetica.
Aveva sposato Luigia Babini.
Opere. Narrativa: La sposa in città, Modena 1939; San Silvestro, Firenze 1939; Michele Boschino, Milano 1942; Racconti vecchi e nuovi, Torino 1945; Storia del Principe Lui, Milano 1949; I passeri, Pisa 1955; Isola dell'Angelo, Caltanissetta-Roma 1957, La ballerina di carta, Bologna 1957; Introduzione alla vita di G. Scarbo, Venezia 1959; Racconti drammatici, Milano 1959; Il disertore, Milano 1961; Lei era l'acqua, Milano 1966; Paese d'ombre, Milano 1972. Teatro: L'uomo al punto, in Terzo programma, I (1961), 1; Eleonora d'Arborea, Milano 1964; La Trincea, in Drammi e commedie, Torino 1965. Saggistica: Scoperta della Sardegna, Milano 1965; Narratori di Sardegna, in collab. con N. Tanda, Milano 1965.
Fonti e Bibl.: P. Pancrazi, La mem. poetica di G. D., in Scrittori d'oggi, s. 4, Bari 1946, pp. 134-39; G. Contini, Inaugurazione d'uno scrittore, in Esercizi di lettura, Firenze 1947, pp. 229-36; G. Manacorda, Nota su G. D., in Belfagor, IX (1954), pp. 195-200 (ora in Vent'anni di pazienza, Firenze 1972); G. Trombatore, Memoria e realtà, in Scrittori del nostro tempo, Palerino 1959, pp. 119-23; A. Leone de Castris, Ipasseri, in Decadentismo e realismo, Bari 1959, pp. 181-86; G. Debenedetti, D. e il golfo mistico, in Intermezzo, Milano 1962, pp. 190-200; P. Ragionieri Sergi, Breve storia di G. D., in Belfagor, XVII (1962), pp. 220-24; N. Tanda, in Narratori di Sardegna, a cura di N. Tanda-G. Dessì, Milano 1955, pp. 181-234; C. Varese, Occasioni e valori della letter. contemp., Bologna 1967, pp. 311 -43; M. Tondo, G. D., in Letter. ital. I contemporanei, III, Milano 1969, ad Ind. (con bibl.); N. Tanda, Realtà e memoria nella narrativa contemp., Roma 1970, pp. 149-160; C. Toscani, G. D., Firenze 1973; A. Dolfi, G. D.: l'ordine e la combinazione delle possibilità incostanti, in Italianistica, III (1974), I, pp. 123-38; M. Miccinesi, Invito alla lettura di G. D., Milano 1976; A. Dolfi, La parola e il tempo. Saggio su G. D., Firenze 1977; La poetica di G. D. e il mito Sardegna. Atti del Convegno, Cagliari 1986; C. Lavinio, Coscienza del plurilinguismo e scelte linguistiche nella narrativa di G. D., in Studi novecenteschi, 1986, n. 31, pp. 65-85; Encicl. Ital., Append. II, I, p. 774; Append. IV, I, pp. 586 s.