DEL RE, Giuseppe
Nacque a Turi, in Terra di Bari, il 2 genn. 1806 da Francesco Paolo e da Maria Componibile.
In un passato non lontano molti membri della famiglia paterna, originaria di Gioia del Colle, si erano segnalati per dottrina o per la parte avuta nelle vicende politiche che avevano travagliato il Regno meridionale sul finire del sec. XVIII: così il nonno Giuseppe e un fratello del padre, Biagio, erano stati trucidati durante la reazione del 1799 per aver cercato negli anni precedenti di diffondere i principi della rivoluzione creando circoli giacobini e divulgando la dichiarazione dei diritti dell'uomo. Il padre, a sua volta, dopo aver trascorso alcuni anni di esilio in Francia, era tornato a Napoli sotto Giuseppe Bonaparte ed era poi entrato in magistratura: sollevato dall'incarico per il ruolo svolto nella rivoluzione del 1820, si era ritirato a vita privata dandosi agli studi giuridici. Un altro fratello del padre, infine, Giuseppe (1764-1841), uomo di vasta cultura, versato negli studi economici, lasciò una Descrizione topografica, fisica, economica e politica dei R. Domini al di qua del Faro in due volumi (Napoli 1830-35), alla quale M. Amari appose alcune Osservazioni (Palermo 1835) per confutare la teoria della dipendenza della Sicilia da Napoli; intraprendente ed operoso, questo zio dei D. aveva aperto a Napoli una moderna tipografia ed aveva inoltre assunto la direzione del collegio di Caravaggio.
Nel collegio di Caravaggio, seguito molto da vicino, il D. aveva compiuto i suoi studi, culminati poi con la laurea in legge: erede precoce degli ideali della famiglia, cominciò presto a comporre carmi di intonazione liberale mentre si legava d'amicizia a Mariano d'Ayala e frequentava i salotti dell'intellettualità napoletana ricchi di fermenti e ansiosi di rinnovamento. Stimolato da tali contatti e favorito dalla possibilità d'avere accesso alla tipografia dello zio, intraprese allora una attività editoriale in un campo, quello dei periodici divulgativi, che a Napoli era agli esordi ma per il quale ci si poteva rifare a modelli toscani e lombardi affermatisi grazie alla raffinatezza della presentazione, ad una certa brillantezza degli argomenti proposti, alla notorietà dei collaboratori.
Il primo esperimento in tale direzione fu costituito dal Topoletterato che il D. fondò con l'Ayala nel 1833 e che visse un anno. Ben altro respiro e durata ebbe invece l'Iride, una strenna che si cominciò a pubblicare nel 1834 e durò, la prima serie fino al 1843 e la seconda fino al 1846, imponendosi per la qualità della impostazione e la ricchezza dei contributi che ne fecero un "vero e proprio repertorio della contemporanea cultura napoletana" (Sansone, p. 318). Tuttavia il carattere sostanzialmente astratto degli interventi da essa ospitati e la mancanza di un indirizzo culturale preciso che non fosse la ricerca di una eleganza tutta formale - frutto, questo, d'una generale arretratezza degli studi a Napoli - impedirono all'Iride, malgradola collaborazione di personaggi come B. Puoti, A. Poerio e P. E. Imbriani, di svolgere una concreta azione di svecchiamento e di incidere più profondamente sul dibattito, altrove in atto, tra cultura classica e cultura romantica.
A parziale giustificazione del D. e dei suoi amici c'è però da dire che l'ambiente non era tra i più adatti per una prospettiva del genere: bastò infatti che il D. ospitasse nell'Iride due scritti dal profilo più robusto anche se del tutto innocuo - uno dei quali dedicato dall'Ayala a Gioacchino Murat - perché le autorità disponessero l'immediata sospensione della rivista (1843). In sostanza, l'unica linea culturale tollerabile dai Borboni era quella di una ricerca pura e fine a se stessa.
li D. da qualche tempo lavorava a una edizione di Cronisti e scrittori sincroni napoletani, ilcui primo volume, dedicato ai Normanni. apparve a Napoli nel 1845 (il volume secondo, comprendente il materiale dei cronisti svevi, sarebbe stato pubblicato postumo, sempre a Napoli, nel 1868). Intenzione dichiarata del D. era di offrire agli studiosi una serie di fonti su quella che per lui era "la parte più vitale dell'istoria, cioè la vita del popolo", in modo da superare una prospettiva, a suo dire ormai invalsa, che vedeva nella storia di Napoli non la storia della città e della sua gente ma quella delle dominazioni straniere succedutesi nei secoli. "Silloge assai utile" a giudizio del Croce (Ilprimo traduttore..., p. 283), l'opera, cui posero mano anche altri curatori e traduttori, era, come osservò l'Ayala (lett. a M. Amari del 20 luglio 1852, in Carteggi..., II, p. 20), largamente tributaria sul piano documentario dei Rerum Italicarum Scriptores del Muratori.
A quell'epoca il D., insofferente di un clima sempre più oppressivo e seguendo il solco di una tradizione avita che si era risaldata quando una sua sorella aveva sposato Costabile Carducci, si era già accostato al mondo della cospirazione antiassolutistica partecipando, sul finire del 1842, ad alcune riunioni in cui i liberali napoletani e calabresi avevano cercato di stabilire con i rivoluzionari siciliani una intesa operativa per una insurrezione generale che, programmata per il marzo del 1844, abortì per una serie di arresti preventivi cuì il D. seppe sottrarsi con la fuga.
Per forma mentis e educazione ricevuta il ruolo che gli si addiceva meglio era però più quello dell'ispiratore, portato a battersi sul fronte delle idee, che quello del combattente: lo si vide quando, nel 1847, ebbe una parte di rilievo nella diffusione in Sicilia - e secondo una fonte anche, nella revisione critica - della settembriniana Protesta del popolo delle Due Sicilie (e anche allora le ricerche della polizia lo persuasero a imbarcarsi su una nave francese e a cercare rifugio a Livorno). Placatesi le acque e instaurato il regime costituzionale, il D. tornò a fine febbraio 1848 sulla scena, coinvolto da Silvio Spaventa nella fondazione, di poco successiva, del Nazionale, il giornale di coloro che a Napoli si proponevano "di caldeggiare e promuovere la nazionalità italiana sulle basi dell'indipendenza ... e del sistema rappresentativo" (Storia di Napoli, IX, p. 242): un sistema che lo chiamò subito a rappresentare alla Camera la Terra di Bari e che inutilmente egli, come tanti altri liberali, si sforzò di piegare alle esigenze di una politica decisamente nazionale ed antiaustriaca. Dopo la giornata del 15 maggio, con cui la monarchia borbonica bloccò bruscamente la evoluzione costituzionale del Regno, il D. firmò la celebre protesta dei deputati; minacciato poi ancora una volta dalle misure di polizia, cercò riparo nello Stato pontificio.
Forte dei suoi contatti con i comitati insurrezionali salernitano e calabrese, il D. si sforzò durante un incontro a Rieti con l'Ayala, allora intendente all'Aquila, di convincerlo a far sollevare gli Abruzzi; constatato però lo stato di impreparazione generale, dovette rinunziare al proposito di vendicare "un popolo mitragliato per lascivia di sangue da un re bombardatore" (lettera a C. Carducci, in Mazziotti, I, p. 174). Allora tornò a Napoli, membro di una nuova Camera priva di ogni reale autonomia e ai lavori della quale non partecipò se non per alcune votazioni in cui si schierò con l'opposizione. Dopo la morte del Carducci, ucciso mentre tentava di portare l'insurrezione nel Cilento, la sua posizione personale si era ulteriormente indebolita; sciolto il Parlamento nel marzo del 1849, si sentì ancor meno sicuro e il 4 apr. 1849, travestito e sotto falso nome, salì su un piroscafo francese che lo portò a Marsiglia da dove nell'agosto passò in Piemonte: quattro anni più tardi, giudicato in contumacia per cospirazione contro la sicurezza dello Stato, sarebbe stato condannato ad una pena di diciannove anni.
A Torino i primi tempi furono molto duri: ai tanti problemi economici connaturati con la sua condizione, altri se ne sovrapponevano a causa di un ambiente e di una mentalità dai quali egli, come tanti esuli, si sentiva respinto. Per qualche tempo, tra il 1849 e il 1850, aveva soggiornato a Genova, dove aveva fatto parte di un comitato di soccorso con cui si tentò di dare una risposta collettiva alle esigenze più pressanti dell'emigrazione meridionale; poi, anche per le divisioni insorte tra le varie tendenze dell'esulato, il D. se ne era staccato e si era stabilito a Torino. Qui in qualche modo fu risollevato dalle prime concrete offerte di lavoro che gli vennero dall'editore G. Daelli, che nel 1851 lo inserì nella redazione di un effimero progetto di "Collana storica nazionale". Era, questa, la ripresa di un'attività culturale che presto avrebbe visto il D. collaborare alla Rivista italiana di Torino, lanciare un'opera celebrativa a più mani come il Panteon dei martiri della libertà italiana (Torino 1852), che ospitò una sua monografia sul poeta Ignazio Ciaia, e infine dirigere a Pinerolo, dove nel frattempo si era trasferito, due periodici: il bisettimanale Specola delle Alpi (1854-56) e il settimanale Ecodelle Alpi Cozie, un "gioynale politico, amministrativo, industriale, letterario" che si interessava particolarmente di problemi dell'agricoltura e seguiva in politica una linea rattazziana. Col tempo il D. aveva sfumato il suo radicalismo giovanile e, sempre più a proprio agio con il sistema istituzionale piemontese, aveva gradualmente accettato l'ipotesi di una politica nazionale sotto la monarchia sabauda soprattutto dopo che, con una dichiarazione apparsa sul Diritto (3 ott. 1855), si era pubblicamente dissociato dal murattismo alle cui sorti il suo nome era stato legato da lontane frequentazioni in casa Murat nella Torino del 1849. Quando, nel dicembre 1856, il D. fondò con altri esuli meridionali il giornale L'Indipendente, la scelta unitaria e sabauda fu proclamata come la sola possibile; stesso senso avrebbe avuto più tardi (novembre 1859) la collaborazione alla milanese Perseveranza che per un breve periodo annoverò il D. fra i suoi redattori.
La vera passione del D. restava comunque l'attività pubblicistica di tipo letterario, e non solo quella in prosa in cui pure si era cimentato con una densa prefazione alla sua traduzione del romanzo di A. Stahr, Die Republikaner in Neapel (Pinerolo 1854). Già a Napoli la buona conoscenza delle lingue lo aveva spinto ad interessarsi della poesia tedesca contemporanea ed a dare alle stampe una Raccolta di poesie alemanne recate in versi italiani (Napoli 1840); in Piemonte la sua attenzione si concetrò su H. Heine di cui tradusse e pubblicò l'Intermezzo (Torino 1857) con una versione in cui G. Carducci avrebbe individuato - segno d'una personalità non molto rigorosa - molteplici rimembranze ("...del purismo e del romanticismo, del Trecento e del Settecento, la ricerca dell'imitazione popolare e la reminiscenza della fatturazione arcadica": Conversazioni, pp. 125 s.) e che ad un critico di sensibilità più moderna sarebbe sembrata "legnosa e sforzata" (De Luca, p. 234). Quella levità che talora lo aveva assistito nel rendere in italiano la poesia di Heine era invece del tutto assente dal carme composto dal D. per celebrare la memoria di Agesilao Milano - "una frittata", a parere di un corrispondente del De Sanctis (D. Marvasi, in De Sanctis Epist., II, p. 290) - che nella liberale Torino gli costò un processo per apologia di regicidio dal quale usci comunque assolto nel luglio del 1857.
Nell'estate del 1860 tornò a Napoli, e per qualche mese svolse attività politica in senso unitario fungendo da vicepresidente di un Comitato dell'unione nato per contrastare l'azione di un organismo similare che si temeva potesse appoggiare la svolta costituzionale di Francesco II. Raggiunta l'Unità, il D. ebbe la direzione della Stamperia nazionale di Napoli, che lasciò per essere eletto al Parlamento (1861) nel collegio di Gioia dei Colle, dopo che una prima elezione era stata annullata proprio per l'impiego da lui ricoperto. Alla Camera, schierato con la maggioranza, si fece notare poco; le sue fatiche andavano tutte alla tipografia familiare, di cui aveva ripreso la guida, ed alla Rivista napoletana di politica, letteratura, scienze, arti e commercio da lui fondata nel 1862 e diretta con la formula collaudata ma logora delle partecipazioni di prestigio: perciò, nonostante la presenza di firme quali quelle di L. Dragonetti, L. Settembrini, V. Imbriani, A. Vera e G. Racioppi, la pubblicazione durò poco più di un anno. Il D. le sopravvisse di poco: si spense infatti a Torino l'11 nov. 1864 lasciando un manoscritto di memorie, intitolate Inferno e Paradiso, destinate a restare inedite (cfr. Croce, Varietà, p. 288).
Fonti e Bibl.: Di qualche interesse per la conoscenza degli inizi dei suo esilio sono le sedici lettere a C. De Lieto conservate nell'Arch. dell'Ist. per la storia del Risorgimento di Roma, buste 173/27 e 174/37. Brani di sue lettere sono ripresi da M. Mazziotti, C. Carducci e i moti del Cilento nel 1848, I, Roma-Milano 1909, pp. 136 s., 161, 174, o editi da G. Carano Donvito, G. D. e i fuorusciti napoletani in Piemonte..., in Japigia, VII (1936), pp. 200-211. Diverse le testimonianze sul ruolo del D. nella cospirazione prequarantottesca: in particolare G. Raffaele, Rivelazioni stor. della rivoluzione dal 1848 al 1860, Palermo 1883, pp. 39, 42 s., 45, 74 s., 51, 54, 57; M. d'Ayala, Memorie ... scritte dal figlio Michelangelo, Torino-Roma 1886, pp.18, 22, 30 s., 44 ss., 84, 93 s., 144, 211, 229, 232, 427; G. La Cecilia, Memorie stor.-politiche, a cura di R. Moscati, Roma 1946, ad Indicem;per gli anni successivi: F. De Sanctis, Epistolario, a cura di G. Ferretti-M. Mazzocchi, II-III, Torino 1965, ad Ind.; Le carte del Comitato segreto di Napoli (1853-1857), a cura di G. Greco, Napoli 1979, pp. 107 s.; Carteggi di C. Cavour. La liberaz. del Mezzogiorno, V, Bologna 1954, p. 255; L. Settembrini, Lettere ed. e ined. 1860-1876, a cura di A. Pessina, Napoli 1983, pp. 71 s. Tracce delle sue esperienze di deputato in Le Assemblee del Risorgimento. Napoli, Roma 1911, I, pp. 26, 39, 55; II, pp. 163, 315, 334; e in Atti parlamentari. Camera dei dep. Discussioni, legisl. VIII, sessione 1861, I, pp. 468, 1022; III, p.295; la commemorazione del D., ibid., sessione 1863-65, p. 6557. Una biografia completa del D. è quella di F. Matarrese, G.D. patriota e letterato pugliese del Risorgimento, I-II, Palo del Colle 1981-83. Altri brevi profili in A. D'Ancona, Carteggi di M. Amari, II, Torino 1896, pp. 372 s.; in F. De Sanctis, Opere complete, a cura di N. Cortese, Napoli 1932, IV, ad Indicem;in B. Croce, Ilprimo traduttore it. di E. Heine. G. D., in Varietà di storia letter. e civile, s. 1, Bari 1935, pp. 281-89. Sulla sua opera di letterato si vedano inoltre G. Carducci, Conversazioni e divagazioni heiniane, in Ediz. naz. delle opere, XXVII, pp. 125-29; B. Croce, Aneddoti di varia litter., IV, Bari 1954, ad Indicem;E. Cione, Napoli romantica 1830-1848, Napoli 1957, ad Indicem;Id., F. De Sanctis ed i suoi tempi, Napoli 1960, ad Indicem;R. De Cesare, La fine di un Regno, Roma 1975, I, p. 187; M. Sansone, La letter. a Napoli dal 1800 al 1860, in Storia di Napoli, IX, Napoli 1972, pp. 242, 318, 369 s., 373, 496-500, 573; I. De Luca, Nievo traduttore, in Giorn. stor. della letter. it., CXLII (1965), pp. 212, 219-24, 231-35. Cenni sulla parte avuta dal D. nelle vicende politiche in M. Mazziotti, C. Carducci..., cit., passim;Id., La reazione borbonica nel Regno di Napoli (episodi dal 1849 al 1860), Roma-Milano 1912, ad Indicem;G. Paladino, Il 15 maggio 1848 in Napoli, Roma-Milano 1920, ad Indicem;F. Bartoccini, Ilmurattismo..., Milano 1959, ad Indicem;G. Berti, I democr. e l'iniziativa merid. nel Risorgimento, Milano 1962, ad Indicem;E. Croce, SilvioSpaventa, Milano 1962, ad Indicem;A. Scirocco, Governo e paese nel Mezzogiorno nella crisi dell'unificazione (1860-61), Milano 1963, ad Indicem;A. Zazo, Vita d'esilio di due sanniti del Risorgimento, in Samnium, XXXVII (1964), p. 146.